18/06/2007

Just A Working Girl

La nuova PJ Harvey

A vederla compostamente accomodata nel salotto di un hotel milanese davanti a una tazza di Earl Grey Tea, questa signorina inglese dalla pelle di porcellana elegantemente fasciata in un abito nero non pare avere nulla in comune con la spigolosa e ruvida ragazzina del Dorset che aveva sedotto con la sua musica fragile e vigorosa mezzo mondo qualche anno fa. A guardarla meglio però, al di là della pacatezza dei modi e della grande disponibilità, si può notare una certa irrequietezza dello sguardo che, come si sa, è lo specchio dell’anima.

Polly Jean è ancora viva, soltanto i toni drammatici, la rabbia e le ombrose elucubrazioni si sono trasformate nella bellezza consapevole e trasparente di chi ha guardato a lungo dentro se stesso e non ha più paura. Dopo Rid On Me, To Bring You My Love e Is This Desire PJ Harvey ritorna alla sobrietà di Dry, quasi a chiudere un cerchio che vuole precludere ad una nuova fase di vita. Dai tempi di Sheela-Na-Gig (la divinità femminile simbolo di una sessualità irriverente e liberata) la Harvey pare avere finalmente riconciliato le sue parti maschile e femminile: il risultato è quello di una donna forte e consapevole, vulnerabile e disincantata, dolce e determinata.

Dopo eclatanti successi, collaborazioni famose e l’interpretazione di Maria Maddalena nel film di Hal Hartley The Book Of Life, PJ ha composto Stories From The City, Stories From The Sea, un album cantautorale e bellissimo, prodotto e suonato insieme a Rob Ellis e Mick Harvey (dei Bad Seeds) e mixato da Victor Van Vugt.

Sentiamo cosa ci ha detto in proposito.

Quale era il tuo stato emotivo quando hai scritto le canzoni?
In realtà ho scritto i brani in un arco di tempo piuttosto lungo, in cui mi sono spostata spesso viaggiando per il mondo e in Inghilterra; se a ciò aggiungi che io sono molto umorale e lo stato della mia mente cambia in continuazione, puoi capire che ogni canzone è nata in modo molto estemporaneo, in relazione a un preciso momento che stavo vivendo.
In generale però posso dire che questo per me è un periodo di vita molto positivo, in cui ho raggiunto una certa pace dentro di me, un approccio ottimistico alla vita. Finalmente riesco ad avere una visione abbastanza chiara della mia esistenza e del mio ruolo in essa. Credo che tutto ciò sia andato a riflettersi nella musica, che è molto più essenziale e meno melodrammatica rispetto a ieri.

In passato il tuo concetto di violenza era più legato a percezioni molto intime e psicologiche; in Big Exit e This Mess We’re In parli invece di una violenza molto metropolitana, di elicotteri e pistole; mi chiedo se questo sia dovuto al tuo soggiorno americano…
Ciò che dici è vero, ma non deriva soltanto dal mio soggiorno newyorkese quanto da una riflessione istintiva al mondo che mi circonda. Ogni giorno accadono fatti terribili e non posso evitare che essi entrino dentro alla mia scrittura; questo album è la mia risposta ad essi.
Sono comunque consapevole che la vita è fatta di odio e amore, bianco e nero, ottimismo e pessimismo, che non può esistere la luce senza l’ombra ed è questo miracolo che si rinnova quotidianamente a rendere il tutto affascinante.

In che modo i sei mesi trascorsi a New York hanno influito sulla tua musica?
I mesi trascorsi nella Big Apple sono stati meravigliosi e molto stimolanti artisticamente, ma per comporre le canzoni del disco ho viaggiato molto ovunque, poiché non è il luogo in se stesso a ispirarmi, quanto il fatto di arrivare in un luogo nuovo. Approcciare un posto per la prima volta è un po’ come rinascere, vedere tutto sotto un’altra prospettiva: i palazzi appaiono più grandi, i tramonti più intensi, la gente più interessante. In tale senso New York offre molte emozioni perché è una città in perenne divenire dove si mischiano background culturali e razziali diversi con estrema naturalezza; soltanto osservare il crogiuolo di persone differenti muoversi in metropolitana è un’esperienza molto vivificante per una scrittrice, senza contare le mille manifestazioni di carattere culturale, teatri, concerti, esposizioni, spettacoli di danza; tutti questi stimoli sono arrivati in modo subliminale nella mia musica.

Perché un ritorno al rock più essenziale, al songwriting più tradizionale?
Ho voluto intenzionalmente creare simple strong highly melodic songs, dei brani che avessero un inizio, un nucleo, una fine per poi sparire, esaltando la struttura tradizionale della canzone in senso classico. Credo che questa sia stata una sorta di reazione alla mia ricerca sonora ed emotiva del passato culminata in Is This Desire, che consisteva nella creazione di territori musicali in studio atti a originare particolari atmosfere che potessero sostenere e generare la canzone, donando ad essa corpo e vita. Così ho voluto tornare all’attitudine dei miei esordi, componendo brani che potessero esistere da soli indipendentemente dal resto, brani capaci di reggere la propria stessa forza e struttura.
Inoltre con il tempo cresce sempre più la mia ammirazione per songwriter come Bob Dylan e Neil Young, la cui genialità si sviluppa intorno al potere della canzone.

Visto questo tuo aggancio a miti quali Dylan e Young, cosa ne pensi del fatto che un pezzo come Good Fortune sia stato raffrontato allo stile di Patti Smith?
Mi paragonano a lei perché è il prototipo eclatante del songwriting al femminile, ma le mie muse restano Dylan e Young.

Le liriche di Stories From The City, Stories From The Sea richiamano alla mente una serie di istantanee di momenti vissuti, di flash a sfondo quasi impressionista; sei stata per caso ispirata da una certa arte pittorica o visuale, o dalla tua stessa attività di scultrice?
Sicuramente il fatto di aver vissuto a New York visitando molte gallerie e mostre d’arte ha influito sul mio modo di scrivere; ad esempio due brani, di cui uno non registrato per il disco, sono scaturiti direttamente dalle mie impressioni su di un dipinto di Chagall visto l’anno scorso. La mia musica è estremamente permeabile alle altre forme di espressione artistica, soprattutto al cinema.

Intendi dire che la tua esperienza di attrice ha modificato il tuo approccio al suono?
Il cinema mi ha insegnato a calarmi in un ruolo per diventare qualcun altro, il che è di grande aiuto nello scrivere i testi. È stata un’esperienza davvero affascinante, una sorta di terapia, anche se io non credo di essere una brava attrice poiché alla sera, fuori dal set, faccio fatica ad uscire dal personaggio interpretato e continuo a pensare con la sua mente. Per carattere sono molto empatica e sensibile, per cui mi riesce molto facile entrare nei panni altrui, ma poi non riesco più ad uscirne. Credo ci voglia molta professionalità per essere capaci semplicemente di accendere e spegnere l’interrutore. Avrei bisogno di consigli da parte di grandi attori. Ad ogni modo il cinema è fonte di grande ispirazione, soprattutto i film di Martin Scorsese, Tim Robbins, Erik Zonca (The Dreamlife Of Angels, nda).

Com’è nata la collaborazione con Thom Yorke?
Era da parecchio tempo che volevo scrivere un brano per qualcun altro che potesse venire cantato in un mio disco. Ho pensato a Thom perché ritengo abbia una voce sublime, incredibilmente tragica e duttile. Così ho scritto un pezzo (This Mess We’re In, nda) per le nostre due voci insieme e gliel’ho spedito. Thom si è rivelato subito entusiasta e mi ha raggiunta nello studio di registrazione per due giorni. Collaborare con lui è stato stupefacente: è una persona di intelligenza sopraffina, di grande sensibilità, con un estro assolutamente originale e fuori dalle righe, con un approccio alla melodia vocale assolutamente unico.
È arrivato con alcune idee bizzarre circa l’interpretazione del brano che all’inizio mi hanno un po’ disorientata; ma quando ho iniziato a sentire come la sua voce così plastica riusciva ad accarezzare, circuire, insinuarsi nella mia esaltandone il senso, non ho più avuto dubbi.

Da alcuni pezzi come Beautiful Feeling e We Float traspare un modo di vivere l’amore nel contempo gioioso e malinconico, come se la magia di certi momenti stesse nella loro estrema caducità…
Mi interessava catturare l’intensità che risiede nella fugacità degli attimi di vita più belli, momenti apparentemente insignificanti, ma capaci di penetrare a fondo nell’intimo fino a imprimersi ineluttabilmente nella memoria caratterizzando il nostro percorso; volevo esaltare l’unicità di certi frammenti di tempo vissuto, amplificarne l’immagine, per fissare l’importanza del singolo istante.

Il suono di questo album, meno ricco di contrasti e meno a tinte forti rispetto ai tuoi precedenti lavori, dipende dal fatto che con la maturità sei riuscita a smussare certi tuoi spigoli armonizzando i vari aspetti della tua personalità?
Credo sia ancora presente una certa energia ruvida e quasi violenta, la sensazione che certe cose siano scomposte e non collocate al posto giusto, ma certamente tale senso di precaria instabilità risulta ora mitigato da un’acquisita consapevolezza del mondo e di me stessa, una visione più nitida e meno parziale dei vari aspetti della vita.
Crescendo sono riuscita a vedere l’intera fotografia e non soltanto alcuni dettagli.

Se tutto passa e se ne va con l’istantaneità degli attimi, cosa resta allora?
La musica è l’unica vera realtà per me, al di là della soggettività delle esperienze; non la puoi controllare, non la puoi fermare o catturare, ma nell’istnate in cui la senti diventa eterna.

Che relazione hai con i tuoi dischi passati e con la Polly che sei stata?
Vedo tutti i miei lavori come parti di me, come i pezzi di un puzzle che mi rappresenta e se fossi una pittrice li esporrei tutti insieme in una galleria. Qundo ascolto i suoni di dieci anni fa posso sentire che scaturivano da un’anima più giovane e tormentata, ma li riconosco come miei; ciascuno nutre il successivo e il tutto fa parte di un movimento continuo, di un certo flusso evolutivo.

Nell’ultima strofa dell’album in We Float dici: “take life as it comes”, prendi la vita come viene. È un tuo motto?
È l’attitudine con cui approccio il mondo e tutte le cose orribili che accadono ogni giorno; è un segno di speranza e di ottimismo, la convinzione che la luce arriva sempre dopo il buio e che con un atteggiamento positivo si possono cambiare le cose.

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