Ha origini partenopee ma è nato (1976) a Pordenone, dove ancora oggi vive. Di lui hanno detto che è «autore colto e sensibile, capace di costruire atmosfere malinconiche e struggenti che appartengono alla nostra storia», che è «un maestro nella descrizione delle emozioni», che possiede «la stessa magia di Rota e Morricone», che la sua è «una musica senza parole che comunica meglio di qualsiasi discorso». Addirittura, qualcuno sostiene che l’arte immaginifica di Remo Anzovino può essere «uno straordinario antidoto ai tempi moderni».
«Lo studio legale» spiega l’avvocato-compositore di fronte agli studenti del Master in Giornalismo e Critica Musicale del CPM «non è solo un’attività che mi dà sicurezza economica consentendomi di dedicarmi alla musica. È anche un osservatorio privilegiato sulle problematiche (e spesso anche sulle miserie) del genere umano». Anche per questo Tabù, il suo secondo lavoro discografico, presenta brani come Metropolitan, Dentro le mura o Deriva, che sottolineano (rispettivamente) l’assenza di calore umano nelle grandi città, le nostre prigioni quotidiane, la deriva dei sentimenti. L’album diventa così un concept sulle trasgressioni contemporanee, una riflessione su come ne è cambiata la percezione negli ultimi decenni. Un lavoro che (al di là di qualsiasi considerazione concettuale) presenta, in modo emblematico, la formula musicale di Anzovino: uno squisito mélange di classica, jazz, rock e folk, originale e accattivante, con linee melodiche orecchiabili, ritmi caldi e sincopati, con spesso presente un malinconico suono di fisarmonica che evoca il fantasma di Piazzolla. «Quando compongo, parto sempre dal pattern ritmico», dice, «poi sviluppo la melodia. M’ispiro alla vita reale: Son, ad esempio, è stata composta dopo aver visto l’ecografia di mio figlio».
Nell’album, anche un paio di brani del lavoro precedente (Dispari), uscito nel 2006 e accolto piuttosto bene dalla critica, tanto che Anzovino si fa conoscere dai più qualificati show radiofonici e la sua musica viene utilizzata come commento sonoro da alcuni programmi televisivi importanti (da Ballarò a Otto e mezzo). Si tratta di composizioni originariamente scritte come accompagnamento ai capolavori del cinema muto («Anche se cerco di fare musica che non si “appoggi” sulle immagini») e in particolare a due star di quei roaring 20’s, la seducente Louise Brooks e la pasionaria attrice-fotografa di origine friulana Tina Modotti. «La sensualità è una delle mie principali fonti d’ispirazione», racconta. «Sono rimasto incantato dalle foto della Modotti quando mi è stato chiesto, molti anni fa, di controllare il suo catalogo dall’associazione culturale CinemaZero di Pordenone».
Simpatico e disponibile, Anzovino riempie la conversazione con citazioni colte e osservazioni puntuali. L’aspetto placido (e rotondetto), gli occhiali con montatura spessa alla Buddy Holly e l’abbigliamento da ragazzo della porta accanto non gli conferiscono certo un look da rockstar. Anche se, poi, ammette che quando ascolta i Led Zeppelin si eccita («Per me sono stati la più grande rockstar della storia: sesso allo stato puro») e quando si siede al pianoforte si trasforma. Grintoso, passionale e brillante Remo (da dietro la tastiera) sembra guidare “fisicamente” i suoi collaboratori, l’eccellente fisarmonicista Gianni Fassetta e il fratello Marco Anzovino, chitarrista di sostanza con spiccate doti ritmico-percussive. Un po’ come Keith Jarrett (ma in modo assai più divertito), incarna alla perfezione il sacro binomio jazz-blues del body and soul: ondeggia sui tasti, accompagna la melodia con urletti e mugolii, sembra fondere il suo corpo con quello dello strumento. «Devo tutto a mio padre», svela. «Pur non essendo un grande appassionato di musica, quando io e mio fratello eravamo piccoli, ha comprato un pianoforte. E, dopo aver imparato i primi rudimenti tecnici, ha scritto una ninnananna per noi figli. Ce la faceva sentire sempre: a un certo punto, ho avuto voglia di suonarla anch’io. In pochissimo tempo ce l’ho fatta. Da quel momento, papà ha capito che avevo una predisposizione naturale per lo strumento e mi ha esortato a studiarlo. Ma lui, da allora, non ha più toccato il pianoforte. Pochi anni dopo, un amico di mio padre mi ha consigliato Explorations di Bill Evans: quel disco mi ha cambiato la vita».
All’epoca, Remo non ha ancora compiuto 13 anni. E dopo Bill Evans grazie a una fidanzatina scopre Luigi Tenco e gli chansonnier francesi. Poi arrivano Weather Report, Pino Daniele, il rock classico e le musiche etniche. «Ma non ho mai dimenticato l’insegnamento del mio maestro di pianoforte che sosteneva che Bach è stato il più grande architetto della musica. “Con due mattoni costruiva una casa”, sosteneva. Un giorno mi ha detto: “Prova a girare lo spartito al contrario e suona lo stesso pezzo; scoprirai che la melodia (suonata con la mano destra) che è la domanda e il basso (la mano sinistra) che è la risposta (se suonati al contrario) sono la stessa domanda e la stessa risposta”. Sono rimasto folgorato».
«L’Allegretto della settima sinfonia di Beethoven» continua Anzovino «è un’altra delle musiche che mi hanno maggiormente condizionato: cosa c’è di più sublime e al tempo stesso elementare di quella danza?». Tabù non è solo un disco curioso, originale, affascinante. È anche uno spettacolo multimediale nel quale le musiche di Anzovino accompagnano immagini suggestive proiettate su uno schermo alle spalle dei musicisti aumentando, così, la seduzione artistica dell’avvocato di Pordenone. Per saperne di più: www.remoanzovino.it.
Buon ascolto.