Ombre, illusioni e rock d’autore con La Crus
Salerno, 25 luglio, la band milanese in gran forma allo Hub Music Project
Quasi trent’anni fa, quando i La Crus debuttarono con il loro eccezionale album omonimo, il mondo della canzone d’autore si apriva a nuove prospettive di ibridazione. Il panorama indie/alternative cominciava a imporsi sempre di più cambiando il volto della musica italiana – l’avvento dei CSI, la crescita esponenziale degli Afterhours, l’esordio dei Marlene Kuntz, l’affermazione dei Timoria – tanto che dopo l’edizione del Tenco del 1994 che aveva sdoganato Ferretti e soci, in quella del 1995 apparvero per il secondo anno di seguito i La Crus. Ancora oggi la creatura di Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Malfatti è inafferabile e aliena, non troppo cantautorale da annoiare i palati elettrici, non troppo spigolosa e bruciante da spaventare i cultori della parola cantata. Il concerto allo Hub Music Project (terza serata dopo Theo Crooker e Bassolino) ha confermato il profilo unico nel suo genere del gruppo milanese, ma anche l’attesa per il ritorno a un ventennio dall’ultimo Lp Infinite possibilità e a un quinquennio dal secondo scioglimento.
Il pop incalzante e lieve della opening band Fiori di Cadillac ha aperto, in un curioso gioco di contrasti, a ben altro tipo di immaginario: un cono d’ombra urbano e sfuggente, una filigrana crepuscolare tra mare e Mitteleuropa, un equilibrio storicamente sottile e sospeso tra i sottofondi più decadenti e ambigui dei nostri anni ’60 e l’austerità iniziatica del Bowie berlinese. Abbiamo trovato il quintetto in forma smagliante, comunicativo e sereno ma soprattutto concentrato sui brani dell’ultimo disco, il vero protagonista della serata. Il live salernitano infatti ha ribadito la bontà di Proteggimi da ciò che voglio, il sesto lavoro di inediti che, per la prima volta nella storia dei La Crus, è stato affidato a un produttore esterno (Matteo Cantaluppi). Il senso della mediazione tra le due anime, risolta con una sequenza di canzoni mature e in linea con l’estetica e il suono del gruppo, dal vivo si traduce in un set scorrevole, intenso, dedicato per intero al disco che è cantabile ma sofisticato, rarefatto ma denso.
Canzoni nelle quali la dignità poetica si è nutrita di riflessioni sul tempo, la vita, le illusioni, l’etica, sconfinando anche in meditazioni sociopolitiche. La pioggia, Mentimi, Shitstorm, Io confesso, la chiusura con Ricordare (Morricone) e L’illogica allegria (Gaber) i momenti più alti di un concerto impeccabile, limpido, come pochi in questo ambito.