L’album d’esordio di Andrea Zucaro nasce innanzitutto da un episodio curioso: il 13 luglio 2012 la sua band Les Brucalifs deve esibirsi in un live importante promosso anche in radio, ma un attacco di febbre decima il gruppo. Da qui Andrea pensa a un progetto solista, per di più cantando in italiano e non più in inglese. Il risultato è questo album di dieci tracce, sorta di viaggio attraverso atmosfere british anni ’60, il surf dei Beach Boys ma anche tanto beat nostrano. Lo afferma lo stesso Andrea in alcune interviste che Beatles e Beach Boys sono ovviamente i riferimenti, ma per un album in italiano si è rivolto anche a Le Orme e ai recenti Baustelle e Verdena.
La metafora del viaggio torna spesso durante l’album con un brano come Pit stop che esplicitamente incarna lo spirito di un viaggio in auto di notte, rievocando “ricordi già scolpiti dentro un film/pellicole sgranate di un drive in”. Oppure con un pezzo quasi disco/new-wave come Tigre, nato davvero da una registrazione con il cellulare in macchina.
Il viaggio è anche attraverso il tempo; brani dal gusto retrò come il pop anni ’60 ispirato a Le Orme di Messico o la molto “british” Il rosso, che invece esplora luoghi comuni e modi di dire molto italiani con un testo brillante (“E non fumi più sulle note degli inglesi/Non indossi più sciarpe lunghe a toni accesi”). E ci sono poi canzoni (la strumentale Moonocababa e Nevada) in cui veniamo proiettati negli anni ’70 da colonna sonora western con echi morriconiani.
Si arriva anche ad atmosfere più anni ’90 e uno dei brani migliori è L.S.D.C. (La sorte dei cantanti), pezzo brit-pop che ancora una volta ironizza sui cliché riguardanti i musicisti che percorrono chilometri di palchi, consumano litri di birra, si esaltano solo ai soundcheck e solfeggiano nei bagni degli autogrill. Ma soprattutto, canta Andrea, “non sanno più se all’indirizzo di Via Gluck/ci sono eroi che vanno in giro con i Suv”.
Il singolo Sfidi mai si regge su una bella ripetitività ritmica su cui si snoda la domanda “sfidi mai il destino?” con un ottimo arrangiamento anche di violino. E più “classic rock” appaiono i riff portanti del brano che apre l’album (Pentagoni) e di Veterano.
L’album è dunque sì un percorso nel passato, ma attraverso così tante influenze e così tanti riferimenti anche cronologicamente differenti, da risultare un piacevolissimo viaggio. E anche la scelta di registrare totalmente in analogico non sembra essere “una moda”, come purtroppo spesso accade, ma appare inquadrata nella autentica riscoperta del calore e delle sonorità sopraccitate.
La metafora del viaggio torna spesso durante l’album con un brano come Pit stop che esplicitamente incarna lo spirito di un viaggio in auto di notte, rievocando “ricordi già scolpiti dentro un film/pellicole sgranate di un drive in”. Oppure con un pezzo quasi disco/new-wave come Tigre, nato davvero da una registrazione con il cellulare in macchina.
Il viaggio è anche attraverso il tempo; brani dal gusto retrò come il pop anni ’60 ispirato a Le Orme di Messico o la molto “british” Il rosso, che invece esplora luoghi comuni e modi di dire molto italiani con un testo brillante (“E non fumi più sulle note degli inglesi/Non indossi più sciarpe lunghe a toni accesi”). E ci sono poi canzoni (la strumentale Moonocababa e Nevada) in cui veniamo proiettati negli anni ’70 da colonna sonora western con echi morriconiani.
Si arriva anche ad atmosfere più anni ’90 e uno dei brani migliori è L.S.D.C. (La sorte dei cantanti), pezzo brit-pop che ancora una volta ironizza sui cliché riguardanti i musicisti che percorrono chilometri di palchi, consumano litri di birra, si esaltano solo ai soundcheck e solfeggiano nei bagni degli autogrill. Ma soprattutto, canta Andrea, “non sanno più se all’indirizzo di Via Gluck/ci sono eroi che vanno in giro con i Suv”.
Il singolo Sfidi mai si regge su una bella ripetitività ritmica su cui si snoda la domanda “sfidi mai il destino?” con un ottimo arrangiamento anche di violino. E più “classic rock” appaiono i riff portanti del brano che apre l’album (Pentagoni) e di Veterano.
L’album è dunque sì un percorso nel passato, ma attraverso così tante influenze e così tanti riferimenti anche cronologicamente differenti, da risultare un piacevolissimo viaggio. E anche la scelta di registrare totalmente in analogico non sembra essere “una moda”, come purtroppo spesso accade, ma appare inquadrata nella autentica riscoperta del calore e delle sonorità sopraccitate.