La morte di George Harrison ha colpito nel profondo del cuore tutti noi appassionati di musica. Per questo, lascio volentieri il mio spazio di approfondimento al ricordo di una persona che George lo ha conosciuto bene e che può vantare di essere un suo vero amico. Si tratta di Gary Wright, musicista degli Spooky Tooth tra gli anni 60 e 70 e poi solista con all’attivo una decina di dischi tra cui l’hit The Dream Weaver. Wright ha suonato le tastiere nella maggior parte degli album di Harrison (il quale ha spesso restituito il favore), oltre a scrivere con l’ex Beatle alcune canzoni. Riccardo Russino lo ha raggiunto telefonicamente a Los Angeles.
La prima volta che hai incontrato Harrison è stato in occasione delle incisioni di All Things Must Pass. Chi ti ha portato alle session?
L’amico Klaus Voormann, che conosceva i Beatles dai tempi di Amburgo. Mi ha telefonato per chiedermi se volevo suonare nel disco di George: ovviamente ho risposto di sì. La prima canzone che abbiamo inciso è stata Isn’t It A Pity. A George è piaciuto il mio modo di suonare e mi ha chiesto di partecipare al resto dell’album.
Durante le incisioni George si rendeva conto che stava realizzando una pietra miliare del rock?
Molte delle canzoni di All Things Must Pass le aveva scritte quando era ancora nei Beatles, così quando sono cominciate le registrazioni aveva molti brani fra i quali scegliere. Mentre lavoravamo all’album tutti ci si rendeva conto che si trattava di canzoni eccezionali, George compreso, anche se non si aspettava l’enorme successo che il disco avrebbe raccolto. Penso che quando All Things Must Pass è uscito molti sono rimasti scioccati (ride di gusto, nda).
Come era l’atmosfera durante le incisioni con tutte quelle rockstar coinvolte?
Ci sono state molte good vibrations e parecchia spiritualità perché George era profon-damente interessato all’Hare Krisna. Non c’erano droghe o cose del genere. Abbiamo passato momenti bellissimi. Inoltre ho notato il profondo rispetto che George nutriva nei confronti del modo di suonare di Clapton e quanto i due fossero amici.
È vero, come è capitato di leggere, che Phil Spector non era presente nella maggior parte delle session?
Non direi. Durante la registrazioni delle basic tracks Phil era quasi sempre presente. Probabilmente George ha lavorato da solo per le sovraincisioni. Ma devo confessarti che durante le sovraincisioni ero io quello che non era sempre presente.
Sei è andato in India con George.
Sì, nel gennaio del 1974. È stata un’esperienza che ha cambiato la mia vita. Ai tempi George era il mio mentore spirituale, mi sentivo come un suo studente. Mi ha spiegato molte cose riguardo alla filosofia indiana e mi ha dato il libro Autobiography Of A Yogi di Paramahansa Yoganda, che è diventato il mio guru. Questo aspetto è stato fondamentale per il rapporto tra me e George: anche per questo l’ho sempre considerato il mio fratello spirituale.
Hai suonato anche in Living In The Material World. Harrison sentiva il peso di dover dare un seguito all’enorme successo di All Things Must Pass e del Concert For Bangla Desh?
Sì, anche se dopo un ottimo disco è sempre difficile pubblicarne un altro dello stesso livello.
Comunque, penso che le canzoni di Living In The Material World siano molto valide. Inoltre, durante le incisioni dell’album ha avuto dei problemi con Phil Spector, che infatti ha solamente iniziato le session, prima che George lo allontanasse per produrre l’album da solo.
Ti hai mai parlato della sua difficoltà di affrancarsi dalla memoria dei Beatles?
Sì. I Beatles erano stati parte della sua vita, ma negli anni 70 non voleva più essere associato a loro perché stava cercando di concentrarsi su una nuova fase della sua carriera. Ma era molto difficile: tutti chiedevano sempre dei Beatles.
Hai scritto alcune canzoni con George, una è If You Believe presente nell’album George Harrison.
George mi fece ascoltare un pezzo che non riusciva a finire; così ci siamo seduti e abbiamo lavorato su alcuni cambi di accordi e su alcune parti della melodia. Penso che George Harrison sia un buon disco, con Blow Away che fu un gran successo per lui.
Il disco include anche Here Comes The Moon, un titolo particolare per l’autore di Heres Comes The Sun.
Questo è un tipico esempio dell’ironia di George: aveva un fantastico senso dell’umorismo, era una persona molto divertente.
Nei tardi anni 70 (e nei primi 80) Harrison non riscuoteva più il successo che aveva avuto all’inizio del decennio e i suoi dischi vendevano molto meno. Come si rapportava a questo?
In quel periodo George si stava disinteressando al lato commerciale del music business, ne era completamente distaccato. Se i suoi album non vendevano come una volta non se ne preoccupava molto, non era ossessionato dalla ricerca del successo a tutti i costi. Era più interessato al lato spirituale della vita. Smise anche di incidere dischi per alcuni anni.
Fino a Cloud Nine del 1987, dove tu sei nuovamente presente.
Ti racconto una storia riguardo a Cloud Nine. George mi aveva detto che intendeva chiedere a Jeff Lynne di produrre il suo nuovo album. Gli ho risposto che era un’ottima scelta, perché Lynne conosceva molto bene la sua musica, la Electric Light Orchestra è stata molto influenzata dai Beatles. George e io ci siamo incontrati a casa mia, e Jeff ci ha raggiunto per cena. In quest’occasione i due hanno parlato per la prima volta del disco. Poi siamo andati nel mio studio e abbiamo suonato un po’. Quindi siamo andati in Inghilterra per registrare l’album negli studi personali di George. È stata una bellissima esperienza.
In Cloud Nine hai scritto anche una canzone con Harrison e Lynne, That’s What It Takes.
Ho scritto l’inciso. George mi ha detto che avevano una canzone che necessitava di alcuni ritocchi. Così ci ho lavorato un po’ e il pezzo era pronto.
Cosa mi puoi dire di When We Was Fab?
A quel punto della sua carriera e della sua vita George non era più ossessionato dal ricordo dei Beatles: erano passati molti anni e riusciva a rapportarsi con maggiore serenità al suo passato. Così ha scritto una canzone per celebrare i suoi anni 60.
Com’era suonare con George e Ringo?
Era fantastico: Ringo è un grande batterista! I due erano molto amici, e la batteria di Ringo era perfetta per la musica di George. Ho suonato anche in due brani di Ringo prodotti da George: It Don’t Come Easy e Back Off Boogaloo.
Ho visto nel tuo sito Internet (www.thedream weaver.com) il testo di un brano inedito scritto da te ed Harrison, To Discover Your Self. Pensi di inciderlo? Hai una registrazione del brano effettuata con Harrison?
Non sono sicuro di come e quando lo utilizzerò, ma lo farò di certo, forse nel mio prossimo album. Non l’ho mai incisa con George, ma l’ho registrata in giorno in cui è morto: voce e piano, questo è tutto quello che ho di To Discover Your Self.