Vi piace la mia casetta? Peccato sia praticamente disabitata», ci dice accogliendo me e la sua addetta stampa in un delizioso appartamento del centro di Milano. Qui, trent’anni fa, c’è stata la svolta della sua carriera. Allora, Carla Bissi (non ancora 25enne) aveva già vinto Castrocaro e una Gondola d’Argento, partecipato a un Festival di Sanremo, cambiato il proprio nome, scegliendo quello di Alice Visconti, pubblicato due ellepi per la Cbs (La mia poca grande età nel 1975 e Cosa resta… un fiore del 1977) ma non aveva ancora trovato una strada artistica che la convincesse. «Mi ero stufata di cantare canzoni che non mi rappresentavano», racconta. «Avevo provato a scrivere cose mie e cercavo un personaggio di spessore che mi desse una mano a mettere a fuoco le mie idee. Così, un giorno, nell’ufficio del mio manager dell’epoca, Angelo Carrara, ho incontrato Franco Battiato. Seduto in poltrona, in un angolo della sala d’aspetto, Battiato mi ha fatto impressione: era tutto vestito di nero, con cappello e occhiali neri… Aiuto, mi sono detta… Poi, al di là dell’iniziale impatto estetico, con Franco si è creata subito una formidabile sintonia artistica. Lui è un personaggio straordinario, gentile, intelligente, dotato di ironia e di uno spiccato senso dello humour. Quel giorno gli ho lasciato un’audiocassetta con alcuni miei brani. Quando poi, di lì a poco, ci siamo incontrati di nuovo, mi ha detto che il materiale era buono e che dovevo lavorarci sopra sino a che, nel 1980, ci siamo trovati fianco a fianco per il mio primo disco da cantautrice, Capo Nord».
Da quel momento, Carla si trasforma definitivamente in Alice (il cognome Visconti sparisce) e la sua musica diventa raffinata ma intensa, elegante ma efficacissima. Proprio com’è lei. Lo dimostra anche oggi. Non solo nel look (è sempre bellissima e superchic) ma anche nell’entusiasmo che dimostra per la musica. Per questo, anche se il prossimo 26 settembre compirà 55 anni, sembra sempre una ragazzina. «Artisticamente, però, credo di essere molto cresciuta», dice, «ho trovato più sicurezze e anche un’identità più precisa». È forse questo, allora, il motivo per cui esce solo adesso il primo album live della sua carriera? «Chi lo sa… questo disco non era neanche previsto. Un giorno stavo riascoltando alcuni concerti di una particolare tournée del 2006 in cui ho suonato in diversi luoghi sacri, chiese e basiliche, della nostra penisola. Per la prima volta, l’ascolto coincideva con i ricordi bellissimi che avevo di quei live. Così quando anche Paolo Santoli, il mio attuale manager, ha sentito questo materiale mi ha detto che dovevamo assolutamente pubblicarlo».
Nasce Lungo la strada, una dozzina di brani poetici e intensi, arrangiati in modo semplice ma raffinatissimo, con tre ottimi musicisti (Alberto Tafuri al pianoforte, Marco Pancaldi alle chitarre e Steve Jansen a batteria ed effetti elettronici) che valorizzano la vocalità di Alice. «Questa scelta minimalista è stata voluta. Ho sempre strizzato l’occhio alla musica elettronica ma per questo repertorio ho voluto tornare ai suoni acustici. Il disco segue un percorso esistenzial-musicale importante e tratta temi che sono parte integrante della mia vita. Si parte con il tema della pace, con due brani che sono l’apertura e la chiusura del concerto. Il primo, Gli ultimi fuochi, è un pezzo che ho scritto per l’album Charade mentre Happiness è una cover dei Blue Nile di Paul Buchanan in cui si parla, in un dialogo con Gesù, di pace interiore. C’è quindi il tema della guerra, sempre di tragica attualità anche sul versante delle relazioni interpersonali e che tocco con 1943, un brano di Mino Di Martino ispirato ai versi della poetessa ebreo-tedesca Else Lasker-Schüler. La poesia è un altro tema a me molto caro caro: A’ cchiù bella è un piccolo capolavoro scritto da Totò e musicato magistralmente da Giuni Russo. Poi, c’è l’amore e La cura, di Battiato e Sgalambro, è una canzone d’amore straordinaria, mentre Dammi la mano amore è un pezzo scritto da me alcuni anni fa in cui viene trattato un amore spirituale. Infine, c’è la ricerca del sacro con canzoni quali Nomadi o Il contatto».
Alice da diversi anni vive in Friuli e proprio alla sua regione d’adozione dedica uno dei pezzi più delicati di questo disco dal vivo. Il brano si chiama Anin a gris e racconta un’antica tradizione friulana, quella di andar per grilli. «Anche questa canzone è basata su un testo poetico», spiega Alice. «I versi sono stati scritti da Maria Di Gleria e le musiche da Marco Liverani, entrambi artisti friulani. Attraverso questa breve frase, Anin a gris, andar per grilli, si vuole descrivere un mondo che non esiste più, in cui si può ancora cercare una purezza di vita che, oggi, sembra davvero appartenere al passato remoto. Tra l’altro, devi sapere che in Friuli ci sono dei grilli enormi, che hanno una voce potentissima: fanno dei veri e propri concerti».
Di solito, un album dal vivo è la documentazione sonora di un periodo che si chiude: una sorta di testimonianza storica. Nel caso di Lungo la strada, il disco è talmente bello e poetico che ascoltandolo fa venire voglia di andare a vedere Alice in concerto nel caso qualcuno se la fosse persa… «Mi piace questa cosa che stai dicendo», ride Alice, «lo ritengo un bel complimento. Sto preparando la tournée estiva e ho già fissato una data a Milano, in autunno, al Teatro Strehler. Questo concerto è stato importante per la mia vita artistica e anche per quella personale. Averlo fissato su cd ha significato per me la possibilità di condividerlo con tante persone, anche con quelle che non hanno potuto assistere a quegli spettacoli».