28/01/2008

LIVERPOOL

DAI BEATLES AGLI ZUTONS, VIAGGIO NELLA CITTà DEI SOGNI ROCK

Ritorno alle origini, con orgoglio. È questo il monito con cui l’ex Beatle Ringo Starr ha aperto le celebrazioni per Liverpool capitale della cultura europea 2008. “Uno può vivere ovunque o avere case in luoghi diversi, come me. Ma vuoi mettere poter dire: ‘Non ci crederai, ma vengo da Liverpool’ e vedere lo stupore sul viso dell’interlocutore?”.
Una battuta, quella di Ringo, tipica dell’umorismo beatlesiano. Lo stesso che Richard Starkey di certo possiede per natura, nel rispondere alle domande di fan e giornalisti. Ma è certo che l’orgoglio è quanto accomuna l’ex Beatle a tutti gli artisti coinvolti nelle celebrazioni cittadine. Gli occhi del mondo, all’inizio del 2008, sono infatti rivolti a Liverpool e al suo ospite d’eccezione, acclamato “homecoming hero”. A Ringo ha fatto eco Paul McCartney, che durante l’inaugurazione è apparso in video annunciando il suo concerto del 1° giugno all’Anfield Stadium. Grandi schermi e palcoscenici improvvisati per le strade accolgono i visitatori. Ci sono funamboli, acrobati e giocolieri; circensi, one man band e gruppi musicali. È questa l’atmosfera che ci avvolge in una Liverpool investita da un vento gelido, lo stesso che alza le onde scure del Mersey. Eppure in città c’è moltissima gente. Turisti, in gran parte americani, giornalisti e fotografi ma anche residenti. Molti aspettano l’arrivo di Ringo alla George Hall, dove in serata si è svolto il primo dei due show che lo ha visto protagonista insieme a Dave Stewart e ad altri noti musicisti. Ma le 50 mila persone in attesa, a fare un vero tifo da stadio, erano tutte per lui: Richard Starkey.
Magro e con un fisico scattante da ragazzino, Ringo è arrivato correndo a salutare il gruppetto di folla, prima di iniziare la conferenza stampa e incontrare alcuni giornalisti per interviste singole. Non dimostra affatto i suoi 67 anni, è rimasto tale e quale da vent’anni a questa parte. Non si può dire lo stesso di McCartney che, anche secondo alcuni giornalisti locali, starebbe in effetti vivendo un periodo difficile. Indossa blue jeans, bomber nero, cappello sufficientemente ampio da riparare le orecchie dal freddo, sciarpetta viola e occhiali da sole; i famosi tre orecchini d’oro gli dondolano dall’orecchio sinistro, incluso quello a forma di stella, da sempre il suo simbolo. Non manca qualche anello sulle dita grandi delle mani muscolose, che hanno tenuto il ritmo della batteria nei capolavori beatlesiani. Affabile e sorridente, Ringo inizia a parlare del suo ultimo album, Liverpool 8, il cui titolo rievoca gli eventi cittadini. E la canzone omonima, interpretata anche dal vivo, è un esplicito racconto dell’adolescenza e del tempo che fu. Un tempo che, in un certo senso, continua ad essere. “In questo disco c’è il battito del mio cuore. Nelle canzoni e nel ritmo”.
La discografia solista di Ringo Starr è stata meno interessante di quella di Lennon, McCartney e  Harrison. Eppure Liverpool 8 è il suo diciannovesimo album. Una carriera musicale che non manca di collaborazioni interessanti, così come i tour con la All Starr Band, con cui Ringo si esibisce soprattutto in America, ospitando grandi nomi del rock.
L’ex Beatle, in Inghilterra da parecchi giorni per prepararsi all’evento, si è esibito “a sorpresa” nel Surrey la notte di capodanno, in trio con Eric Clapton e Pete Townshend. Si sono chiamati Totally Abandoned e hanno suonato per beneficenza. Ed è proprio alla beneficenza che Ringo (le testate locali sottolineano tra l’altro che il suo compenso è uguale a quello degli altri ospiti) tiene molto. Soprattutto quella a favore degli ospedali, che in America finanzia anche con i suoi quadri poiché, come conferma ad alcuni fan che glielo chiedono, ha l’hobby della pittura. E la malattia è qualcosa con cui Ringo ha dovuto fare i conti, per tutta la vita. Da piccolo ha trascorso tre anni in ospedale ed è stato in coma per dieci settimane per i postumi di un’infezione all’intestino. E a metà degli anni 90 la preoccupazione più grande: la figlia Lee (la terzogenita avuta dalla prima moglie Maureen, dopo Zak e Jason) si ammala di cancro al cervello. Ringo interrompe il tour americano per starle vicino. Sei anni dopo, il tumore si ripresenta. Questa volta, Ringo porta Lee a curarsi in Inghilterra e lei oggi sta bene. Questa parentesi per spiegare ai lettori che, mentre lo osservo, mi chiedo se non sia questo il motivo della sincerità del suo sorriso. Oltre alla consapevolezza, come ammette lui stesso, di avere avuto “una vita e una carriera straordinarie”. Da subito, Ringo Starr smentisce l’ipotesi nella quale molti speravano: quella di un duetto con Paul. Ribadisce che, nonostante non vi siano impedimenti a future collaborazioni, non sarà a sua volta presente al concerto che Paul terrà a Liverpool il 1° giugno. E smonta subito la bizzarra ipotesi che qualcuno fa trapelare: quella di una reunion dei Beatles con i figli di George e John, Dhani e Sean. I Beatles non si riuniranno mai, due non ci sono più. Il resto sono solo voci assurde.
“A Liverpool venivo spesso a trovare mia madre, quando era in vita, ma oggi ho ancora dei parenti. È da un pezzo che manco, la trovo cresciuta” ripete praticamente a ogni telecamera e giornalista che lo ferma, per strada o nella press room della St. George Hall. “Ieri ho fatto un giretto, sono passato nelle strade dove ho vissuto e ho salutato i vicini di casa, che mi hanno visto e sono usciti. Poi ho accompagnato una troupe televisiva nella mia vecchia scuola. La città è molto cambiata. Perché non potevo mancare? Perché questa è stata una chiamata del destino: Liverpool, me ne sono andato ma non ti ho mai dimenticata! Sono orgoglioso che la città sia la capitale della cultura europea. Non solo per me, ma per tutti gli altri artisti che sono nati qui e per tutti i liverpoodlians. Siamo tutti di Liverpool (e qui Ringo inizia a battere le mani e canta l’inno della squadra di calcio, nda)”.
Gli altri musicisti a cui Ringo Starr fa riferimento sono, in larga parte, coinvolti nelle celebrazioni che ovviamente dureranno tutto l’anno. Dice, su tutti, di apprezzare gli Zutons. Ammette però di non conoscere approfonditamente la discografia di tutte le band concittadine. Così, tra le righe seguenti, partendo dai Beatles, proveremo a ricordare quelle principali.

A farci da guida in questo percorso liverpoodiano è una firma prestigiosa: quella del giornalista Paul Du Noyer, giornalista musicale di NME, Q e Mojo, già autore del volume We All Shine On. The Story Behind Every John Lennon Song 1970-1980.
“Come giornalista mi occupo della scena musicale di Liverpool da venticinque anni e ho raccolto tante informazioni sul tema” spiega Paul “aggiungendo sempre nuovi artisti e argomenti, ora convogliati nel mio ultimo libro Liverpool: Wondrous Place. From The Cavern To The Capital Of Culture, per il quale Paul McCartney ha scritto l’introduzione. Dunque si tratta di una lunga storia, che parte dalla musica ma anche dell’identità sociale della città. Il libro è uscito in questo periodo, ma l’ho iniziato nel 2000. Mi auguro sia un’ottima lettura per chi vuol conoscere meglio Liverpool”.
“Dal mio osservatorio” prosegue Du Noyer “direi che la scena musicale, non solo dopo i Beatles ma oggi, è ancora molto attiva. Anche per questo motivo abbiamo un nuovo teatro con 10 mila posti di capienza, l’Arena, che è stata inaugurata l’altra sera con il musical dedicato alla città, e i numerosi bar e club dove i gruppi suonano dal vivo. Poi c’è una nuova rassegna importante, che va in scena ogni estate, il Knowley Festival, che darà spazio ai giovani. Molti ragazzi di Liverpool vogliono fare i deejay, ma la maggior parte forma un gruppo per inseguire il sogno di diventare musicista. C’è anche una casa discografica, la Deltasonic, ormai famosa per aver lanciato gruppi nati qui: Coral, Zutons e Candie Payne”.
Il discorso delineato da Du Noyer nel suo volume è molto vasto (parte addirittura dal 1800) e ben delineato. Volendo citare i personaggi principali di questo scenario, partendo dai Beatles, ecco spuntare Gerry And The Pacemakers (1962-1966), considerati uno dei gruppi portavoce del Merseybeat. Il loro sound è caratterizzato dalla chitarra ritmica e dalle timbriche vocali uniche del leader Gerry Marsden. Fu proprio lui a fondare, alla fine degli anni 50, un gruppo chiamato in origine Mars Bars, poi divenuto Gerry And The Pacemakers nel momento in cui, come i concittadini Beatles, venne preso sotto l’ala del produttore George Martin. E non è un caso se la band, agli esordi, si esibì insieme ai Beatles negli stessi locali di Liverpool e ad Amburgo. Addirittura, negli anni precedenti a Love Me Do, godendo di maggior risonanza rispetto ai Fab Four, la cui formazione vedeva ancora la presenza di Pete Best alla batteria al posto di Ringo e di Stuart Sutcliffe al basso. Nel 1963 i Pacemakers si affacciano sulle scene con il primo singolo, How Do You Do It, che diviene ben presto un hit come i due successivi e ravvicinati, I Like It e You’ll Never Walk Alone. Del Merseybeat, come Du Noyer ben sottolinea nel suo libro, hanno fatto parte moltissimi gruppi, sulla scia del successo dei Beatles. Nessuno li ha però mai eguagliati.
Bisognerà aspettare gli anni 80 affinché la città venga nuovamente degnamente rappresentata. Echo And The Bunnymen sono uno dei nomi di maggior spicco a Liverpool, famosi in tutto il mondo. Si formano alla fine degli anni 70, in pieno post punk. Tutto nasce attorno a un club cittadino, l’Eric’s. Ispirati da Bowie, dai Velvet Underground e dai Doors, Echo And The Bunnymen creano sonorità uniche, dal sapore dark e psichedelico, che li caratterizza e li farà apprezzare ovunque. Sempre negli anni 80, i Frankie Goes To Hollywood vennero descritti dalla stampa musicale come “un gruppo che possiede l’intelligenza dei Beatles, la decadenza dei Rolling Stones e la spudoratezza dei Sex Pistols”. Più amati a livello underground sono stati gli Icicle Works di Ian McNabb, che prendevano il nome da un racconto di fantascienza. Il primo singolo è Ascending The Following Year, il primo album è del 1984 e porta rapidamente gli Icicle Works alla fama europea e americana.
Il 1983 è l’anno di nascita dei Farm, che per dieci anni navigheranno sull’onda di “Madchester”, movimento che domina il british rock tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90. I Farm sono politicamente impegnati, al punto da essere definiti “soul of socialism”. Il gruppo non si preoccupa di entrare nello show business, ma raggiunge la fortuna nel 1990 grazie al produttore Terry Farley. Con lui realizza una cover di Stepping Stone dei Monkees diventando un riferimento della scena indie-dance a Manchester insieme a Happy Mondays, Soup Dragons e Stone Roses. I due successivi singoli, Groovy Train e All Together Now, vendono più di 50 mila copie ciascuno. Nel 1991 esce finalmente l’album di debutto Spartacus.
Sempre negli anni 80, e per la precisione nel 1985, nascono i Christians. Sono formati dai fratelli Roger, Victor, Garry, Russell e Mark Christian, che provengono da un’esperienza datata 1970 come gruppo vocale a cappella chiamato Equal Temperament. Nel 1986 si gettano alle spalle i cori e realizzano il loro primo lp con la produzione di Laurie Latham, che contribuirà a condurli al successo con il singolo Forgotten Town, pubblicato nel 1987. Seguiranno altri due singoli, che porteranno direttamente a una vendita straordinaria dell’album: più di un milione di copie. Un tour in Europa, che consoliderà definitivamente la fama della band come una delle più importanti della scena inglese di fine anni 80.
I La’s si formano nel 1984 e diventano ben presto uno dei gruppi più acclamati di Liverpool. Da una loro costola nascono i Cast, oggi ancora attivi. In realtà, il sound della nuova band ha molto in comune con quello del gruppo precedente: entrambi guardano al rock dei primi anni 70 e ai Beatles, come del resto fa tutta la corrente della nuova British Invasion. Il primo album s’intitola All Change ed è prodotto da John Leckie (Radiohead, Stone Roses, Xtc). È un pop classico, che ben si accompagna a quello dei contemporanei Oasis, per i quali il gruppo fa da supporter nelle prime esibizioni. Nel 1995 esce il primo singolo, Finetime, prodotto dalla Polydor, che nel frattempo ha notato i Cast e li ha messi sotto contratto. È l’inizio di un’ascesa nella hit parade, seguita dai fortunati Alright e Walkaway.
Nel 1989 a Liverpool si formano altri due gruppi: Lightning Seeds e Boo Radleys. I Lightning Seeds sono una creatura di Ian Broudie, che alla fine dei 70 fu membro dei Big In Japan. Dopo il flop del primo album, Lucky You, non mollano e sfornano il singolo Change, che li porrà immediatamente sotto una buona luce attirando l’attenzione su di loro. Stesso destino per Perfect e Marvellous, al punto che l’album viene ripubblicato e vende più di 600 mila copie. I Boo Radleys esordirono con un genere pop che attinge a delicatezze psichedeliche, Martin Carr e Sice Rowbottom, i fondatori del gruppo, sono amici d’infanzia e coltivano il sogno di formare una band. Il nome è tratto da un personaggio di Il buio oltre la siepe di Harper Lee ed è stato scelto perché l’unione delle parole suona bene. L’album Giant Steps diviene disco dell’anno secondo Melody Maker. Quello seguente, Wake Up!, raggiunge il primo posto in classifica e contiene l’orecchiabile Wake Up Boo!. Nel 1998, prima dello scioglimento, esce Kingsize.
Si arriva, infine, ai giorni nostri, ai Coral ad esempio, attivi dalla fine degli anni 90. Si sono formati nel 1996 in un paese vicino a Liverpool per iniziativa di un gruppo di sei amici dello stesso quartiere. La creatività e originalità sono emerse fin dall’album omonimo del 2002, seguito da Magic And Medicine e fino al recente Roots & Echoes, che dimostra quanto la scena musicale attuale di Liverpool abbia ancora da dire. Lo stesso vale certamente per gli Zutons. Nascono nel 2001 e la loro musica è difficile da definire in senso stretto. Dave McCabe, che è il principale autore delle canzoni, ama prendere a riferimento Talking Heads, Devo, Sly And The Family Stone, Dexy’s Midnight Runners e Madness. L’album di debutto, Who Killed… The Zutons?, esce nel 2004. Il disco aveva una copertina in 3D e nella versione in vinile erano inclusi gli occhiali, che i fan presero l’abitudine di indossare ai concerti del gruppo. Gli Zutons ottengono una nomination come miglior band emergente ai Brit Awards del 2005. Nel 2006 è uscito Tired Of Hanging Around e di nuovo ha scalato la classifica inglese, grazie anche ai brani Why Won’t You Give Me Your Love e Valerie, finora il maggior successo della band. Ma le sorprese che gli Zutons riserveranno ai loro fan in futuro saranno ancora molte.

Chiediamo a Paul Du Noyer quali sono i suoi musicisti e gruppi preferiti, nel panorama attuale. “C’è un giovane rapper chiamato Riuven che esprime molto bene il pensiero e la vita della gioventù attuale di Liverpool e mi piace molto perché è diretto e divertente al tempo stesso. Tra i nuovi gruppi, cito i Wombats: sono molto bravi, hanno scritto canzoni rock davvero eccezionali. E poi Ian Prowse e la sua band, gli Amsterdam”.
Mentre io e Paul camminiamo per la città, due giorni dopo l’inaugurazione, una domenica mattina in cui le nuvole non smettono di minacciare un cielo cupo e  affascinante, si fa largo un po’ di malinconia. “È molto triste che nel mondo di oggi la pace sia ancora più difficile da raggiungere di un tempo, quando John Lennon era in vita” osserva Du Noyer, che in realtà conosce bene Paul McCartney ma non ha conosciuto John. “I governanti vanno e vengono ma il potenziale guerrafondaio resta lì. John sosteneva che la violenza facesse parte della sua natura, ma fece un duro lavoro con se stesso per sconfiggerla. È lo stesso concetto, lui lo spostava sul mondo. Sono d’accordo con lui: dobbiamo opporci a qualsiasi guerra, in ogni luogo e in ogni tempo e riconoscere che abbiamo in noi la capacità, come uomini, di amare così come di odiare. E di scegliere di amare, non di odiare. Certi politici non riuscirebbero a fare le guerre se non avessero il sostegno di milioni di persone nel mondo. Con un diverso atteggiamento, ognuno di noi può cambiare le cose”.
Forse a Liverpool, oggi come in passato, nella musica vibra ancora molta di questa speranza. La stessa che ha portato qui 50 mila nostalgici sognatori. Quando osservo la città rimpicciolirsi mentre il mio aereo decolla, il paesaggio si trasforma in una fabbrica di idee e canzoni, circondata dal verde e dall’acqua. Un luogo in cui la musica e la speranza di certo non moriranno.

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