Sono sulla scena da quasi tredici anni e in Irlanda del Nord sono gli antesignani di quel ritorno all’hard rock vintage di matrice ’70s che poi è diventato di moda a livello globale, portando in auge gruppi quali Year Long Disaster, Rival Sons e Wolfmother. Il chitarrista Paul Mahon, che è stato il membro fondatore del gruppo di Newcastle, County Down, tiene a precisarlo ma se non recrimina: «Anche noi siamo stati ispirati da altri. È l’eterna spirale del rock’n’roll, ma siamo giunti al quinto disco, e dunque la nostra storia parla da sola». Il loro ultimo lavoro New Horizon più che una sorpresa è una conferma. Sentiamo cosa Paul ci dice a proposito.
Come sta andando il tour europeo?
«Bene. Siamo seguiti da uno zoccolo duro di fan che ci ama da anni. Quando decisi di formare la band non pensavo proprio che gli Answer sarebbero arrivati a suonare fuori dall’Irlanda, quindi mi ritengo soddisfatto».
Come avete iniziato?
«Ero batterista in un gruppo che circa quindici anni fa faceva cover dei Red Hot Chili Peppers, ma al corso di musicologia e di tecnologia musicale all’università incontrai il bassista Micky Waters che nutriva una passione per i Free e per l’hard rock anni ’70. Con l’aggiunta di James Heatley e Cormac Neeson [l’anima più heavy del combo] iniziammo a suonare nei dintorni di Belfast, fino a diventare popolari. Arrivò il primo contratto discografico con la Albert Records [la label con cui iniziarono gli AC/DC] e poi approdammo alla Spinefarm-Universal, ma dentro a una major noi non eravamo nessuno, non venivamo affatto seguiti perché c’era sempre una qualche altra priorità, così siamo passati alla Napalm».
Siete anche stati in tour con gli AC/DC. Che tipo di esperienza è stata?
«È stata nel contempo spaventosa e fantastica. Avere accesso al pubblico degli AC/DC può essere paralizzante, ma se superi la paura poi diventa adrenalina pura. Sono rimasto invece colpito dagli AC/DC, persone meravigliose oltre che grandi professionisti. Nel backstage si prendevano cura di noi, ci trattavano con rispetto e amicizia. È proprio vero che i grandi sono umili, mentre i presuntuosi sono in realtà dei mediocri».
Siete partiti con un’idea precisa su come doveva essere il nuovo disco?
«Volevamo essere più pesanti, omaggiare anche la nostra passione per i Therapy? e gli Helmet e speriamo di esserci riusciti. Poi si sente sempre l’influenza degli AC/DC, perché l’aver suonato a lungo con loro ci ha cambiati, così come avere affiancato i Whitesnake».
Visto il vostro tipo di suono, avete registrato in analogico o in digitale?
«In entrambi i modi. Abbiamo digitalmente smussato il suono della batteria, per il resto abbiamo registrato quasi in presa diretta per mantenere l’effetto live».
Che cosa ascoltano gli Answer oltre all’hard rock vintage?
«Ultimamente ascoltiamo un sacco di blues e poi i Clutch».
Quale significato ha il titolo dell’album New Horizon? Vuole forse sancire un nuovo inizio?
«Sì, nel senso che siamo passati su etichetta indipendente e dunque siamo diventati totalmente padroni di noi stessi. Abbiamo iniziato a suonare un certo tipo di musica quando non era trendy, e quindi agli inizi siamo stati parecchio criticati. È stata dura mantenerci coerenti remando controvento. Ora il vento è favorevole e finalmente i nostri meriti vengono riconosciuti. Meglio tardi che mai, possiamo ritenerci contenti».