02/01/2012

LA LEGGENDA DEI DIK DIK

PIETRUCCIO IL VIAGGIATORE

Quando sei in viaggio, la vita ha la stessa qualità di un sogno. È popolata da personaggi che non hai mai visto prima e che, probabilmente, non rivedrai mai più. A volte, ti provoca un po’ di nostalgia di casa o ti fa soffrire di solitudine. Eppure, ti fa sempre sentire come un guerriero vichingo; pronto a una nuova, straordinaria avventura».
Così parlava Agatha Christie, una che sosteneva che «i soldi meglio spesi della mia vita sono stati quelli per i viaggi: ho “comprato” ricordi che nessuno mi potrà mai portare via».
Come lei la pensa sicuramente Pietruccio Montalbetti nato a Milano 70 anni fa, che comincia il suo nuovo libro (Sognando la California, scalando il Kilimangiaro – Aereostella) proprio con queste parole: «Ci risiamo, la storia si ripete. E inizia sempre con un sogno, il mio sogno: girare il mondo e vivere nuove esperienze».
Già, perché Pietruccio è un viaggiatore. Un viaggiatore del pianeta terra ma anche, mi verrebbe da dire, un viaggiatore dell’anima.
Perché?
Lo racconta lui stesso quando spiega come mai viaggia da solo.
«All’inizio, nemmeno io sapevo bene il perché. Poi, con il tempo e dopo una lunga serie di vagabondaggi per il mondo, credo di averlo capito. Ci sono domande alle quali non so dare risposta e misteri che mi inquietano. La parola infinito, ad esempio, mi turba così come la vista sconfinata delle stelle che si muovono nello spazio in maniera perfetta, sempre con il medesimo ritmo. Chi sono io? Perché esisto?
Per provare a rispondere a questi interrogativi ho capito che devo misurarmi con me stesso, contando unicamente sulle mie risorse. Viaggiare da soli aiuta a conoscersi meglio, è un percorso interiore molto simile a una terapia analitica, anzi è mille volte meglio».
Pietruccio, nel mondo della musica, è conosciuto come membro fondatore (nonché voce e chitarra) dei Dik Dik, il leggendario gruppo beat che negli anni 60 ha portato al successo brani come Sognando la California o Senza luce, contribuendo a far conoscere nel nostro paese il sound dei Mamas & Papas o dei Procol Harum. Ma anche quello di un allora sconosciuto Lucio Battisti.
«La musica mi ha accompagnato fin dalla tenera età», racconta, «il primo strumento che mi hanno regalato i miei genitori è stata un’armonica a bocca (che ancora oggi suona con disarmante maestria, nda), strumentino con cui ho condiviso buona parte della mia adolescenza. Quando mi sono imbattuto nel rock’n’roll mi sono subito entusiasmato al punto da acquistare, con i pochi risparmi, una chitarra elettrica con cui ho fatto i primi passi nel mondo della musica».
A 18 anni, Pietruccio forma il suo primo complesso, i Dreamers, insieme ad alcuni amici del quartiere di Milano dove abita, quella via Stendhal così ben descritta nel suo libro precedente (I ragazzi della via Stendhal, ritratto di una generazione – Aereostella, 2010).
«Ho scelto di fare il musicista per vari motivi», spiega Pietruccio, «per il desiderio di stare su un palcoscenico e per spirito d’emulazione, visto che sono nato nello stesso periodo dei Beatles. Penso che la vita sia fatta di casualità a volte negative e a volte, come per me, felicemente positive: è stato per caso che noi tre, io Pepe e Lallo abbiamo deciso di metterci insieme e formare un gruppo. Fortuito è stato anche l’incontro con Battisti ma ancor più casuale è stato il fatto che, in pratica al primo disco, Sognando la California, siamo arrivati primi in classifica con più di un milione di copie vendute. Niente da dire: mi ritengo una persona fortunata».
Pietruccio è una delizia, sempre disponibile e felice di condividere ricordi, riflessioni, esperienze.
«Il mio segno zodiacale è l’Ariete», dice, «ho un carattere calmo e riflessivo. Ma sono anche testardo e quando decido di raggiungere un obiettivo, ci metto tutto l’impegno e la determinazione. Non ho fretta: so che alla fine ci arrivo».
E così è arrivato, l’inverno del 2011, a scalare il Kilimangiaro.
«Lo avevo ammirato in un viaggio in Kenia, l’anno precedente», scrive nel primo capitolo, «una montagna piantata nel mezzo del nulla, a dominare l’Africa intera».
Una vetta che era nel suo destino da almeno 50 anni perché, come sottolinea con arguzia Marino Bartoletti nella prefazione, «quando nel 1967 i Dik Dik esplosero definitivamente con Senza Luce, l’altra canzone che era in auge quella medesima estate si intitolava proprio Kilimanjaro. La cantava Pascal Danel».
Nel libro, centinaia di fotografie bellissime testimoniano la scalata così come racconti, aneddoti, riflessioni nonché vere e proprie considerazioni sul senso della vita.
«Amo la natura in tutti i suoi aspetti e il mondo animale senza distinzione», spiega, «i popoli primitivi mi incuriosiscono, perché intravedo in loro alcuni aspetti naturali che la civiltà moderna ha dimenticato. Io viaggio con spirito antropologico, evito il comfort: vivo, mangio e dormo insieme agli indigeni».
Tra pochi giorni, Montalbetti parte per una nuova avventura. Si chiama Aconcagua, è un 7000 metri nelle Ande cilene. Come sempre ci andrà da solo sfidando temperature che superano i 50 gradi sotto lo zero. E, una volta tornato vincitore, è già pronto a documentare il tutto in un libro.
«Ne ho già pronti 8: di cui uno, Io e Lucio, racconterà Battisti prima di essere Battisti. Perché io l’ho conosciuto quando aveva le pezze al culo e gli ho voluto bene come fosse mio fratello».

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