27/03/2007

Meet The Yardbirds

Intervista a Jim McCarty

È il 28 gennaio del 1966. Siamo in piena kermesse sanremese e Mike Bongiorno fa gli onori di casa mentre sul palco inondato di fiori si alternano italiche ugole e artisti stranieri. Quasi a fine serata l’inossidabile Mike annuncia: “È ora la volta di un gruppo inglese, la canzone si intitola Questa volta e loro sono I Gallinacci!”. Da un lato del palco sbucano cinque ragazzi con giacche multicolori dalla foggia orientale, calzoni di velluto aderenti e stivaletti di ordinanza; i capelli lunghi oltre il consentito e una presenza scenica a cui il pubblico non è abituato. Sono gli Yardbirds, e la formazione è quella con Jeff Beck alla chitarra, la cosiddetta Mk2. Purtroppo le trasmissioni sono ancora in bianco e nero, ma il colpo d’occhio è di quelli che non si scordano: Keith Relf afferra l’asta del microfono facendo ondeggiare il caschetto di capelli biondi, Chris Dreja è un’ottima ritmica, mentre il basso di Paul Samwell Smith e le bacchette di Jim McCarty pompano come dannati. Infine, spostato sulla destra, Jeff Beck macina note senza degnare il pubblico di uno sguardo: una performance che lascia attoniti. Inutile aggiungere che il brano non entrerà in finale.

Molti anni dopo chiederò a Beck un ricordo di quella trasferta ligure. “Non ne ho di molto nitidi”, ammetterà, “ma ho bene impresso il clima festaiolo, l’ottimo cibo e la voglia di divertirsi: il resto è nebbia.” Rivolgo oggi la stessa domanda a Jim McCarty, batterista e unico membro originale della formazione attuale insieme a Chris Dreja: “Ricordo tra i partecipanti a quel festival Bobby Solo, sorta di vostro clone di Elvis Presley, e Domenico Modugno, cantante melodico dotato di una forte presenza scenica; la fatica di Keith nel sincronizzare le labbra al playback e l’irruenza frenata di Jeff; eravamo molto scocciati perché non potevamo esibirci live. Visto il clima, la nostra presenza ebbe lo stesso effetto di una bomba, suscitando reazioni tra l’indignato e l’inorridito. Però ci divertimmo molto, e Giorgio (Gomelski, loro mitico manager, nda) sudò le classiche sette camicie per raffreddare i nostri bollenti spiriti”.

Lo spunto per scambiare quattro chiacchiere con Jim è duplice: l’uscita di un nuovo album a firma Yardbirds, intitolato molto acconciamente Birdland, e la ristampa del classico Little Games (1967) opportunamente arricchito da bonus track. Un ritorno in grande stile per una band di seminale importanza nella storia del rock-blues. Anzi, a ben vedere, forse la più importante: fosse solo per aver allattato al proprio seno, lanciandoli verso fama imperitura, autentiche leggende della chitarra come Eric Clapton, Jimmy Page e Jeff Beck. Mai nessuno aveva osato tanto, mai nessuno potrà menarne vanto in futuro. Brani come For Your Love, Heart Full Of Soul, Shapes Of Things, What Do You Want e la strumentale Got To Hurry rappresentano i vertici di un genere destinato a segnare indelebilmente la scena musicale inglese, insieme ad album passati d’un soffio dalla cronaca alla storia come The Yardbirds-Robert The Engineer e appunto Little Games, acuto finale di una carriera tanto feconda quanto travagliata.

Soleva dire Simon Napier Bell, manager e talent scout tra i più famosi di quegli anni: “Ci sono quattro band al mondo che realmente contano, e gli Yardbirds sono una di queste”. Vorrei inoltre evidenziare come la sacra trimurti, pur contando su future carriere di enorme successo, abbia proprio in questi pochi anni dato fondo al meglio del repertorio consegnando alla posterità un’eredità di incalcolabile valore. Il Clapton formato Yardbirds è ancora l’incontaminato cultore del blues, capace di sbattere la porta sdegnato allorché per il brano For Your Love il resto della band punta su arrangiamenti più rock; Jeff Beck incarna già l’eroe tutto genio e sregolatezza, affinando una tecnica che ne fa forse il più grande di tutti (ascoltatevi l’immortale Jeff Boogie), e che metterà a frutto più tardi nella sua migliore incarnazione, il Jeff Beck Group di Rod Stewart e Ron Wood; Jimmy Page, prima scelta per sostituire Slowhand, offerta che rifiuterà perché troppo impegnato come session man (sarà lui a fare il nome di Beck), dei tre è quello di più larghe vedute musicali, con il pallino della sperimentazione che sposa alla passione per l’esoterismo. Ascolta di tutto, dalla classica al folk, ‘prendendo a prestito’ dal repertorio di bluesmen e artisti come Bert Jansch per poi modellare le note a propria immagine e somiglianza. Tre guitar heroes dalle spiccate individualità, piccoli Leonardo da Vinci il cui genio ha marchiato indelebilmente la storia del rock. Con in comune l’aver mosso i primi passi in seno ad una band ideale punto di contatto tra il R&B dei primi 60 e la psichedelia di fine decade.

È una storia avvincente che mi piace ripercorrere lasciandomi prendere per mano da Jim, e che oggi sembra catapultare nuovamente la storica griffe al centro dell’azione con due album, un storico e uno nuovo di zecca, archetipi del suono Yardbirds. Onorando un passato glorioso e aprendo nuove scenari su un presente altrettanto interessante. “Inizierei parlando della nuova edizione di Little Games, perché ritengo rappresenti un ottimo biglietto da visita per chi si accosta per la prima volta agli Yardbirds e, al contempo, occasione di approfondimento per i vecchi fan”, spiega Jim. “Infatti, a parte la scaletta originale dell’album, sono incluse rarità di studio e soprattutto una manciata di registrazioni live per la Bbc (otto brani tra cui gli inediti White Summer e Dazed And Confused, nda), fornendo così un buon identikit della band e di ciò che ha rappresentato.” Idea peraltro non nuova, la stessa Emi ne aveva curato una prima versione giusto una decina di anni fa per il mercato americano su doppio cd (The Yardbirds: Little Games Session & More), ma che ha il merito di rinfrescare le idee anche in virtù della rentrée di McCarty, Dreja e soci. “Io e Chris non siamo stati coinvolti direttamente, ma abbiamo avuto una bozza di scaletta che abbiamo accettato. Anche per via dell’inclusione delle famose Bbc Session, inedite in Inghilterra e ora arricchite da due brani che ritengo di seminale importanza per la band, anche se riferiti all’ultimo periodo.”

Ha ragione. Non è un caso che White Summer e Dazed And Confused, nati in casa Yardbirds, vengano portati in dote da Jimmy Page quando si tratterà di incidere l’album di debutto dei Led Zeppelin. Dunque, ideale anello di congiunzione tra due momenti fondamentali, non solo per la carriera di Page ma per l’evoluzione stessa della musica d’oltremanica. “Sono d’accordo. Con l’entrata in organico di Jimmy, il gruppo cambiò registro seguendo le mode del momento, gli spunti orientaleggianti e la psichedelia, ma al contempo avviandosi su un sentiero di sperimentazione, di conoscenza più approfondita delle possibilità che la musica offre. Definirei Little Games un album di ricerca sonora.” Che prelude però allo scioglimento. “Non eravamo più dei seri pretendenti al titolo di miglior band accusando una certa stanchezza, un’apatia dalla quale non ci saremmo più sollevati. Little Games è stato rivalutato con il senno del poi, ma al momento gli sconfinamenti nell’elettronica (Glimpes), l’uso distorto della chitarra (Smile On Me), i nastri incisi al contrario (Only The Black Rose) e l’effetto tromba di Chris (Little Soldier Boy) si perdono in un suono un po’ confuso anche se di per sé divertente.”

Il penultimo singolo fu Ten Little Indians, un brano di Harry Nilsson. “Una scelta concordata con la nostra etichetta. Fummo d’accordo, ammiravamo Harry e il suo spirito molto newyorkese (è nato a Brooklyn, nda) con quella vena poetica di cui sono intrise le canzoni, ma non sortì l’effetto sperato.” Comunque, sarà il singolo Goodnight Sweet Josephine a scrivere la parola fine. “Una canzone che onestamente non abbiamo mai amato molto, scritta da Tony Hazzard, lo stesso di Ha Ha Said The Clown, e subito tolta dalla scaletta live. Parla di una prostituta e allora la Emi inglese si rifiutò addirittura di pubblicarla, segnando di fatto la fine dell’era Yardbirds. Del brano esistono due versioni (entrambe presenti sulla riedizione di Little Games, nda) e devo ammettere che la seconda è decisamente migliore: una parte vocale più possente, una chitarra distorta, un piano e una batteria phased, effetto allora originale e di forte impatto (cfr. Itchycoo Park degli Small Faces, nda).”

Da quell’epopea, sulla quale torneremo tra poco, alla realtà di oggi. Con un album, Birdland, in cui convivono brani originali e successi di ieri, questi ultimi impreziositi dalle chitarre di ospiti illustri come Steve Vai, Slash, Brian May, Joe Satriani e Steve Lukather. In pratica il gotha della sei corde. “Curiosamente, Birdland è il primo album contenente materiale originale proprio dai tempi di Little Games. Qualcosa come 35 anni fa, anche se in questo periodo abbiamo inciso un paio di lavori con il nome di Box Of Frogs (a quando la sospirata edizione su cd?, nda).”

Focalizziamo un attimo l’attenzione, perché ne vale la pena. “Siamo nella metà degli anni 80, e il nome, ancora una volta, venne suggerito dalla casa discografica (Sony, nda). Non usammo Yardbirds perché ci parve in qualche modo di mancare di rispetto al vecchio marchio, anche se in realtà entrambi i lavori furono molto apprezzati e non sfigurerebbero nella discografia ufficiale. Nella lingua inglese la frase ‘box of frogs’ sta a significare qualcosa di sorprendente, di inaspettato come l’aprire una scatola piena di rane. E questo era lo scopo, dimostrare che qualcosa degli Yardbirds era ancora inaspettatamente attuale. Un progetto nato per il mercato americano, in cui credevamo molto. Io, Chris e Paul avvertivamo distintamente il fluire di nuova energia, e quella manciata di brani che avevamo composto e inciso erano dannatamente buoni. Se a questo aggiungi il piacere di suonare con vecchi amici, il divertimento è assicurato. Ma nessuno di noi aveva in verità voglia di tornare ad essere musicisti professionisti a tempo pieno, così dopo un paio di lavori la cosa finì.” Gli album annoverano, tra gli ospiti, gente del calibro di Rory Gallagher, Jimmy Page e Jeff Beck. “Una sorta di piccola rimpatriata. In realtà i rapporti tra noi, io, Chris e Paul, e gli altri sono sempre stati d’amicizia e stima, dunque per loro non fu un problema unirsi alla band. Page era sempre quello preciso, perfezionista, e Jeff il solito genio imprevedibile, ma fu con Rory che il sodalizio fu profondo, al di là del singolo brano. Ricordo con tenerezza quei giorni in studio. Rory è stato uno dei migliori chitarristi di blues bianco, dotato di grande tecnica e volontà di ferro: pura Irlanda, al 100%. A bocce ormai ferme, una bella parentesi.”

D’accordo. Torniamo però all’oggi. “Su Birdland gli unici Yardbirds originali siamo io e Chris Dreja, accompagnati da Gypie Mayo (ex Dr. Feelgood, chitarra, nda), John Idan (basso, nda) e Alan Glen (ex Nine Below Zero, voce, nda). Devi sapere che all’inizio degli anni 90 io e Chris decidemmo di formare una band insieme a Top Topham, primo chitarrista degli Yardbirds poi sostituito da Eric Clapton. All’epoca incontrammo in America Alan Glen, che accettò di unirsi a noi, e con questa formazione ci esibimmo nel circuito inglese dei pub. Successivamente Top Topham se ne andò e il suo posto fu momentaneamente preso da Ray Majors, già con i Box Of Frogs, ma il gruppo si sciolse di lì a poco. Tra il ’95 e il ’96 io e Chris ci riprovammo, stavolta con l’intenzione di usare il vecchio marchio, sulla scia di una serie di reunion di successo come gli Animals e lo Spencer Davis Group. Richiamammo Ray, ma il suo modo di suonare la chitarra era un po’ troppo heavy per ciò che avevamo in mente, così optammo per Gypie Mayo, il cui stile ricorda da vicino quello di Jeff Beck.”

Gli Yardbirds erano di nuovo in affari. Il titolo dell’album non è certo frutto del caso. “Oh no, no davvero. Si tratta di un luogo ideale dove si riuniscono tutti i migliori musicisti; più modestamente è un omaggio al famoso locale di New York meta di grandi jazzisti, ma anche il titolo di un celebre brano dei Weather Report, band che adoro. Tutto iniziò con dei contatti con la Favored Nation, l’etichetta di Steve Vai, che si dimostrò interessata al progetto. Steve è da sempre un nostro fan, e quando gli prospettammo l’idea ne fu entusiasta. Lo abbiamo inciso in gran parte presso il Mothership Studio di Steve Vai a Encino, California, più alcuni ritocchi in Inghilterra, dove è stata registrata la traccia con Jeff Beck. Prodotto da Ken Allardyce (Weezer, Fleetwood Mac, Green Day e Goo Goo Dolls, nda) contiene sette nuove canzoni più otto rivisitazioni di classici della band.”

Scorrendo la lista degli ospiti si rischia l’infarto. Come avete fatto a convincere tante autentiche leggende? “Molto semplicemente, hanno accettato perché sono da sempre fan degli Yardbirds. Il primo è stato Steve Vai, dopotutto eravamo suoi ospiti, il quale cha suggerito di contattare altri nomi illustri. Cosa che abbiamo fatto ricevendo sempre risposte positive, anzi erano entusiasti all’idea. Considerandolo un onore. Ognuno di loro ha iniziato a suonare ascoltando la nostra musica, ripetendo i riff di Jimmy, di Eric o di Jeff: quale miglior modo per dimostrare la propria riconoscenza?”

Tutto fin troppo facile. Iniziamo allora da Steve Vai e dalla sua Ibanez in Shapes Of Things. “È stato lui a scegliere Shapes Of Things e la nuova versione non ha nulla da invidiare all’originale. L’ha provata solo un paio di volte, poi è partito in quarta e l’abbiamo incisa. Decisamente uno dei migliori chitarristi oggi in circolazione.” E Joe Satriani alle prese con Train Kept A-Rollin’? Molto interessante, perché ne dà un’interpretazione abbastanza diversa, più sperimentale ed elettronica, d’altronde nel ’67 la tecnologia non era granché. Joe è molto serio sul lavoro, ma quando si esce dallo studio è un tipo davvero spassoso. Devo dire che per noi, me e Chris, è stato interessante e utile suonare con loro: un po’ come seguire un corso di aggiornamento avendo i migliori maestri. Prendi Brian May. Ci eravamo incontrati tempo fa, in occasione di un nostro concerto alla Royal Albert Hall, e fu allora che, parlando dopo lo show, venne a sapere che stavamo lavorando a un album. ‘Posso suonare in un pezzo, per favore?’ Gli occhi gli brillavano, e subito disse che avrebbe scelto Mr., You’re A Better Man Than I perché era uno dei brani della sua vita, soprattutto il solo, che trovava inarrivabile. Lo stesso avvenne per Slash, che si offrì di suonare in Over, Under, Sideways Down perché, disse, è stato uno dei primi riff provati sulla chitarra.”

Della triade Clapton, Page e Beck, solo quest’ultimo è della partita. Per di più in un brano nuovo, My Blind Life. “Lo incidemmo alcuni anni fa, nello studio di casa sua. Avevamo alcuni brani pronti, e questo ci parve il più adatto alle caratteristiche di Jeff, il quale ascoltò la base ricamandoci su una parte di chitarra assolutamente fantastica. Rimase nel classico cassetto sino a che non realizzammo l’album. Non abbiamo preso in considerazione l’idea di contattare Jimmy e Eric, perché l’intento era di fare incidere a chitarristi di oggi brani del vecchio repertorio. Non a caso Jeff si cimenta in una traccia originale. Non volevamo la solita rimpatriata, il classico déjà vu. Odiamo le operazioni nostalgia.”

Tra i remake più godibili c’è senz’altro Happening Ten Years Time Ago, con uno scatenato Steve Lukather. “È uscito da poco un album di cover dei Toto, e per un attimo Steve ha pensato di inserirvi un brano degli Yardbirds, poi lo abbiamo convinto che questa sarebbe stata la sede più acconcia (ride, nda). È un musicista assai versatile, capace di passare da un genere all’altro con la massima nonchalance. E non era facile misurarsi con Jeff e Jimmy. Contemporaneamente, poi.” Una questione di stile, di solito. Come vi siete trovati a suonare con solisti di estrazione musicale così differente? “Nessun problema. Dopo tutto ci siamo abituati: Eric, Jeff e Jimmy sono chitarristi completamente diversi, per impostazione tecnica e caratteristiche umane e artistiche. Se riesci ad assecondarli, a uniformarti a loro, sei in grado di fare qualsiasi cosa!”

Il citato Happening Ten Years Time Ago è l’unico brano degli Yardbirds, con Psycho Daisies, ad annoverare nella stessa line up sia Beck che Page. Convivenza di sala sulla quale sono fiorite parecchie leggende: vogliamo chiarire la questione? “Innanzitutto confermo che entrambi hanno preso parte alle incisioni dei due brani, ma è vero anche che non si sono mai trovati nello stesso momento in studio, incidendo le proprie parti separatamente. Dal vivo hanno spesso suonato insieme, come pure in occasione della sequenza del film Blow Up di Michelangelo Antonioni (vedi box a pag. 48, ndr), ma non tra le pareti di uno studio. Allora Jeff era alla solista, ruolo rilevato da Jimmy a cominciare dal famoso tour americano del ’67.”

Sempre rovistando in soffitta, cosa ricordi di album quali Five Live Yardbirds e Roger The Engineer? “Il primo fu registrato al Marquee (storico locale di Londra allora situato in Wardour St., nda), e optammo per un live album come debutto in quanto ritenevamo che in sala non riuscissimo a creare lo stesso clima elettrico, a generare la stessa energia. A trasmettere le stesse vibrazioni. Gli Yardbirds erano animali da palco, oltre che da cortile (battuta!, nda). Vorrei ricordare anche, a proposito di album dal vivo, quello inciso con il bluesman Sonny Boy Williamson. Accadde allora un fatto curioso. Alle prove tutto era filato liscio, ma il giorno seguente Sonny Boy non si era sentito bene, un attacco influenzale credo, e decise di curarsi a modo suo: il che equivaleva a scolarsi un paio di bottiglie. Arrivò sul palco mezzo sbronzo e a nulla valse mettergli davanti una scaletta dei brani perché, tanto, sapeva leggere a malapena. Passava da una canzone all’altra senza avvertire, seguendo un ordine tutto suo, e noi ad impazzire cercando di stargli dietro. Per di più l’impianto iniziò a fare i capricci: insomma, una serata no. Purtroppo era l’unica occasione per incidere e fummo obbligati a farlo.”

Allora, rimaniamo in tema. Saltiamo in avanti di alcuni anni e arriviamo all’album Live At The Anderson Theatre, la cui uscita fu sempre osteggiata da Page. “Qui eravamo noi in difetto. L’acustica non era il massimo, ma sarebbe potuta andare bene se la nostra performance non fosse stata pessima. O almeno questo era ciò che credeva Jimmy. Uscì in un numero limitato di copie, con veste grafica in bianco e nero e a colori, prima che Page riuscisse a impedirne la distribuzione. Personalmente, credo che il triplo bootleg Last Rave Up In L.A. sia migliore.” Che ne pensi invece dell’album Roger The Engineer? “Senza dubbio il punto più alto della parabola Yardbirds. Un album completo, con la band ai massimi livelli. Roger Cameron era il nostro ingegnere del suono, e siccome si era dato un gran daffare lo premiammo dedicando a lui l’album.”

Se dovessi descrivere Eric, Jimmy e Jeff con un aggettivo? “Eric il più ortodosso, fedele ai suoi principi; Jimmy lo sperimentatore, il più curioso; e Jeff il vero genio della famiglia. Tre galli, e ancora oggi mi chiedo come hanno potuto suonare, e convivere pur in tempi separati, nello stesso pollaio. Ma di questo non posso che essere orgoglioso.”

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