24/06/2008

MILANO SIAMO NOI

C’era una volta il Caravanserraglio, compagnia di attori, saltimbanchi, poeti e musicisti. Avevano trovato sede a La Casa 139, al numero 139 (appunto) di Via Ripamonti, nel cuore di uno dei più antichi quartieri della moderna Milano del Terzo Millennio. Sul palco del minuscolo ma accogliente locale i ragazzi del Caravanserraglio alternavano il romanticismo di ballate malinconiche al realismo di poesie crude, attimi d’ironia a momenti di riflessione, minuscole pièce teatrali a piccoli recital di canzoni. Con Waits e Bukowski nel cuore, Gaber e Jannacci in testa e Capossela negli occhi, quei giovani artisti davano vita a un vero e proprio laboratorio musical-teatrale, a una factory di idee in cui ci si nutriva creativamente l’uno dell’altro, si condividevano successi e frustrazioni, piccole speranze e grandi illusioni. A far da sfondo a tutto e a tutti, Milano.

Ma non la Milano rock (dai 50s di Celentano & Co ai 70s dei Finardi, Rocchi e Camerini sino ai 90s, leggi sotto la voce Afterhours) e nemmeno quella jazz, dal Santa Tecla al Capolinea passando per Brera. Non la Milano blues (Treves a parte, c’è mai stata?) e neppure quella folk (mai pervenuta, caro Nostrini). Piuttosto, la Milano che ispirava il Caravanserraglio assomigliava a quella che nei primi anni 60 attraeva  gli artisti ma non era capace di far sì che gli artisti stessi si sentissero al centro della scena: la Milano degli editori musicali in Galleria, dei primi gruppi beat, della strana contaminazione tra musica e cabaret. La Milano dei Gufi e del Derby, quella di Beppe Viola e di Enzo Jannacci, di Giorgio Gaber e Dario Fo quella insomma che, anni dopo, ha generato l’Elfo, la Smemoranda e lo Zelig. Ma nel Caravanserraglio c’è meno politica e più poesia, meno ambizione e più disperazione. La Milano da bere degli anni 80 ha lasciato il posto ai centri sociali degli anni 90 per diventare, nel nuovo Millennio, la Milano Babilonia di Folco Orselli, uno degli “storici” del Caravanserraglio, oggi artista completo, maturo e sempre sul punto di decollare (ha appena vinto l’edizione 2008 di Musicultura).
“Vivo nel quadrilatero dell’Hollywood ” ci racconta “tra Melchiorre Gioia, Corso Como e Porta Garibaldi. Quello che vedo ogni sera per strada, lo canto nelle mie canzoni”.

Quattro pattuglie degli sbirri / Fermi in corso Como / La modellina fatta ed ignorante /Non cerca il fumo / Il neo senegalese / Ha soppiantato il marocchino / Il traffico diretto / Regia del celerino / Sguardi della gente / Vuoti come un ascensore / Il buttafuori che smascella / Non li vuole far entrare / Povera Milano / In mano a dei coglioni / Di notte va a mignotte / Poi vota Berlusconi

“Anche noi artisti milanesi abbiamo le nostre colpe” continua Folco “non siamo mai stati capaci (come successo a Roma o in altre città) di valorizzarci come gruppo e, conseguentemente, di dare vita a una vera e propria scena artistica”. Forse proprio per questo, da due o tre anni il Caravanserraglio non c’è più. Ma i suoi accoliti sopravvivono al marchio: oltre a Folco Orselli, il poeta Vincenzo Costantino “Chinaski”, l’attore-cantautore Flavio Pirini, l’autore-interprete Walter Leonardi, l’artista nottambulo Concetto Serranò, il rocker surreale Gianni Resta, il comico-chitarrista Stefano Covri, il cantautore Stefano Tessadri. Questi, come Orselli, ha ormai raggiunto una sua precisa strada artistica che, parafrasando Guccini, qualcuno ha voluto collocare tra il Naviglio e il West. Passione e veleno, il suo terzo album, mostra (oltre all’inguaribile infatuazione per Tom Waits) un amore sconfinato per i suoni roots americani e una cotta indomabile per il blues uniti al gusto di raccontare storie di  confine che, per uno come lui nato a Niguarda (un quartiere di confine) rende il tutto gustosissimo.
Proprio nell’ultimo album, Tessadri regala una ballata che ricorda i tempi del Caravanserraglio. Non è più tempo di Bohème, canta Stefano…

Vanno via / Tutti se ne vanno via / Non ci son più giacche sulle sedie / Ma noi restiamo ancora

Tra quelli che restano c’è Stefano Covri. Insieme a Fabrizio Canciani (giallista-cabarettista dall’umorismo raffinato) Covri racconta una Milano meno aspra di quella degli altri ex colleghi del Caravanserraglio. La sua è un’arte che affonda le proprie radici nella tradizione milanese: è quella che il suo amico e “capocomico” Flavio Oreglio chiama dei MusiComedians, neologismo stravagante per definire l’ibrido tra cantautore, poeta, attore e cabarettista.
Nipoti di Svampa e Brivio, figliocci di Jannacci, Valdi, Gaber e Fo, i MusiComedians sono un gruppo rodato che ripropone un’arte tipicamente meneghina capace di sopravvivere all’usura del tempo.
Dopo il laboratorio musical-teatrale e l’acclamato festival annuale, ora anche un cd presenta la filosofia “catartica” di Oreglio e dei suoi MusiComedians: si chiama Non c’è Milano e, come dicono gli stessi protagonisti, “vuole mostrare quello che c’è e che non c’è, quello che c’era nel passato, quello che è rimasto ma non si fede se non con occhi attenti”.

Non c’è Milano senza lo spruzzo del Campari
O il vecchio tram che sferraglia sui binari
Al bar coi gomiti appoggiati alla gazzetta
Anche a Milano si può spegnere la fretta

Nel cd c’è posto anche per un divertente monologo di altri due MusiComedians, Henry Zaffa e Franco Rossi, in cui si ironizza con acume ed eleganza sulle differenze tra la Milano di ieri e quella di oggi. Perché “una volta a Milano si poteva fare il bagno nei Navigli. Oggi, nei Navigli, il bagno lo puoi fare una volta”.

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