I dischi di Jonathan Wilson richiedono uno sforzo di concentrazione. Ti insegnano a lasciare a una canzone il tempo necessario per svilupparsi. Ti spingono a prestare attenzione ai suoni, agli arrangiamenti, alle dinamiche, a un songwriting custode di un’importante lezione da tramandare alle nuove generazioni, affinché siano in grado di costruire un linguaggio musicale consapevole e ben ancorato alla tradizione. Dopo l’ottimo Gentle Spirit (Bella Union, 2011) nato nella quiete di Laurel Canyon, oggi arriva Fanfare, che Wilson ha concepito come «una celebrazione del suono. Il cuore pulsante del disco è un pianoforte Steinway gran coda da concerto», ha spiegato. «Volevo un suono maestoso, fatto di archi, fiati, campane, vibrafoni, voci, assoli, improvvisazioni, persino un’orchestra al completo in alcuni pezzi». E a proposito di scambi intergenerazionali, Jonathan ha chiesto ad alcuni amici di dare un contributo, a partire dal songwriter inglese Roy Harper, co-autore di diversi brani.
La title track ci culla per qualche istante in un limbo misterioso, per poi esplodere in tutto il suo epico splendore orchestrale, lasciandoci disorientati al cospetto di un sassofono impazzito. Capiamo subito che non sarà un viaggio noioso; dobbiamo aspettarci di tutto: delicati valzer squarciati da furiose zampate elettriche (Dear Friend), gloriose visioni romantiche e sfrontate aperture rock (Future Vision), favole sotterranee iniettate di fiati dal fascino esotico (Fazon), delicate ballad acustiche che brillano come gioielli nella sabbia (Desert Trip), o ancora impetuose jam alla Steve Miller Band attraversate da raffiche di flauto traverso (New Mexico).
Fanfare ha un suono ricco, stratificato, che si mette al servizio di una scrittura varia e affascinante, anche se non priva di citazioni o effetti déjà vu. Neil Young è sempre presente: in Illumination Jonathan fa suo il giro abrasivo ma anche il sound della granitica Danger Bird, mentre in Lovestrong sembra fondere le linee melodiche di Interstate e Mideast Vacation. Restando in famiglia, Cecil Taylor, con quell’evocativo arpeggio di chitarra acustica, potrebbe benissimo essere stata scritta a sei mani con Crosby & Nash, che cantano le armonie vocali. L’accattivante Moses Pain, invece, con lo Steinway che ingaggia un dialogo sincopato con chitarra acustica e percussioni, ha un’ariosa coda in stile Running On Empty con tanto di steel guitar (anche Jackson Browne figura tra gli ospiti). Love To Love, invece, è il brano più immediato dell’album, una trascinante ballata folk-rock che racconta la storia di un giovane musicista che lascia Forest City, in North Carolina, per andare a caccia di sogni tra i magici alberi di eucalipto di Laurel Canyon.