Un sabato sera d’estate a Seattle. Sul palco del Crocodile, il locale su Second Avenue che dal 1991 ospita i migliori gruppi della città, si esibiscono quattro musicisti stranamente assortiti che rispondono al nome di Minus 5. In sala ci saranno sì e no una cinquantina di persone, un numero che potrebbe essere sconfortante soprattutto per il tizio che suona il basso e che è solitamente abituato a ricevere l’adorazione incondizionata di migliaia di fan. Si chiama Peter Buck ed è noto per essere il chitarrista dei R.E.M. Se ha un ego, l’ha lasciato a casa. Non solo non sembra turbato dalla scarsità dei presenti, ma è perfettamente a suo agio nel ruolo di gregario. La cosa più interessante avviene alla fine del concerto, dopo un’infuocata cover di Strychnine dei Sonics, gli eroi del garage rock locale degli anni 60. Buck torna sul palco a smontare la strumentazione come un roadie qualunque, poi sbuca da una porticina e cammina tranquillamente in sala. Nessuno lo disturba. Se fossimo a un concerto dei R.E.M. avrebbe probabilmente bisogno di una guardia del corpo. Ma è nella città dove vive da una quindicina d’anni e nel locale che può chiamare casa, essendo gestito dalla moglie Stephanie Dorgan. Lo avvicina per un autografo giusto un ragazzo accompagnato dalla fidanzatina e in evidente stato di eccitazione. Lui sbriga il compito con noncuranza, chiacchiera con alcuni amici e dopo qualche minuto sparisce portando con sé il suo strumento. Fine della storia.
“Se non suonassi morirei” usa dire il cantante che si è esibito con Peter questa sera. La frase potrebbe averla detta anche Buck. Nessun accenno di divismo, zero glamour, profilo basso, voglia di suonare per il gusto di farlo. Benvenuti nel mondo dei Minus 5, il lato B del rock.
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Nati come esperienza momentanea che gli desse modo di incidere e suonare le canzoni troppo tristi per adattarsi al repertorio per lo più ritmato, ilare e pop della sua prima band, gli Young Fresh Fellows, i Minus 5 sono diventati la principale occupazione di Scott McCaughey quando non è impegnato ad accompagnare i R.E.M. McCaughey (si pronuncia come McCoy) è il tizio coi capelli arruffati, la barba, gli occhiali da sole e il cappello da cowboy che vedete al fianco di Peter Buck e Michael Stipe in concerto. L’ultimo omonimo disco dei Minus 5 – la cui formazione è per natura instabile e che attualmente vede McCaughey e Buck affiancati dal batterista Bill Rieflin (Ministry, R.E.M.) e dal chitarrista sconosciuto John Ramberg – è uno dei migliori lavori che McCaughey abbia concepito e inciso. Le musiche passano dal pop beatlesiano al country-rock alla Gram Parsons, con un pizzico di garage rock e armonie vocali cristalline. Fedele al concetto dei Minus 5 come organico aperto a interventi, esperienze e collaboratori, il nuovo lavoro vede schierata una dozzina di musicisti differenti, da Colin Meloy dei Decemberists voce solista in Cemetery Row a John Wesley Harding passando per Sean Nelson degli Harvey Danger e Ken Stringfellow, vecchio amico di McCaughey e anch’egli musicista di supporto nei R.E.M. In due brani intitolati Hotel Senator e With A Gun ci sono anche i Wilco, coi quali McCaughey ha inciso l’acclamato album dei Minus 5 Down With Wilco che tre anni fa ha contribuito a far circolare il nome della formazione di Seattle tra gli appassionati. Le canzoni dell’ultimo cd registrate coi Wilco risalgono a circa un anno e mezzo fa, il resto dell’album è stato inciso dal dicembre del 2004 all’agosto 2005, un lasso di tempo piuttosto lungo reso necessario dagli impegni dei tre quarti dei Minus 5 con i R.E.M.
Raggiungo McCaughey al telefono mentre si trova in Inghilterra a casa di Robyn Hitchcock, col quale i Minus 5 si apprestano a fare un tour americano. Gli chiedo dei brani del nuovo album registrati in location particolari: in un salotto e in una camera d’hotel. “Eric (Lovre, nda) aveva un registratore 8 piste nella sua casa in una piccola città dell’Oregon (Turner, nda). Siamo stati lì per un fine settimana e abbiamo registrato così, per divertirci. Certo non mi aspettavo che quelle canzoni sarebbero finite effettivamente nell’album, ma penso spieghino lo spirito col quale è stato inciso il disco: dormire sul pavimento, registrare con gli amici tutto il giorno e tutta la notte, fumare sigarette e bere whisky. Nel motel abbiamo registrato per necessità. Volevo che John Wesley Harding facesse i cori in Twilight Distillery, ma era in tour. Così ho portato la mia attrezzatura e un microfono nella sua stanza d’hotel”. Il brano è uno dei più deliziosi della raccolta. I cori, che ricordano quelli che faceva Mike Mills ai tempi dei primi R.E.M., creano un senso di candida anticipazione per l’arrivo alla distilleria, un intervento leggero che crea uno splendido contrasto con l’ambientazione piuttosto cupa del pezzo. In un’altra canzone intitolata Leftover Life To Kill spicca un suono chitarristico particolare: “Non è prodotto da qualche effetto” spiega Scott “ma da una chitarra suonata da John Ramberg. È il medesimo strumento che Lou Reed ha utilizzato coi Velvet Underground. Ha le corde tutte uguali e accordate sulla stessa nota. Si suona con lo stile slide. John la userà anche nell’album solista che sta producendo”. Assemblare tante session e interventi differenti, mi spiega il co-produttore dell’album Kurt Bloch (lui si definisce assistant record-maker), “a volte è stato un po’ un azzardo, come quando abbiamo aspettato con le dita incrociate una traccia di steel guitar che ci doveva arrivare via e-mail, mentre oramai stavamo mixando la canzone”.
I testi dell’album sono una passeggiata sull’orlo della catastrofe, una discesa in una spirale di guai e solitudine accompagnata da melodie insolitamente leggere. Bloch dice che l’album è “un condensato di Minus 5” e che “avrebbe dovuto intitolarsi Flirtare col disastro fino all’autodistruzione”. McCaughey ha evitato ogni accenno all’autocommiserazione e il tono lugubre che certi temi potrebbero suggerire, scrivendo invece un’opera vibrante e piena di vitalità. Il nomignolo del disco, The Gun Album, fa riferimento alla gran quantità di pistole e fucili che appaiono nei testi. “Non sono affascinato dalle armi” premette Scott. “Anzi, tutt’altro: le odio. Ma quella delle armi è un’immagine che per qualche motivo continuava a fare capolino nelle canzoni che scrivevo, la maggior parte delle volte con un’accezione negativa – a parte With A Gun dove l’arma assume un connotato per così dire positivo, è quasi come una donna che dà sollievo a un personaggio che è finito nei guai fino al collo. Quella delle pistole e dei fucili è un’immagine potente e affascinante. E divertente, sebbene questo non sia propriamente un album allegro, vero?”. Vero. Ma c’entrano per caso i Beatles? “Sì, il concetto del Gun Album è un po’ il White Album più Happiness Is A Warm Gun. Se ascolti con attenzione Rifle Called Goodbye ci troverai molti riferimenti ben nascosti a quella canzone. In fin dei conti i Beatles sono la ragione per la quale ho iniziato a suonare, il gruppo che mi ha convinto a intraprendere questa strada quand’ero ragazzo. E tutto sommato non mi sono mai allontanato da loro”.
I protagonisti delle nuove canzoni di Scott corteggiano le calamità. Quello di Aw Shit Man sta vivendo la tipica crisi di mezza età e si invaghisce di una ragazza presumibilmente molto più giovane di lui. “Sa che sta mandando a rotoli il matrimonio” commenta Scott “eppure non riesce a fermarsi. Questi personaggi vanno comunque avanti, si gettano a testa bassa nella mischia”. Out There On The Maroon è la sua canzone preferita: “Il bello è che la musica allegra racconta una storia completamente diversa rispetto a quella del testo, che è drammatico e parla di estrema solitudine. Per il disco ho selezionato canzoni che esprimessero concetti simili: raccontano di gente sull’orlo del disastro. E dentro ci sono io. Voglio dire, non che le canzoni o le situazioni descritte siano completamente autobiografiche, ma in fondo ad esse ci sono esperienze personali”.
Forse questi racconti hanno a che fare col fatto che nel 2004 McCaughey ha divorziato dalla moglie Christy McWilson, a sua volta cantante – anzi, una delle prime artiste di alternative country uscite dalla scena di Seattle dopo essersi esibita negli anni 80 nei Dynette Set, un gruppo che si dilettava tra le altre cose a fare cover dei vecchi girl group, e nei 90 nei Picketts. Scott non ama addentrarsi in temi personali. Di sicuro l’esperienza del divorzio, ha raccontato l’ex moglie a The Stranger, è alla base dell’imminente terzo album solista della McWilson significativamente titolato Desperate Girl, ragazza disperata. “Il primo giorno in cui iniziammo a registrare” ha raccontato la McWilson “fu il giorno in cui Scott lasciò casa. Era una delle situazioni più intense che potevano capitarmi. Ero in uno stato miserabile e i musicisti erano incazzati”. Il produttore di quelle session era guarda caso Kurt Bloch, rocker stimatissimo in città, amicone di McCaughey, e chitarrista dei Fellows. “Kurt” ha detto ancora la McWilson “ha saputo trarre vantaggio dalla situazione. Ha utilizzato il dolore e la rabbia che aleggiavano in studio mentre registravamo. L’unica cosa che mi è d’aiuto è la musica”.
I personaggi del Gun Album non sono messi meglio delle ragazze disperate della McWilson, ma se non altro sembrano divertirsi. Perché nonostante tutto, lo spirito dei brani dei Minus 5 è positivo. “C’è sì del rimpianto per le scelte sbagliate e per gli errori” commenta Scott “ma ancora più forte è la voglia di andare avanti. Devi affrontare e riuscire ad accettare quel che la vita ti riserva. È quel che fanno i personaggi del mio disco: superano situazioni traumatiche con la determinazione di chi sa che deve andare avanti. Sempre”.
This Rifle Called Goodbye che apre l’album ne è perciò il bislacco manifesto poetico. “È un brano pieno di immagini che mi è difficile descrivere. Diciamo che lì il fucile (che è anche sulla copertina del cd, nda) è il simbolo della separazione da una relazione o da una situazione, mentre il rogo della Bibbia (è anche sul retrocopertina, nda) è la metafora dell’allontanamento dai valori tradizionali”. Ma Scott McCaughey ha mai posseduto un fucile? “Mai. Anzi, quando avevo all’incirca 12 anni e vivevo in California mio padre me ne regalò uno col quale divertirmi a sparare alle latte nel deserto. Non l’ho mai usato”.
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Sebbene si sia trasferito da tempo a Portland, Scott McCaughey è un’istituzione della scena musicale di Seattle, oltre ad esserne uno dei più ferventi promotori, amato e rispettato dai quarantenni quanto dai trentenni. In città parlano tutti bene di lui. Quando la gente scappava da quassù per cercare altrove un’opportunità per farsi notare nel mondo della musica, McCaughey faceva il percorso inverso e si trasferiva dalla California a Seattle. Trovò in un produttore locale chiamato Conrad Uno una sponda e, col suo appoggio, pubblicò nel 1984 il primo album dei Fellows intitolato The Fabulous Sounds Of The Pacific Northwest. Il 33 giri traeva ispirazione da un vecchio disco stampato dalla compagnia telefonica contenente suoni della natura che avrebbero dovuto attrarre i turisti a visitare il Nordovest degli Stati Uniti. Scott non poteva immaginare che nel giro di pochi anni i turisti sarebbero stati attratti in città non dalla natura, ma dal rock. “Facemmo l’album senza alcuna ambizione” dice oggi Scott “se non di farlo ascoltare ai nostri amici, suonare e ubriacarci”. Il secondo album dei Fellows Topsy Turvy del 1985 fu uno dei primi prodotti in città a ricevere elogi dalla stampa nazionale. Ne parlò bene addirittura Rolling Stone, un fatto strabiliante per la scena che viveva ai tempi in un stato di isolamento estremo. “Coi nostri dischi e le nostre tournée” afferma oggi McCaughey “fummo di incoraggiamento a molte band locali. I musicisti del posto ascoltavano i racconti dei nostri concerti in giro per il Paese, vedevano che facevamo la nostra musica indipendentemente dal fatto che orde di fan venissero a vederci o che grosse etichette discografiche si interessassero a noi, e pensavano: se ci sono riusciti loro, beh, possiamo riuscirci pure noi”. Nel giro di pochi album – nel terzo, The Man Who Loved Music, lo stile del quartetto arrivò a completa definizione, mentre l’ellepi del 1991 Electric Bird Digest fu prodotto da Butch Vig che accettò un cachet ridotto e incastrò le session tra la registrazione di Nevermind dei Nirvana e quella di Gish degli Smashing Pumpkins – gli Young Fresh Fellows diventarono uno dei pilastri della scena pop-rock della città. Il loro senso dell’umorismo, le canzoni che strizzavano l’occhio al pop anni 60, i vestiti di scena colorati e bizzarri, la generosità con la quale si davano sul palco incarnarono ben prima dei più fortunati Presidents Of The United States Of America il lato ironico della musica cittadina. Ovviamente nessuno ne prese nota fuori da Seattle. Così, mentre le band che non avevano ancora imbracciato gli strumenti mentre McCaughey incideva The Fabulous Sounds Of The Pacific Northwest raggiungevano i primi posti della classifica di Billboard, lui continuava a lavorare in un negozio di dischi per campare. “Ho vissuto quell’epoca come spettatore” mi racconta. In quel periodo lavorò anche al Crocodile col compito di scegliere le band da fare esibire nel locale. “Posso dire con orgoglio di essere stato il primo a portare a Seattle i Guided By Voices” afferma. “Peccato che non venne nessuno a vederli. Ma la volta dopo che suonarono in città il locale era pieno zeppo per via del passaparola di chi li aveva visti grazie a me: fu una bella rivincita”.
Se qualcosa è cambiato per Scott, che oggi può permettersi il privilegio di incidere dischi che vendono poche migliaia di copie e girare il Paese facendo la musica che predilige, è merito dell’incontro con Peter Buck. “Negli ultimi dieci anni (da tanto dura la collaborazione con il gruppo di Athens, nda) i R.E.M. mi hanno assicurato entrate fisse che mi permettono di fare la musica che voglio”. Scott e Peter, che si erano già incrociati durante le tournée delle rispettive band, hanno cominciato a frequentarsi assiduamente quando il secondo stava lavorando ad Automatic For The People a Seattle. Da quando il chitarrista ha deciso di trasferirsi in città attratto anche dalla facilità con la quale i musicisti si incontrano per suonare assieme, i due sono diventati inseparabili compagni di merende. Ma prima di entrare a far parte dei R.E.M. come musicista aggiunto, Scott ha dovuto passare un vero e proprio provino. “Peter non poteva decidere anche per gli altri, per cui dovetti fare un’audizione. Fu stressante, però il fatto di conoscere i ragazzi la rese informale. Mi ero preparato alcune loro canzoni e ovviamente mi chiesero di suonarne altre. Mi andò bene perché non cercavano un mago della chitarra, ma qualcuno che sapesse suonare vari strumenti con un minimo di stile”. La prima apparizione pubblica di Scott coi R.E.M. avvenne nell’ottobre del 1994 al celebre show televisivo Saturday Night Live, un’esperienza terrorizzante quanto l’audizione. Scott ricorda che Chevy Chase teneva nella tasca della giacca una bottiglietta di whisky. Da allora McCaughey ne ha fatte letteralmente di tutti i colori, tra cui suonare, grazie ai R.E.M., con Neil Young, Patti Smith, Brian Wilson, Jimmy Page. Quest’uomo non conosce la parola flop. Non perché non ne abbia mai fatti, ma al contrario perché si è gettato in innumerevoli imprese apparentemente insane: registrare uno stesso disco in due versioni, una coi Fellows e l’altra coi Minus 5, senza poi pubblicarle; scrivere canzoni sulla storia di gruppi rock di quarant’anni fa inventati di sana pianta; presentarsi sul palco con alcune tazze di plastica incollate al corpo e contenenti sandwich; costruire un catalogo di canzoni dedicate all’alcol; dedicare un pezzo a un attore di soap opera; interpretare il tema di Love Boat; fare album che inevitabilmente finiscono per vendere meno di 500 copie. “Nella nostra situazione” mi spiega il suo amico Bloch, che non ha mai goduto della popolarità che ha baciato molti suoi concittadini “impari a non dipendere dal giudizio altrui”. Di certo McCaughey non ha fame di successo. Ha, come dire, altre priorità. Ad esempio, ha inciso un album di cover dei Sonics con un supergruppo fondato con l’amico Mark Arm dei Mudhoney. Pare sia popolare in Spagna. Difficile vederlo senza occhiali da sole addosso e senza una birra in mano. Sa divertirsi.
Nel 2006, oltre a portare i Minus 5 in giro per gli Stati Uniti, McCaughey vorrebbe trovare due settimane per incidere un altro disco degli Young Fresh Fellows. Recentemente si è esibito a Seattle col vecchio gruppo, Kurt Bloch compreso, cantando un brano nuovo di zecca intitolato The Least Talented Man In Showbiz, l’uomo meno talentuoso dello show business. “Quello sono io” dice Scott con modestia e il senso dell’ironia che da sempre lo caratterizza. Ridiamo. “Ok, qualcosa di buono l’ho fatto, ma a volte mi sento sul serio così. Diciamo che sono fortunato a potermi guadagnarmi da vivere grazie alla musica. E poi sapersi prendere in giro è molto, molto importante. Sai, a Seattle c’è sempre stata molta gente che suonava per divertimento, non per immagine. Non prendiamo troppo sul serio noi stessi, ma la musica che facciamo, quella sì, la prendiamo molto sul serio. Crediamo che la cosa più importante non sia avere un buon contratto, ma riuscire a pubblicare il disco che vuoi fare e nel modo in cui lo vuoi fare. Hai solo mille dollari da investirci? Molto bene, vuol dire che magari ci guadagnerai qualcosa. Fai quel che puoi con le risorse che hai. L’essenza dei Minus 5 in fondo è proprio questa: farsi guidare dall’inesplicabile intreccio di coincidenze, incontri, opportunità e disastri”.