10/07/2013

Mellencamp King Burnett

Una creatura ibrida e oscura nata dall’incrocio tra realtà e leggenda, rock e letteratura. Il linguaggio del musical si fonde con quello dello sceneggiato radiofonico. Con Kris Kristofferson, Elvis Costello, Sheryl Crow, Ryan Bingham

Non sono mai stato un amante dei musical, lo ammetto, ma questa volta era d’obbligo fare un’eccezione. Innanzitutto per i tre personaggi che hanno concepito Ghost Brothers Of Darkland County: il rocker dell’Indiana John Mellencamp, il re dell’horror Stephen King e il superproduttore T Bone Burnett. In secondo luogo per la storia: una macabra vicenda che ruota intorno a uno chalet infestato dai fantasmi e coinvolge due generazioni della tormentata famiglia McCandless. Infine perché si tratta di un progetto intrigante, che offre diversi livelli di fruizione: una sorta di incrocio tra musical e sceneggiato radiofonico. Una cosa infatti è la rappresentazione che arriverà nei teatri americani in autunno, con un cast di attori/cantanti approvati da Mellencamp, King e Burnett, e la presenza in scena di una band che comprende il bassista di Johnny Cash Dave Roe. Altra cosa invece è la colonna sonora ufficiale, che è possibile acquistare in diverse edizioni tra cui la hard cover edition, che raccoglie due cd con le 17 canzoni del musical (con e senza le parti recitate), il libretto, le note di copertina del giornalista Alan Light e un dvd contenente il documentario Making Of Ghost Brothers, interviste a Mellencamp, King e Burnett, la versione digitale del libretto e altro ancora.

Ciò che rende speciale questa colonna sonora è il cast stellare che i nostri tre eroi sono riusciti a mettere in campo. Sostanzialmente si tratta di due squadre, una di attori (tra cui Meg Ryan, Matthew McConaughey, Kelli Garner, Samantha Mathis) e l’altra di cantanti. Questo perché ogni personaggio ha due voci: una recita i dialoghi scritti da Stephen King; l’altra interpreta le canzoni di John Mellencamp. Ci sono poi due eccezioni che rispondono ai nomi di Kris Kristofferson ed Elvis Costello, due artisti eclettici che giocano a tutto campo tra musica e recitazione. Il primo è un uomo in lotta con i propri demoni e in cerca di una via verso la redenzione. Il secondo impersona in modo impeccabile il maligno. «Quando si è trattato di dare una voce al Diavolo», ha dichiarato Burnett, «ho pensato subito a Elvis. Chi meglio di lui?». Ascoltate That’s Me, il blues acustico, scarno e sensuale che apre il disco: Costello non si limita a cantare; modula la voce, fischietta, recita calandosi perfettamente nei panni di una creatura malvagia e tentatrice, in una parola irresistibile.

Le canzoni in scaletta sono di alto livello, si ha l’impressione di ascoltare un’inaspettata metamorfosi della collaborazione avviata da Mellencamp e Burnett ai tempi di No Better Than This (2010): «Il lavoro di T Bone è stato prezioso al fine di creare un universo sonoro spiritato», ha detto il songwriter. L’impronta burnettiana è inconfondibile, e la band di Mellencamp fa un ottimo lavoro: chi di voi ha avuto la fortuna di assistere al breve ma intenso concerto di Vigevano del 2011 ritroverà in questi brani molte tracce di quel fantastico compendio di storia della musica americana. A partire dal country-rock That’s Who I Am, in cui Neko Case regala un’irresistibile performance vocale cogliendo alla perfezione il fascino e la perfida spregiudicatezza di Anna, la ragazza che i fratelli Frank e Drake si contendono. Fratelli che hanno la voce di Will Dailey e Ryan Bingham, che bisticciano nel rock-blues Brotherly Love: «Abbiamo registrato uno di fronte all’altro in presa diretta», mi ha raccontato Ryan. Frank e Drake sono costantemente in conflitto, proprio come facevano negli anni ’60 i loro zii Andy e Jack che si contendevano l’amore di Jenna (Sheryl Crow). Zii interpretati da due veri fratelli, Phil e Dave Alvin dei Blasters: i loro fantasmi sembrano condannati a litigare in eterno tra i riff taglienti di So Goddamn Smart.

Il capofamiglia Joe McCandless invece possiede tutta l’imponenza di Kris Kristofferson: nell’honky tonk blues What Kind Of Man Am I si guarda allo specchio senza riuscire a riconoscersi; la sua voce si aggira come un’anima in pena, inseguita da un passato troppo ingombrante che ha l’incedere di un tenebroso contrabbasso (How Many Days). E che dire di Taj Mahal, che interpreta il fantasma del custode dello chalet? Tear This Cabin Down ha la forza distruttiva di un maglio; esattamente l’opposto della performance offerta da Sheryl Crow in Away From This World: una ballata che trasuda dolcezza, speranza, e tutta la malinconia di un’anima sospesa nel purgatorio.
Mellencamp tiene per sé l’ultimo brano, Truth, a cui affida l’arduo compito di fare luce su uno dei temi fondanti di Ghost Brothers Of Darkland County: la verità. La sua voce ruvida striscia contro i cori angelici di Lily e Madeleine Jurkiewicz: è come assistere all’incontro tra la cruda realtà e la speranza di una vita migliore. «La verità sembra così distante», ma un giorno o l’altro tutti noi dovremo affrontarla prima che sia troppo tardi. «E il troppo tardi», dice Mellencamp, «arriva sempre troppo presto».

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