28/05/2008

LE ORIGINI DEI JETHRO TULL

Nell’ottobre 1968 This Was dei Jethro Tull prendeva posto sugli scaffali dei negozi di dischi. Quarant’anni sono passati e molto è stato scritto su quel disco con in copertina quattro finti vecchietti che guardano l’ascoltatore con un’espressione che sembra dire: siete proprio sicuri di essere pronti per questo disco?
This Was è un album di chiara ispirazione blues che Ian Anderson ha più volte definito come “una sorta di blues urbano”. All’epoca, racconta il cantante in occasione della pubblicazione della Collector’s Edition edita dalla Emi con una dozzina di tracce rare, “c’erano band come John Mayall e Fleetwood Mac che vivevano il blues come una vera e propria missione. Noi non lo prendevamo troppo seriamente, ma la nostra musica era pur sempre blues, anche se più acustico”. Il blues come materia prima, plasmabile attraverso le ancora poco sapienti mani di Anderson, che si era lanciato con entusiasmo a suonare il flauto malgrado le continue resistenze del manager e anche dei componenti della band, Mick Abrahams in particolare. “Lottai per la mia posizione nel gruppo. A Mick non piaceva che suonassi il flauto: troppo poco blues. Voleva che suonassi la chitarra ritmica. Io, caparbiamente, rimasi al centro del palco a cantare e suonare a modo mio finché tutto si focalizzò su di me”. L’allora bassista Glenn Cornick ha ricordi diversi per quanto riguarda il rapporto tra il futuro leader e il chitarrista: “Non ricordo che ci fossero particolari frizioni tra Ian e Mick, almeno in materia musicale. Va detto, però, che era davvero difficile lavorare con Mick per via del suo carattere. Entrammo negli studi Sound Techniques con 1.000 sterline e cinque canzoni pronte. Con quel denaro dovevamo registrare un album e pagare il grafico per la copertina. Eravamo totalmente inesperti. Registrammo su un 4 piste per dieci giorni. Ci affidammo totalmente a Victor Gamm, l’ingegnere del suono dello studio. Io registrai le mie parti in diretta con Clive (Bunker, il batterista, ndr). Una canzone al giorno, registrata e mixata. Non rientrammo mai in studio per remixare l’album. Si è spesso parlato di due versioni del disco con due mix diversi. Se questo è vero, furono fatti due missaggi per ogni singola canzone una volta terminate le registrazioni”.
La componente ribelle del giovane Anderson trovò la sua migliore espressione nella scelta, controcorrente all’epoca, di proporre un’immagine di sé e della band agli antipodi dello stereotipo dell’epoca dettato dai ragazzi ribelli e sbruffoni come Mick Jagger e Pete Townshend: “Arrivai a Londra” racconta il cantante “indossando un cappotto pesante regalatomi da mio padre. Faceva davvero freddo quell’inverno. Ero un giovane tutto pelle e ossa che non beveva, non faceva uso di droghe e non aveva dovuto fare a cazzotti con nessun fino a quel momento”. Ian era a tutti gli effetti un “giovane vecchio” davvero poco appetibile per gli standard dell’epoca, soprattutto a Londra. Questo creò curiosità. “Non eravamo belli” ricorda Cornick “ma Ian aveva la capacità di fare cose che al tempo stesso sconcertavano e incuriosivano le persone. Mi ricordo i nostri primi concerti, fu lì che decise di salire sul palco con il cappotto che indossava ogni giorno. Furono questi gesti a dare una identità ai Jethro Tull, facendoli uscire dall’anonimato”.
Se pensate a Ian Anderson, lo immaginerete sicuramente in piedi su una gamba sola che suona il flauto. È l’immagine che il musicista ha contribuito a costruire. Il flauto era uno strumento che nel 1968 sembra aver ben pochi legami aveva con il rock e il blues, ma non per Anderson: “Eric Clapton è stata la mia principale influenza quando ho iniziato a suonare il flauto” afferma a sorpresa. “Nel senso che ascoltando lui ho capito che non sarei mai diventato un grande chitarrista: non mi interessava essere uno dei tanti. Inoltre, per trovare un mio stile sul flauto ho iniziato a interpretare delle figurazioni chitarristiche, dai riff alle improvvisazioni blues”.
La determinazione è alla base di ogni grande band. È quest’ultima, in qualche modo, a favorire la ricerca di un sound unico che prende forza anche dai contrasti all’interno della formazione. “Il titolo del disco (This Was, letteralmente: “Era questo”, nda) voleva sottolineare la temporaneità del sound e dello stile fissato nel disco. La musica è ricerca. Quel disco apparteneva già al passato, da qui l’idea di presentarci truccati da vecchi”. Questi i ricordi di Anderson a cui si aggiungono quelli di Cornick: “La session fotografica fu un vero delirio. C’era una truccatrice della Bbc e tutti quei cani che abbaiavano nello studio fotografico di Brian Ward. Fu un miracolo riuscire a scattare qualche foto decente. Per festeggiare andammo a suonare ancora truccati al Toby Jug a Tolworth”.
This Was rappresenta i Jethro Tull del 1968, quelli in cui blues e ricerca sonora ora convivevano, ora si scontravano: da una parte c’erano Beggars’ Farm, unica canzone scritta a quattro mani da Anderson e Abrahams, e My Sunday Feeling, dall’altra la profetica Move On Alone. Dopo soli dieci mesi di permanenza nella band, Mick Abrahams abbandonò all’indomani della pubblicazione del 33 giri e con il tour americano alle porte. Per Ian Anderson la questione fu chiara sin dall’inizio: “Convincemmo Mick a lasciare il gruppo. C’erano troppi conflitti musicali: voleva suonare solo blues e non voleva fare concerti che fossero lontani più di 200 miglia da casa”. Fu il primo di molti avvicendamenti che non hanno scalfito negli anni l’immagine dei Jethro Tull, sempre più creatura di Anderson. “Per il tour che celebra i quarant’anni della band”, e che passa per l’Italia dal 30 giugno al 6 luglio, “abbiamo invitato tutti gli ex componenti della band a raggiungerci sul palco. Ho buoni rapporti con tutti. C’è chi ha già accettato, pochissimi non hanno risposto e qualcuno ha ringraziato ricordandomi, come Jeffrey Hammond, che non suona più dal 1975, da quando cioè uscì dal gruppo”.
La Londra di fine anni 60 poteva contare su personalità che molto hanno contribuito allo sviluppo e al successo della musica rock nella sua accezione più alta. Tra questi due nomi spiccano: John Peel e John Gee, il deejay che portò il rock in ogni casa inglese e il manager di un piccolo grande locale londinese che si chiamava Marquee. “Questo tour” asserisce con voce profonda Anderson “è principalmente un tributo a persone e luoghi come il Marquee che hanno permesso a band come la nostra di ottenere risultati inimmaginabili e duraturi. Arrivammo al Marquee da perfetti sconosciuti e quel locale ci dette la consapevolezza delle nostre potenzialità. Il tour è anche dedicato a John Peel, che ha dato un contributo fondamentale agli inizi della nostra carriera. I rapporti s’interruppero bruscamente quando non potemmo partecipare al suo programma. Pensò che l’avessimo fatto di proposito, ma non era stato così. Da quella mancata apparizione al suo programma l’ho incontrato una sola volta in un corridoio della Bbc. Lo vidi e m’incamminai verso di lui, ma mi resi conto che il suo sguardo non voleva incontrare il mio e capii che ce l’aveva ancora con me. Mi dispiace non aver fatto pace con lui”. Cornick ha una visone molto meno politically correct a riguardo: ”John ci aiutò molto agli inizi e credemmo di essere diventati amici, ma appena This Was iniziò ad avere successo prese ad ignorarci. Poco dopo l’uscita dell’album io e Ian stavamo passeggiando per Oxford Street a Londra e lo incrociammo: fece finta di non vederci e cambiò marciapiede. Non avemmo più contatti con lui, meno male che c’erano altri giornalisti e radio interessati a promuoverci. Questo dimostrò che i Jethro Tull potevano esistere anche senza John Peel”.
Se per Pete Townshend la frase “spero di morire prima di diventare vecchio” assume di anno in anno, coi compagni di viaggio passati a miglior vita, un sapore sempre più amaro, per Ian Anderson il ritornello in cui affermava d’essere “troppo vecchio per il rock’n’roll, troppo giovane per morire” ha avuto invece un potere quasi scaramantico. A 61 anni, il suo volto è di gran lunga più giovanile di quello che aveva sulla copertina di This Was.

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