Per chi scrive di musica, il metal è da sempre un terreno minato; è uno di quei generi i cui seguaci tendono spesso a dar giudizi netti e privi di ogni sfumatura. Ma una cosa è certa: Firepower, il nuovo disco dei Judas Priest, metterà d’accordo tutti, perché siamo di fronte a un candidato miglior disco dell’anno, almeno per quanto riguarda il loro genere.
Sulla band britannica c’è poco da aggiungere: quasi 50 anni di carriera, 18 dischi da studio, con circa 50 milioni di copie vendute, che hanno consentito a Rob Halford e compagnia di ottenere un posto tra i gruppi più importanti e influenti della storia del metal. E Firepower non è altro che un prezioso tassello da aggiungere a questa, a dir poco, brillante carriera. Il disco, pubblicato da Epic Records, porta con sé 14 brani, nei quali, è come se venisse raccontata la storia dei Judas Priest attraverso il loro sound, a partire da Lightning Strike, primo singolo dell’album, e pubblicato ad inizio anno, in cui è fortemente presente il marchio di fabbrica del gruppo di Birmingham: riff graffianti, assoli stridenti e la timbrica di Halford, unico nel suo stile. Se questo richiama un po’ il periodo 80s della band, la titletrack Firepower ammica più agli anni novanta, oltre a fungere da ottima opener di questo disco per l’immediata adrenalina che trasmette. L’album offre parecchi spunti degni di nota, da Never The Heroes col suo refrain coinvolgente, a Traitors Gate, con le chitarra protagoniste, da sempre armi vincenti della band. Non mancano accenni a sonorità più moderne come nel caso di Spectre, e momenti di pathos come nella strumentale Guardians, dove è il pianoforte ad esser protagonista, anche se in realtà ha la funzione di intro per i riff graffianti della seguente Rising From Ruins. Il disco si conclude con la ballad Sea Of Red: eccellente maniera per mettere il punto conclusivo a questa ennesima perla dei Judas.
Ma cos’ha Firepower di così speciale? Semplicemente è il disco che ogni fan dei Judas Priest avrebbe voluto sentire nel 2018, e allo stesso tempo è il disco che larga parte dei fan non si aspettava. Firepower è una miscela che racchiude decenni di carriera dei Judas, ma è anche un manifesto del classic heavy-metal made in U.K.. Un disco che offre una forte ventata di freschezza, e lo fa senza che i protagonisti si snaturino o tradiscano, verbo molto in voga nell’ambiente metal. E non vi è dubbio alcuno nemmeno sulla resa “live” del disco, cosa che potremo constatare in occasione del Firenze Rocks del prossimo giugno, dove, assieme ad altre storiche band, i Judas Priest saranno protagonisti. A mettere però un po’ di tristezza nei fan ci ha pensato il destino; pochi giorni fa lo storico chitarrista Glenn Tipton ha dichiarato che non prenderà parte al tour della band, se non per rare eccezioni, a causa del morbo di Parkinson riscontratogli. Ma il nostro è duro a morire tant’è che pochi giorni fa si è presentato sul palco, assieme ai suoi compagni di una vita, durante un concerto nel New Jersey. C’è altro da aggiungere?
Sulla band britannica c’è poco da aggiungere: quasi 50 anni di carriera, 18 dischi da studio, con circa 50 milioni di copie vendute, che hanno consentito a Rob Halford e compagnia di ottenere un posto tra i gruppi più importanti e influenti della storia del metal. E Firepower non è altro che un prezioso tassello da aggiungere a questa, a dir poco, brillante carriera. Il disco, pubblicato da Epic Records, porta con sé 14 brani, nei quali, è come se venisse raccontata la storia dei Judas Priest attraverso il loro sound, a partire da Lightning Strike, primo singolo dell’album, e pubblicato ad inizio anno, in cui è fortemente presente il marchio di fabbrica del gruppo di Birmingham: riff graffianti, assoli stridenti e la timbrica di Halford, unico nel suo stile. Se questo richiama un po’ il periodo 80s della band, la titletrack Firepower ammica più agli anni novanta, oltre a fungere da ottima opener di questo disco per l’immediata adrenalina che trasmette. L’album offre parecchi spunti degni di nota, da Never The Heroes col suo refrain coinvolgente, a Traitors Gate, con le chitarra protagoniste, da sempre armi vincenti della band. Non mancano accenni a sonorità più moderne come nel caso di Spectre, e momenti di pathos come nella strumentale Guardians, dove è il pianoforte ad esser protagonista, anche se in realtà ha la funzione di intro per i riff graffianti della seguente Rising From Ruins. Il disco si conclude con la ballad Sea Of Red: eccellente maniera per mettere il punto conclusivo a questa ennesima perla dei Judas.
Ma cos’ha Firepower di così speciale? Semplicemente è il disco che ogni fan dei Judas Priest avrebbe voluto sentire nel 2018, e allo stesso tempo è il disco che larga parte dei fan non si aspettava. Firepower è una miscela che racchiude decenni di carriera dei Judas, ma è anche un manifesto del classic heavy-metal made in U.K.. Un disco che offre una forte ventata di freschezza, e lo fa senza che i protagonisti si snaturino o tradiscano, verbo molto in voga nell’ambiente metal. E non vi è dubbio alcuno nemmeno sulla resa “live” del disco, cosa che potremo constatare in occasione del Firenze Rocks del prossimo giugno, dove, assieme ad altre storiche band, i Judas Priest saranno protagonisti. A mettere però un po’ di tristezza nei fan ci ha pensato il destino; pochi giorni fa lo storico chitarrista Glenn Tipton ha dichiarato che non prenderà parte al tour della band, se non per rare eccezioni, a causa del morbo di Parkinson riscontratogli. Ma il nostro è duro a morire tant’è che pochi giorni fa si è presentato sul palco, assieme ai suoi compagni di una vita, durante un concerto nel New Jersey. C’è altro da aggiungere?