Ci voleva un’inglesina di 16 anni per strappare all’oblio il soul di Miami e i suoi eroi dimenticati. Lei è Joss Stone, biondina acqua e sapone cresciuta nelle campagne inglesi col mito di Aretha Franklin e una voce fuori dall’ordinario. Loro, musicisti i cui nomi non dicono più nulla al pubblico, sono stati l’anima di dischi che trent’anni fa dominavano le classifiche di vendita americane. Per dirla con le parole di Betty Wright, veterana del Miami Sound e madrina dell’operazione, “siamo tornati indietro nel tempo e abbiamo attualizzato quella musica, miscela della saggezza di musicisti maturi e della forza di un’interprete giovane”. Secondo il co-produttore Steve Greenberg, “in un certo senso questo progetto è l’equivalente di Miami del Buena Vista Social Club. solo che a guidare il gruppo c’è una sedicenne”.
The Soul Sessions di Joss Stone non è solamente il disco di debutto d’una cantante dotata di grande padronanza vocale e capace di un notevole trasporto emotivo. È anche un lavoro di recupero di uno stile che le battute sincopate del nu soul e i sederi tondeggianti delle nuove dive della black music hanno reso obsoleto. Per un breve periodo all’inizio degli anni 70, Miami fu il luogo da cui provenivano molti 45 giri soul e rhythm & blues di successo, soprattutto grazie al lavoro delle etichette controllate dall’intraprendente Henry Stone, prima fra tutte la TK Records con sede a Hialeah, Florida. “Miami”, scriveva un giornale nell’anno d’oro del fenomeno, il 1974, “sta contendendo a Philadelphia il ruolo di cuore della black music.” A differenza della Motown, il cui modello esercitava grande influenza sulle scelte imprenditoriali e artistiche di Stone, la TK faceva convivere con noncuranza musicisti bianchi e neri. “Era una musica semplice e con un feeling caraibico”, ha detto il giornalista Vince Aletti, “e niente archi: esattamente l’opposto degli abbellimenti barocchi di Barry White.”
Alcuni musicisti e produttori di Miami, partiti con una visione ortodossa della black music, contribuirono a traghettare sul finire del decennio la “musica dell’anima” nella disco. “Accadde”, ha ricordato Aletti, “quando l’industria discografica capì che ci si poteva fare un sacco di grana.” Altri musicisti, session men con un passato glorioso alle spalle e un futuro incerto davanti a sé, si limitarono a fare comparsate in dischi altrui. Alcuni sparirono letteralmente dalla circolazione, dedicandosi ad altre attività. The Soul Sessions può rappresentare per loro una sorta di rivincita. Per dirlo con le parole dell’organista Timmy Thomas, “Joss sta riportando alla luce un feeling che era andato perduto”.
A guidare il progetto non è ovviamente Joss. Non potrebbe, disorientata com’è per essere stata catapultata dai banchi di scuola in uno studio di registrazione professionale. È lei la prima a stupirsi di quanto accaduto: “Non avevo mai cantato con una vera band ed ero terrorizzata, anche perché loro”, dice sussurrando e facendo una smorfia del tipo mi-sento-inadeguata-ma-ci-provo-lo-stesso, “sono piuttosto bravi”. Nata a Dover nell’aprile del 1987, Joss è la terza di quattro fratelli cresciuti nelle campagne del Devonshire. Il primo album che ha comprato, dice, è un greatest hits di Aretha Franklin. Si sente. Adora Whitney Houston: non avrà la stessa voce, ma fortunatamente nemmeno lo stesso stile affettato e melenso. Deve molto allo show della Bbc Star For A Night, durante il quale tre anni fa interpretò A Natural Woman della Franklin (in The Soul Sessions rifà la sua All The King’s Horses) e It’s Not Right But It’s Ok della Houston. Notata dai produttori londinesi Andy Dean e Ben Wolfe, i Boilerhouse Boys, è stata segnalata a Steve Greenberg, che con Mike Mangini è il vero deus ex machina dell’operazione Soul Sessions.
Noto per avere lanciato gli Hanson e per essersi aggiudicato tre anni fa con Mangini un Grammy per la produzione di Who Let The Dogs Out dei Baha Man, Greenberg è il fondatore della S-Curve Records, l’etichetta discografica che ha pubblicato The Soul Sessions e stampato alcuni box set antologici relativi al repertorio Stax/Volt e Sugar Hill. “Ho sentito parlare di Joss per la prima volta alla fine del 2001”, racconta. “La invitai immediatamente in America e rimasi sbalordito dalla sua voce: aveva il soul, pur essendo solo una quattordicenne.” A far da balia a una teenager debuttante ci voleva un’ex teenager già passata attraverso tutto questo. Greenberg reclutò perciò Betty Wright. “Ricevetti i provini di Joss il giorno prima di incontrarla”, ha ricordato la cantante, “e dissi subito a Steve: questa voce è un dono del cielo. Lavorando a The Soul Sessions sono diventata la sua migliore e peggiore amica. Ho sforzato la sua voce facendole raggiungere risultati che non avrebbe mai immaginato. E Joss, da parte sua, mi ha fatto tornare in mente cose che avevo dimenticato: mi ha ricordato perché questo tipo di musica è così importante per me e perché amo ancora crearla.” Ricorda il tastierista Benny Latimore, che ha partecipato alle session: “Quando sentii la voce di Joss per la prima volta, pensai: oh mio Dio, è incredibile! Il talento ce l’ha. Tutto quello che abbiamo dovuto farlo è pulirlo per bene e lasciarlo brillare”.
Del progetto iniziale di fare interpretare a Joss canzoni autografe e una manciata di brani contemporanei è rimasta solo una curiosa versione di Fell In Love With A Boy dei White Stripes. “Ci siamo accorti”, ha spiegato Greenberg, “che Joss aveva un’affinità con il classic soul. Decidemmo perciò che avremmo inciso un disco dal vivo in studio con una band di autentici musicisti soul guidati da Betty e con brani noti e sconosciuti.” Tra i pezzi interpretati, spiccano la toccante The Chokin’ Kind di Harlan Howard (portata al successo da Joe Simon nel 1969); Dirty Man di Laura Lee, brano femminista ma attraversato da una sottile ironia; Some Kind Of Wonderful di John Ellison dei Soul Brothers Six. La I Had A Dream che John Sebastian cantò a Woodstock, e che c’entra poco col resto del disco, l’ha scelta Joss, perché sua madre amava cantarla.
L’album è stato registrato a Miami, Fell In Love With A Boy è stata incisa a Philadelphia dove Joss è stata raggiunta da The Roots e Angie Stone (nessuna parentela). I musicisti del giro del Miami Sound che hanno preso parte alle session, assoldati da Wright e Greenberg, sono Latimore, il chitarrista Little Beaver, l’organista Timmy Thomas. “Non mi rendevo conto”, ha detto Greenberg, “che Betty non li vedeva da almeno dieci anni. Little Beaver lavorava per la Amtrak, Thomas faceva l’amministratore di un college. Abbiamo messo insieme musicisti di una scena che non esiste più. Negli ultimi anni l’attenzione è stata giustamente catalizzata dai grandi musicisti di Detroit, Memphis, New Orleans. Miami è stata trascurata, pur essendo stata fonte di musica soul autentica. Ci auguriamo che The Soul Sessions assicuri a questo stile e a questi artisti il merito che è loro dovuto.”
Oggi Wright, Greenberg e la Stone si stanno dedicano all’album di brani autografi abortito per far spazio a The Soul Sessions. Uscirà nel corso del 2004, assicurano. “Joss ha il feeling giusto”, dice Betty Wright. “A questo punto, non ci sono limiti a quel che può fare.”
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Senza Henry Stone (1921) non ci sarebbe stato alcun Miami Sound. Cominciò vendendo dischi dal bagagliaio della sua automobile, finì per fondare una mezza dozzina di etichette: Rickin’, Glory, Chart, e soprattutto Glades, Marlin, Alston e la più celebre, la TK Records. I protagonisti del disco di Joss hanno inciso per almeno una di queste discografiche, anche se Henry ha fatto fortuna soprattutto grazie a KC And The Sunshine Band. Aiutato dal produttore e A&R Steve Alaimo, Henry Stone è l’uomo dietro alle hit Clean Up Woman (Betty Wright), Let’s Straighten It Out (Latimore), Rock Your Baby (George McCrae), Get Down Tonight, That’s The Way I Like It e Shake You Booty (KC And The Sunshine Band), Party Down (Little Beaver), Ring My Bell (Anita Ward), Rockin’ Chair (Gwen McCrae) e molte altre. Negli anni 90 il catalogo della TK è stato venduto alla Rhino.
Disco consigliato: Heart Of Stone (antologia, 2003)
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Pianista e cantante nativo del Tennessee dotato d’una voce profonda, Benny Latimore (1939) è stato uno dei session men più noti della TK Records di Henry Stone. Ha avuto un solo grande successo a proprio nome: Let’s Straighten It Out, ibrido soul-blues primo nella classifica americana per due settimane nel 1974. Nel 1995 la canzone, resoconto d’una love story problematica, è stata interpretata in chiave moderna da Monica e Usher. Tra gli altri 45 giri di Latimore si ricordano la sua versione di Stormy Monday del 1973 e Keep The Home Fires Burnin’ del 1975. Negli anni 90 ha inciso per la
J-Town (sottoetichetta della Malaco) e ha battuto anonimamente il circuito concertistico del Sud degli States.
Disco consigliato: Straighten It Out: The Best Of Latimore (antologia, 1995)
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Il vero nome di Little Beaver è Willie Hale (1945). Cantante e chitarrista originario dell’Arizona, si trasferì quand’era ancora adolescente a Miami, dove finì sotto l’ala protettiva di Henry Stone. Il suo primo singolo è stato Joey (1972), ma ben più noto è Party Down Part 1 (1974), destinato ad essere campionato da molti rapper. L’album dallo stesso titolo fu inciso con altri futuri protagonisti di The Soul Sessions: Betty Wright, Latimore, Timmy Thomas. A sua volta, Hale ha suonato in Cleaned Up Woman della Wright, Rock Your Baby di George McCrae, Rockin’ Chair di Gwen McCrae. Quando è stato chiamato da Betty Wright a collaborare con Joss Stone lavorava per le ferrovie statunitensi.
Disco consigliato: Party Down (album, 1975)
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A cavallo tra gli anni 60 e 70, quella di Betty Wright (1953) è stata una delle voci chiave del Miami Sound. Ebbe il suo primo successo a 14 anni con Girls Can’t Do What The Guys Do, ma è conosciuta soprattutto per il 45 giri Clean Up Woman, il suo best seller (quattro milioni di copie vendute). Ha vinto un Grammy Award con Where Is The Love? (1974). I suoi ultimi hit d’un certo peso sono stati What Are You Gonna Do With It? in coppia con Stevie Wonder (1981) e No Pain No Gain (1988). È stata presentatrice televisiva, ma non ha mai smesso di incidere, di produrre (anche per la sua Ms. B Records), di scovare talenti. È rimasta nel giro, facendo i cori nei dischi di Erykah Badu, Angie Stone, Jimmy Cliff, David Byrne, Gloria Estefan, P Diddy.
Disco consigliato: The Very Best Of Betty Wright (antologia, 2000)
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L’organista Timmy Thomas (1944) è conosciuto per via del fugace ma sostanzioso successo del 45 giri Why Can’t We Live Together. Quando lo incise, era noto per essere il proprietario di un locale molto popolare di Miami Beach. Il brano fu pubblicato nel 1973 dalla Glades, sottoetichetta della TK, e raggiunse il numero 1 della classifica black e il 3 di quella pop, vendendo oltre due milioni di copie. Il pezzo è noto per l’arrangiamento scarno (solo l’organo di Thomas e una drum machine: era un demo, ma il produttore Steve Alaimo pensò che andava bene così) e per essere stato interpretato undici anni dopo da Sade. Pur essendo considerato un one hit wonder, Thomas ha continuato a pubblicare dischi e a lavorare come session man e produttore per TK e Laface. Abbandonata la musica professionale, ha fatto l’amministratore di un college. Una curiosità: il tastierista fu messo in contatto con Henry Stone grazie a King Sporty, l’autore di Buffalo Soldier di Bob Marley.
Disco consigliato: Why Can’t We Live Together: The Best Of The TK Years 1972-1981 (antologia, 1998)