Glielo avevo (e me lo ero) augurato qualche anno fa, alla vigilia dell’uscita di Some Devil, suo primo episodio solista.
“E se questa svolta stilistica gli aprisse nuovi mercati, incluso quello del vecchio continente”, scrivevo, proprio da queste colonne, nel novembre 2003, “vuoi vedere che il ragazzone sudafricano potrebbe, di colpo, suonare alle colte e sofisticate orecchie europee meno americano del solito?”.
Non so se quella mossa gli abbia veramente giovato. Non so neppure dirvi come, quando e, soprattutto, se davvero la classe, l’originalità e il talento di Dave Matthews (ormai un “ex incompreso” anche qui da noi) siano stati definitivamente scoperti dal pubblico nostrano. Sta di fatto che lo scorso mese, per il concerto acustico di Dave al Teatro Dal Verme di Milano, i biglietti sono andati a ruba: sold out, con mesi di anticipo. E con bagarini che rivendevano i pochi tagliandi rimasti a prezzi stellari ai malcapitati dell’ultima ora.
Un’atmosfera lontana anni luce dalle prime apparizioni della DMB in Italia: pochissimi gli addetti ai lavori presenti al primo showcase al Factory di Milano il 27 marzo 1995 e addirittura soltanto una cinquantina di spettatori per Sonoria 1996 (quando, seccato di fronte alla desolante visione, Dave ringrazia la filiale italiana della sua casa discografica per l’eccellente promozione.). Non va meglio neppure a Correggio, nel luglio 1998: alla locale Festa dell’Unità ci sono più zanzare che pubblico.
Da allora, l’Italia viene accuratamente evitata da Dave e soci con conseguente scoramento dei suoi pochi, ma fedelissimi ammiratori. Alcuni di loro, i più tenaci e agguerriti, però non mollano. Anzi, decidono di consorziarsi per condividere in modo significativo e gratificante la loro incontenibile passione. Nasce così un vero e proprio fan club che, in era Internet, diventa un sito/forum.
Oggi si chiama Con-fusion (www.davematthewesband.it) ed è formato da ragazzi giovani, carini ed entusiasti che, la sera prima del recente concerto milanese, trovano il modo di inventarsi un divertente “get together” con tanto di cover band, i toscani Joe Busted Band (bravissimi) ad animare il tutto. Le duecento magliette rossonere dei Daveheads di Con-fusion spiccano, come macchia inconfondibile, nella affollatissima platea del Dal Verme che (poco dopo le 21) accoglie con un boato l’entrata in scena del suo eroe. T-shirt nera, pantaloni rossicci, capello corto e andatura ciondolante, Dave conserva il look da ragazzo della porta accanto. Si siede sul suo sgabello, imbraccia una bella Martin acustica (abbandonando per un giorno la fedele Taylor) e inizia un lungo, fascinoso strumentale impreziosito dagli abbellimenti chitarristici di Tim Reynolds, vecchio amico nonché abituale compagno d’avventure soniche sin dagli esordi nei piccoli club di Charlottesville. La intro, con qualche gradevolissimo accenno psichedelico, serve per lanciare la classica Bartender che sancisce ufficialmente l’inizio del concerto. Una scenografia essenziale, un audio perfetto e un light design elegantissimo conferiscono al tutto il giusto tono. Dave è rilassato e anche divertito quando in un italiano (francamente) improbabile ringrazia tutti e decanta le nostre virtù: “bella gente, buon vino”, ripete ad libitum. Intanto, scorrono brani da Some Devil e parecchie hit della DMB. E, proprio come nel doppio live del 1999 (registrato al CFL Theater del Luther College di Decorah, Iowa), Matthews e Reynolds rivisitano i pezzi in modo intelligente: qui si va al cuore melodico e alle intenzioni artistiche originarie delle composizioni di Dave, spogliando il tutto dagli arrangiamenti spumeggianti e dai virtuosismi strumentali della band. E se, in questa chiave all acoustic, qualche classico risulta inevitabilmente penalizzato (Ants Marching, su tutti) sono tanti i brani che assumono nuova, accattivante forma senza rinnegarne lo spirito: Satellite, Crash Into Me, Jimi Thing, #41 o Gravedigger suonano, ad esempio, assolutamente deliziose. Il pubblico spesso applaude dopo poche battute, non appena riconosce il pezzo. Dave trova anche il modo di presentare due inediti (Sister e Corn Bread) “che tanto avrete già scaricato”, dice rivolto al pubblico in sala, “e se non lo avete ancora fatto, procedete pure”; così come una raffinatissima versione di Still Water dal song book di Daniel Lanois (“ho cercato di essere il più figo possibile”, sottolinea alla fine del brano, “anche perché avendola suonata sul palco insieme a Lanois e a Emmylou Harris non puoi non essere figo.”).
Piacciono molto anche Don’t Drink The Water, Old Dirt Hill, Crush. Dopo quattro bis (Two Step come tradizionale chiusa) e quasi tre ore di canzoni (interrotte da un solo chitarristico dello stravagante folletto Timmy Reynolds) Dave saluta e se ne va. Con la promessa di tornare, stavolta insieme alla band. Vendetta è compiuta.
10/05/2007