14/07/2020

Michelangelo Vood

Abbiamo intervistato il cantautore lucano che ci ha raccontato com’è nato il suo EP d’esordio
Si intitola Rio nero ed è l’EP d’esordio di Michelangelo Vood, giovane cantautore nato e cresciuto nella natura incontaminata della Basilicata. Milano da qualche anno è la sua seconda casa, e nelle sei tracce di questo EP racconta il suo passato e il suo presente, il riavvicinamento alla musica dopo un periodo di pausa e la voglia di ricominciare, finalmente, a suonare dal vivo.
Abbiamo scambiato due chiacchiere con Michelangelo Vood, che ci ha raccontato com’è nato il suo Rio nero.
 

 
Sei tornato a fare musica dopo un periodo di allontanamento dalla scrittura: com’è avvenuto questo riavvicinamento? E’ dovuto solo al tuo trasferimento a Milano?

 
Nei primi anni a Milano avevo totalmente abbandonato la musica, per seguire altre strade che poi si sono rivelate illusorie per me. In quel periodo stavo molto male, mi sentivo incompleto e anche il mio corpo me lo stava dicendo, ma non ci prestavo attenzione. Finché una notte, in preda ad una crisi di panico, afferrai nuovamente la mia chitarra, che stava in un angolo di casa chiusa nella custodia da troppo tempo, e solo allora la tempesta che avevo dentro si placò, come per magia. In quel momento capii che non potevo più fare a meno della musica. La musica è un’esigenza per me, non conosco altri modi per sfogarmi e raccontare quello che vivo.

 
Hai definito Rio nero un “fiume in piena, un concentrato di sentimenti a contrasto”. Immagino che ci sia molto di te in queste sei tracce…
 
In Rio nero ci sono gli ultimi anni della mia vita qui a Milano, le cose che ho vissuto, le persone che ho incontrato e tanti miei ricordi, legati soprattutto alla mia infanzia. Cerco di scavare molto nei miei ricordi quando scrivo, è una sorta di analisi che faccio su me stesso. Mi capita spesso di ripensare a situazioni e sensazioni a cui magari sul momento non davo peso ma che invece riaffiorano nel processo creativo. Nelle canzoni provo a non avere filtri nel descrivere le cose che sento, sono un cercatore di verità, anche nella musica degli altri.

 
Hai intitolato questo EP quasi come fosse un omaggio a Rionero, la cittadina lucana dove sei nato. Raccontaci come mai hai scelto questo titolo.
 
Proprio così, sono molto legato alla mia terra, la Basilicata. Ho pensato fosse giusto fare un tributo alla mia cittadina di origine perché penso che quando si parte per un lungo viaggio, come mi auguro sarà questa mia avventura artistica, la cosa più importante è ricordarsi da dove si è partiti e perché. Gioco però anche con l’etimologia del nome. Mi piaceva l’immagine del fiume nero, a simboleggiare questo fiume in piena di malinconia ed emozioni che provo a sputare fuori attraverso la musica.

 
Nel primo singolo che ha anticipato l’EP, Ruggine, si legge la dualità tra il tuo passato e il tuo presente: com’è il tuo rapporto con Milano, una città che sembra essere l’obiettivo di molti autori in cerca del proprio spazio nel panorama musicale attuale?
 
Milano è la città ideale per chi oggi vorrebbe far musica in Italia. Non solo perché la maggior parte degli addetti ai lavori vive qui, ma anche per il fervore culturale che la circonda. Mi fa sorridere ripensare ai luoghi comuni su Milano che mi scoraggiavano molto prima di trasferirmi qui. Quello della nebbia era uno spauracchio. Vivo qui da 5 anni e l’ho vista un giorno soltanto. È proprio vero che non bisogna badare a quello che dicono gli altri.
A Milano sto benissimo, qui ho trovato alcune delle persone più care che ho oggi, ho ritrovato la mia musica, ho incontrato musicisti incredibili e il mio team che ringrazierò sempre. È la mia seconda casa e le sarò sempre grato.
 
Ci puoi anticipare se questo EP d’esordio sarà seguito da un primo disco? Quali sono i tuoi prossimi progetti, visto anche il difficile periodo che stiamo vivendo?
 
Sto lavorando a nuovi brani che mi piacerebbe farvi ascoltare il prima possibile. Prima o poi mi auguro confluiranno in un disco vero e proprio. Al momento però sono concentrato sull’EP che è il frutto di un lavoro di 18 mesi e ci tengo molto. Quest’estate mi sarebbe piaciuto molto suonare in giro, ma la situazione purtroppo non lo permette. Il settore artistico è uno dei più colpiti dall’emergenza. Penso ad artisti che si sostentano esclusivamente suonando nei locali, alle manovalanze. È un momento delicato ma sono sicuro che col buonsenso di tutti ne verremo fuori. Tornare a un concerto sarà ancora più bello.
 

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!