Si chiama Rita Gilligan, ha 69 anni, è nata sulla costa occidentale d’Irlanda, nella contea di Galway, ma da quasi dieci lustri vive a Londra. E proprio nella capitale inglese, nell’estate del 1971, accetta l’offerta di lavoro che le cambia la vita. «Cercavano una cameriera per un nuovo locale», racconta con verve e simpatia, «un ristorante nei pressi di Hyde Park». Lo avevano aperto due giovani statunitensi, Peter Morton e Isaac Tigrett. La loro idea era semplice: provare a lanciare a Londra un locale all’americana, un hamburger place informale, economico, adatto per il pubblico giovanile. «Volevano una cameriera esperta», racconta Rita, che risponde alle mie domande come una navigata professionista della comunicazione. «Loro, all’epoca, avevano poco più di 20 anni, io 30. Ero sposata, con figli».
«Rita, tu mi piaci e mi sembri adatta per il lavoro», le dice Peter Morton, «ma non sei sufficientemente anziana». «Sono il meglio che puoi avere», risponde Rita con sicurezza imbarazzante. «Due giorni dopo, ero già lì, con la mia bella divisa bianca, pronta a servire ai tavoli del locale, cui i due ragazzi americani avevano trovato un nome perfetto: Hard Rock Cafe. L’opinione pubblica non ci amava: ci avevano dato tre settimane di vita anche perché il nostro ristorante era davvero controcorrente. In una Londra in cui, ai tempi, fuori dai luoghi pubblici venivano spesso affissi cartelli con la scritta “No blacks, no dogs, no irish” (qui non entrano negri, cani e irlandesi), all’Hard Rock Cafe servivamo tutti, con la medesima gentilezza e lo stesso affetto». Il motto di Peter Morton e Isaac Tigrett, «Love all, serve all», sintetizzava alla perfezione l’attitudine del locale che, grazie al cibo buono, ai prezzi economici, alla musica rock che allietava la cena e all’atmosfera rilassata e informale, riscuote subito grande successo. «Dopo poco tempo, parecchie rockstar hanno iniziato a frequentare il locale. Ti parlo di Beatles, Stones, Eric Clapton, The Who: insomma, la crème del rock inglese. Tutti lì, ai nostri tavoli a trascorrere serate divertenti».
Un giorno, proprio Eric Clapton entra all’Hard Rock Cafe. Ha in mano una bellissima Fender Lead II, rossa. «La vuoi?», chiede a Peter Morton. «Grazie Eric, ma non suono la chitarra», gli risponde il giovane americano. «Fanne ciò che vuoi», replica Clapton, «puoi persino appenderla al muro». «In quel momento» ricorda Rita «è nata la leggenda dell’Hard Rock Cafe e della sua favolosa collezione di memorabilia». Già, perché nel giro di un paio di settimane, nel locale al 150 di Old Park Lane, entra un’altra chitarra prestigiosa: una Gibson Les Paul nera. «C’era attaccato un bigliettino, scritto a mano che recitava esattamente così: “La mia è bella quanto la sua”. Firmato: Pete Townshend». Da allora, tutti i più grandi musicisti rock, decidono di donare al ristorante di Morton e Tigrett (che entra ancora di più nell’ambiente dopo aver sposato Maureen Starkey, la prima moglie di Ringo) strumenti, copertine autografate dei loro dischi più famosi, capi d’abbigliamento, poster originali e ogni genere di memorabilia «Non ci sono dubbi: oggi, Hard Rock Cafe è il più grande collezionista al mondo di rock», mi spiega l’amico Joel Selvin, critico musicale del San Francisco Chronicle e stimatissimo storico del rock, autore insieme a Paul Grushkin dello spettacolare volume Treasures Of The Hard Rock Cafe, un libro illustrato di 300 pagine che spiega la storia del locale e mostra i pezzi più pregiati di una collezione straordinaria. Nella quale spicca una fantastica rarità: la Gibson Flying V appartenuta a Jimi Hendrix e da lui suonata nel suo ultimo, grande concerto, quello dell’isola di Wight nell’agosto 1970. «Sta nell’HRC di Londra, so che vale più di un milione di euro ed è il pezzo più pregiato di tutta la nostra collezione», spiega Rita, «anche se dovresti vedere la stanza bianca di Orlando, quella interamente dedicata a John Lennon con il pianoforte di Imagine». Proprio a Orlando, Florida, c’è il quartier generale di Hard Rock Cafe: una vera e propria multinazionale del rock con 140 ristoranti (in più di 40 paesi), diversi hotel e casinò, persino un parco dei divertimenti che però non ha avuto fortuna. Dal 2006, per una cifra di poco inferiore al miliardo di dollari, la tribù degli indiani Seminole ha acquistato la proprietà di HRC. «Hanno un sacco di soldi», mi dice Rita, «ma mi piacciono e hanno voluto che fossi io, la prima cameriera dell’Hard Rock, ad essere la loro ambasciatrice e custode spirituale». Così, oggi Rita non fuma più spinelli al tavolo di Eric Clapton, Paul McCartney, Pete Townshend o Freddie Mercury, ma gira per il mondo ad aprire i nuovi locali e a curarne le feste di inaugurazione. Il 27 aprile del 2009 era a Venezia, per inaugurare HRC Venice, il più piccolo (ma anche il più charmant) del mondo, a 20 metri da San Marco, di fronte al bacino Orseolo, il “parcheggio” di gondole più famoso di Venezia.
Tutti gli anni, il 14 giugno (anniversario di apertura di HRC Londra) a Hyde Park Lane, per un giorno, si propone il menù originale, con i prezzi dell’epoca.
Perché, come cantava Carole King, «I hope you can find your way to the Hard Rock Cafe…».
10/03/2010