Sono passati tre anni da quel maledetto ottobre del 1997 quando, nel corso di un concerto a Flint, Michigan, Johnny Cash venne colto da un brutto capogiro dopo essersi chinato a raccogliere il plettro della sua chitarra. Ripresosi quasi subito, annunciò sorprendentemente al pubblico presente in sala di essere affetto dal morbo di Parkinson. Qualche giorno dopo, in realtà, gli venne diagnosticata la sindrome di Shy-Drager che, come il Parkinson, è una patologia degenerativa del sistema nervoso per la quale a tutt’oggi non esiste una cura. La prognosi fu terrificante: l’inarrestabile progredire della malattia è destinato a durare anche diversi anni ma porta ineluttabilmente alla morte.
Da quel giorno, il poderoso fisico di Johnny Cash (già consunto da anni di abusi di amfetamine e stupefacenti e messo a dura prova da un’operazione a cuore aperto effettuata nel 1990) ha subito altri scossoni pericolosi. In particolare, negli ultimi mesi una polmonite e due brutte ricadute non gli hanno dato tregua. Eppure, nonostante i pesanti acciacchi, oggi, alla soglia dei 70 anni questo vero e proprio colosso della american music è attivo più che mai. E se è pur vero che le precarie condizioni fisiche gli impediscono di andare in tour (ha praticamente smesso in seguito all’incidente dell’autunno ‘97), dal punto di vista discografico l’Uomo in Nero è di nuovo sulla breccia. Parte del merito va riconosciuto a Rick Rubin, produttore geniale e di larghe vedute, che nel 1994 ha convinto Cash a riproporsi in chiave acustica. Il bellissimo American Recordings è stato il preludio all’ancor più straordinario Unchained del 1997 premiato con un Grammy.
Gli album in questione hanno riacceso di colpo l’interesse dei media per questo autentico mito della cultura popolare americana. Figlio della Grande Depressione, J.R. Cash nasce il 26 febbraio 1932 a Kingsland, Arkansas. Dopo aver trascorso alcuni anni in Germania, nell’esercito americano, torna negli Usa nel 1954, si sposa con Vivian Liberto (con cui di lì a poco concepirà Rosanne, oggi apprezzatissima country/folksinger) e va a vivere a Memphis. Lì, dopo diversi tentativi, riesce a convincere Sam Phillips, il deus ex-machina della Sun Records, la prima e più grande label di rock’n’roll. Così, Hey Porter e Cry, Cry, Cry rendono immortali il vocione basso-baritonale di Cash e il suo ‘boom, chicka, boom’ (prodotto dalla combinazione tra lo strumming della sua chitarra acustica – sotto le cui corde aveva sistemato un foglietto di carta per imitare il rullante della batteria – e i giri di basso dell’altro chitarrista Luther Perkins). Pezzi come I Walk The Line o Ring Of Fire fanno il resto.
Purtroppo, il grande successo è accompagnato da una vita turbolenta: divorzia da Vivian Liberto e nel 1968 sposa June Carter, figlia di Maybelle, una delle grandi regine della old time music americana, e comincia una dipendenza alla droga, destinata a durare oltre trent’anni, che lo porterà più volte dietro alle sbarre. L’esperienza carceraria spingerà Cash a realizzare due progetti discografici (Live At Folsom Prison e Live At San Quentin) direttamente consegnati alla storia.
Da sempre personaggio ricco di contraddizioni, Johnny Cash è capace di essere fervente cattolico e nello stesso tempo di avere comportamenti mille miglia lontani da quelli di un cristiano: di difendere strenuamente i diritti dei nativi americani (vi ricordate la sua cover di The Ballad Of Ira Hayes del cantautore pellerossa Peter LaFarge?) ma di esibirsi per il Presidente degli Stati Uniti; di stigmatizzare gli interventi militari americani in Indocina e di duettare con il più grande amico di Nixon. Musicalmente, le sue ‘trasgressioni’ (che si insinuano in una carriera sempre più densa di show televisivi, partecipazioni cinematografiche e ospitate di grande prestigio) non sono da meno. In pieno successo da restaurazione nashvilliana, nel 1969 incide un memorabile duetto con Bob Dylan (Girl From The North Country), mentre nel 1971 con l’album Man In Black critica aspramente la guerra in Viet Nam e decide che, in segno di protesta contro la povertà, i pregiudizi razziali e tutti mali della società americana, si vestirà solo in nero sino a che le cose non cambieranno.
A metà anni 80 si unisce ad altri leggendari ‘fuorilegge’ della musica a stelle e strisce (Waylon Jennings, Willie Nelson e Kris Kristofferson) dando vita agli Highwaymen.
Oggi, 30 anni dopo, Cash è ancora l’Uomo in Nero d’America. Come sempre inarrestabile, coriaceo e impegnatissimo (“Non penso alla mia malattia. Non ne ho il tempo”), Cash dopo aver consegnato pochi mesi fa un bellissimo cofanetto antologico di 3 cd (Love, God And Murder) pubblica in questi giorni American III, terzo episodio acustico della saga diretta da Rick Rubin mentre per il prossimo anno ha già previsto la realizzazione di un album gospel. C’è anche chi sospetta che la diagnosi dei medici non sia totalmente corretta ma su questo punto è calata una cortina di no comment da parte dell’entourage di Cash. Di sicuro c’è una cosa: per l’ennesima volta questo omone indistruttibile sembra nuovamente in grande forma, almeno dal punto di vista artistico. Sentite cosa ha dichiarato a Rolling Stone poco tempo fa: “Per il nuovo album abbiamo registrato 28 pezzi, molti dei quali con solo due chitarre acustiche: la mia, quella di Norman Blake o a volte di Randy Scruggs. Abbiamo fatto il lavoro di base qui, nel mio studio in casa, a Hendersonville, Tennessee. Poi siamo andati in California e in tre settimane abbiamo finito il tutto. So che molti pensano che l’accoppiata tra me e Rick Rubin sia alquanto curiosa. Eppure, lavoriamo benissimo insieme. Specie quando siamo in studio”.
Alla fine, di questo American III rimangono 14 tracce. Un paio, la bellissima I Won’t Back Down e la successiva, quasi autobiografica Solitary Man riportano in auge il duetto con Tom Petty, già sfruttato con successo nel precedente Unchained. Ma ciò che davvero stupisce è la capacità di Cash di trasformare brani come One (degli U2) o The Mercy Seat (Nick Cave) in classici della tradizione americana alla pari del conclusivo e commovente traditional Wayfaring Stranger. Tra gli originali di Cash, una menzione particolare va per l’intensa Before My Time. Arrangiato in modo scarno ma elegantissimo, l’album prevede (oltre agli interventi di Tom Petty e del fido Heartbreaker, Benmont Tench) anche la partecipazione di Merle Haggard, della moglie June Carter e della splendida Sheryl Crow (in Field Of Diamonds). Come a dire: un nuovo Grammy è in agguato.