15/05/2007

Mark Lanegan Band

Milano, C-Side, 11 novembre 2004

La band che accompagna Mark Lanegan è la stessa di un anno fa, quando l’ex Screaming Trees era venuto per presentare dal vivo il suo ep Here Comes That Weird Chill, tranne per l’assenza del fedelissimo Troy impegnato con le registrazioni del nuovo album dei Queens Of The Stone Age e per l’aggiunta della tatuatissima Shelly Brien nel difficilissimo ruolo di dover rappresentare PJ Harvey in duetti come Hit The City. Nessuno continua a capire, al di là della sua palese avvenenza, come mai Lanegan si ostini a portarsela dietro visto il suo molto discutibile valore vocale (quando è lasciata da sola i suoi incerti mormorii spariscono letteralmente fagocitati dalla struttura sonora dei brani). A scaldare il pubblico appare ancora il naufrago della corte del deserto Nick Oliveri, questa volta senza più i suoi Mondo Generator che l’avevano invece sostenuto all’Independent Days di Bologna. In veste dimessa, con il petto sorprendentemente coperto e accompagnato dalla sola chitarra acustica, appare come un vagabondo che ha perso la propria strada musicale, che viene salvato in extremis dall’intervento dell’amico e mentore ben più avvezzo ai territori ardui e impervi del songwriting. Lanegan invece, sigaretta in bocca (ma ora si è impegnato a non fumarne più di due per concerto) e voce piegata dal soggiorno agli inferi, non si smentisce. Come un Acheronte degli ultimi gironi della perdizione scivola dalla roca purpureità di When Your Number Isn’t Up ai toni più vitali di Sideways In Reverse condensando un’aura di atmosfere sulfuree e dannate (Metamphetamine Blues in questo senso è un capolavoro d’arte drammatica). È inchiodato come al solito al microfono, anche se con un fare un po’ meno autistico e più proiettato a condividere con la band il ruolo del protagonista. La vena romantica e melanconica non manca ancora una volta di partorire perle come I’ll Take Care Of You, dove Mark pare intenzionato a voler finalmente prendersi cura anche di se stesso. Le venature psichedeliche dei due chitarristi Brett Nettson e Michael Barragan riportano invece agli episodi più belli degli Screaming Trees, quando il vento del rock più vero scuoteva le chiome tempestose che ora si trovano soltanto tra i silenzi di Joshua Tree. A mio parere le performance di Lanegan hanno conosciuto momenti più alti (a volte la voce pare perdere qualche colpo, il che è più che ammissibile dopo un anno di tour praticamente ininterrotto), ma la sua intensità e il suo dono poetico restano tra le cose più belle e valide ad oggi in circolazione.

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