Una benedizione che nasce da sincera fede religiosa e sacro fuoco dell’arte e una maledizione scaturita da dinamiche terrene e inevitabili regole dello showbiz. È la dicotomia alla quale dovettero tener fede e testa i tre componenti dei Lift To Experience, gruppo texano di culto che nella seppur breve vita artistica (a cavallo fra la fine degli anni 90 e l’inizio dei 2000) ha saputo conquistare un segmento di seguito e acclamazione critica con la coraggiosa scelta di pubblicare l’esordio, dal titolo profetico di The Texas-Jerusalem Crossroads, come disco doppio. Era un vero e proprio concept album dedicato a una seconda venuta di Cristo, con lo stato del Texas eletto a Giardino dell’Eden. Bastò un’esibizione al South By Southwest nel 2000 per folgorare Simon Raymonde (ex Cocteau Twins) e la sua etichetta Bella Union, scommettendo su una formazione che sommergeva l’indie rock di feedback ed effetti da wall of sound al servizio di una grazia melodica.
Voce, chitarra e mente dei Lift To Experience era Josh T. Pearson, musicista texano figlio di un predicatore evangelista pentecostale che vide tutti i suoi sogni e sforzi infrangersi con la fine della band, letteralmente implosa e fagocitata in seguito a problemi interni e all’incapacità di far fronte alle regole commerciali. Un’esperienza che per qualcuno può anche significare la crisi dei propri valori personali e della propria fede, religiosa e di vita.
Raggiungo telefonicamente Josh T. Pearson a Londra dove si trova per la promozione di Last Of The Country Gentlemen, suo disco solista e primo lavoro in assoluto dopo lo scioglimento del gruppo all’inizio degli anni Duemila, per parlare di quanto è accaduto nell’arco dell’ultimo decennio che ha condotto a questo album eletto a disco del mese dalla rivista britannica Uncut: «È giusto che lo sia, è un buon disco davvero, Uncut sceglie con saggezza i suoi dischi del mese», mi dice con uno humour pervaso da spirito anglosassone, mentre poi risulterà chiaro tutto l’amore di Pearson per l’Europa, dove negli anni scorsi ha vissuto intensi momenti.
Last Of The Country Gentlemen è un disco di un’onestà e nudità emotive assolutamente disarmanti, che negozia il suo ascolto solo a patto di accettare di spogliarsi di parecchie sovrastrutture, anche critiche, e di disporsi ad accogliere un flusso di coscienza distribuito in più di un’ora per soli 7 brani, permeati da sentimenti come l’amore, il senso di colpa e di perdita, la fede in Dio e la disperazione. Musicalmente è soprattutto un dialogo fra Josh e la chitarra acustica, una sorta di gospel bianco dove si introducono lo spirito del country alla Hank Williams e l’ospitalità di un paio di strumentisti illustri in nome dell’amicizia con Pearson: il pianoforte di Dustin O’Halloran (ex membro dei Devics e compositore di brani destinati anche a colonne sonore cinematografiche, fra cui Marie Antoinette di Sofia Coppola) e il violino di Warren Ellis (membro degli australiani Dirty Three e al fianco di Nick Cave sia nei Bad Seeds che nei Grinderman).
La fine dei Lift To Experience, il cui unico disco vide distribuzione e tour soltanto in Europa, riportò Josh T. Pearson in Texas, in particolare a Tehuacana, villaggio di appena 307 anime e sede del Trinity Institute, un centro di assistenza spirituale e di studi religiosi dove Pearson visse pagandosi il soggiorno mediante lavori di manovalanza e ristrutturazione e trascorrendo il resto del tempo a comporre nella solitudine della sua stanza. «Oh, seek God where he may be found», mi dice, «cerca Dio dove puoi trovarlo. Sono, è vero, molto religioso. Ho studiato filosofia e religione, sono andato a scuola in una realtà religiosa, la mia infanzia ed educazione sono state fortemente influenzate dalla religione, andavo in chiesa più volte a settimana, leggo la Bibbia. Naturalmente tutto ciò influenza la mia scrittura anche se non so bene in che misura. Non posso negare di essere una persona religiosa, nel bene e nel male, cerco di essere un buon individuo e fare ciò che è giusto. E tento sempre di approfondire la mia relazione con Dio, il quale credo sia in realtà molto in collera con me… (ride, nda)».
Le composizioni maturate in quel periodo sono le stesse riversate in Last Of The Country Gentlemen, e la spontaneità e lunghezza dello stream of consciousness fa comprendere l’assoluta mancanza di pianificazione originaria di una loro pubblicazione o anche quanto meno di un ascolto da parte di orecchie estranee alla ristrettissima cerchia di amicizie. Giunge però per Josh T. Pearson il bisogno di allontanarsi dal Texas e prendere le distanze dagli ambienti che erano stati la culla di quelle emozioni, partendo alla volta di Parigi e Berlino, e Genova, dove tenne il primo concerto solista in assoluto nel 2005. Piccoli locali e bar, dove perfetti sconosciuti potevano ascoltare e accogliere il vissuto interiore di Pearson e della sua chitarra acustica, anche durante un tour con i Dirty Three in veste di spalla. «Questi brani rappresentano un momento particolare della mia vita, esattamente quello che stavo vivendo e attraversando a livello personale. Li ho suonati dal vivo per anni, e sempre in location molto piccole. Inizialmente non avevo nessun progetto di pubblicarli o di mantenermi facendo il musicista. Per me si trattava di cose veramente molto intime e segrete… come se il pubblico in un certo momento fosse diventato il mio sacerdote, o qualcosa del genere, e i miei brani una sorta di confessione, il sentimento di non essere solo. Prima mi sentivo più arrabbiato e l’esibirmi davanti a un pubblico mi ha certo molto aiutato. Ora non sono più preoccupato di essere onesto agli occhi degli altri. So anche di non essere l’unico ad aver provato questo tipo di sentimenti e spero che in qualche modo la mia musica possa essere d’aiuto anche ad altre persone… La scintilla (che ha portato alla registrazione del disco, nda) è stata proprio la reazione di chi all’ascolto dei miei brani si è detto profondamente toccato ed emozionato, mostrandomi sincera riconoscenza».
La scelta dello studio di registrazione cade su Berlino, una città cara a Josh dove ha abitato in passato per circa due anni e dove la vita è piuttosto economica e semplice. Come veloce, ma non altrettanto semplice, è stata la registrazione di Last Of The Country Gentlemen, durata l’arco di due serate ma con un dispendio emozionale enorme da parte di Pearson, impegnato a trasmettere la lotta con le proprie ombre mentre nel quotidiano ci si affanna a tenere in piedi una relazione sentimentale tra le difficoltà neanche tanto velate dell’alcolismo, come in Woman When I’ve Raised Hell, che si fregia dell’atmosfera creata dal violino di Warren Ellis («Una grande persona, ci siamo conosciuti dieci anni fa durante un tour di spalla ai Dirty Three con la mia band. Si offrì di suonare sul mio album nel momento in cui avessi deciso di pubblicarlo, e ha mantenuto la promessa. Amo il suo violino, la sua è una firma strumentale»). Ellis partecipa anche al disperato senso di colpa espresso in Honeymoon Is Great, I Wish You Were Her, dove il protagonista esprime il suo tormento nel desiderare con folle passione una donna che non è sua moglie. Il pianoforte di Dustin O’Halloran sottolinea il bisogno di sottrarsi alle spire emotive di chi non vuole essere salvato, sempre una donna, descritte in Sweetheart I Ain’t Your Christ, e ovunque poi il mal de vivre e il desiderio di salvezza, fra la drammaticità emotiva di Nick Cave e il lirismo di Jeff Buckley. È un’energia scarna e tesa che sa essere anche furiosa e travolgente, come i brani legati al progetto Angels vs Devils, eseguiti dal vivo qualche anno fa senza mai aver visto la luce discografica, concetti quasi simboleggiati dalla copertina di Last Of The Country Gentlemen.
«Credi che in Italia piacerà il mio disco?», mi chiede. «Spero davvero che lo apprezziate. Sono un po’ preoccupato per la lingua, ma so che, soprattutto al sud, i sentimenti, e quelli forti in particolare, sono un fattore molto importante, più importante di tutto. Ho davvero riversato me stesso in questo disco e spero lo amino. D’altronde voi italiani siete i fautori dell’opera, e comprendete bene la drammaticità, così profonda e così vera, nel bene e nel male».
01/04/2011
JOSH T. PEARSON
IN CERCA DI DIO