Gainesville, Florida, agosto 1971.
Da qualche tempo, al Dub’s Diner, uno dei locali più popolari della città, tutte le sere suona una rock band amatissima dagli studenti della University Of Florida. Sono in cinque e stanno insieme dal 1967; hanno cambiato qualche musicista e un paio di nomi prima di diventare Mudcrutch, neologismo che, letteralmente, potrebbe significare “stampella di fango” (qualcosa, quindi, di assolutamente inaffidabile). Tom, il leader-compositore-cantante -bassista della band, quando aveva 11 anni ha incontrato Elvis Presley. Da quel giorno, la sua vita è cambiata: ha imbracciato una chitarra e ha cominciato a scrivere canzoni. A Tom piace il beat inglese ma anche il blues, adora Bob Dylan e il folk ma pure il rock’n’roll degli anni 50. In più, ha una vera e propria passione per i Byrds. Così, i suoi pezzi sembrano un equilibrato mix di tutte queste influenze. Quando si esibiscono al Dub’s, Tom e i Mudcrutch sono costretti a suonare le Top 40. Appena possono, però, in scaletta c’infilano un loro brano. Presentandolo magari come “un nuovo pezzo dei Jefferson Airplane”; tanto, i gestori del club non capiscono molto di musica e, spesso, sono pure alticci. All’inizio del 1972, l’altro Tom del gruppo (che suona la chitarra ritmica) parte per la California insieme al fratello Bernie che, pare, si deve unire a un gruppo di country rock. A sostituirlo, arriva ben presto Mike, amico e compagno di college di Benmont (il tastierista). Di lì a poco, insieme a lui, anche i Mudcrutch volano in California in cerca di fortuna. Nel 1974, a Los Angeles firmano un contratto discografico con la Shelter Records (la stessa casa di Leon Russell) e pubblicano il singolo Depot Street. Che, però, non funziona. Nel 1975, Mudcrutch finisce la propria corsa.
Nashville, Tennessee, luglio 2007.
Tom (l’ex chitarrista dei Mudcrutch, quello partito per la California con il fratello) sta tornando a casa in auto dopo aver fatto la spesa da Kroger’s. Da 17 anni insegna in una scuola: il suo sogno rock è stato archiviato da tempo. Mentre sta per parcheggiare, squilla il cellulare: “Ciao, sono il tuo vecchio amico Tom, quello di Gainesville… ricordi?”. Tom rimane di sasso. Pensa che qualcuno lo voglia prendere in giro. “Non è uno scherzo. Sono proprio io: ti andrebbe di rimettere insieme i Mudcrutch?”.
Chi lo ha chiamato è davvero “il Tom di Gainesville”, solo che, nel frattempo, è diventato una delle rockstar più acclamate d’America, con 50 milioni di dischi venduti, 18 nomination ai Grammy, premi e riconoscimenti di ogni tipo. Lo scorso gennaio ha pure suonato nell’intervallo del Superbowl, di fronte a un centinaio di milioni di telespettatori.
Il suo nome è Tom Petty.
San Fernando Valley, agosto 2007.
In un capannone adibito a sala prove degli Heartbreakers, la leggendaria band di Tom Petty della quale fanno parte Mike Campbell e Benmont Tench (già, proprio il chitarrista e il tastierista degli ultimi Mudcrutch), è in corso una riunione tra vecchi amici. “Non avrei mai pensato che potesse succedere” rivela Tom Leadon, il chitarrista dei Mudcrutch, oggi insegnante a Nashville. Per la cronaca, suo fratello Bernie, in California, la band di country-rock l’ha fatta per davvero. E non è stata manco male (you know who we’re talking about…). Anche il batterista dei Mudcrutch (Randall Marsh), abbandonati come Tom Leadon i sogni di gloria, è tornato nella East Coast. Da qualche anno vive nuovamente in Florida dove dà lezioni di batteria. Lui, la notizia della reunion l’ha avuta dal regista Peter Bogdanovich durante le riprese di Runnin’ Down A Dream, il bellissimo documentario dedicato a Tom Petty. La cosa lo ha colto di sorpresa ma gli ha fatto un enorme piacere.
“Abbiamo voluto ricominciare da dove avevamo finito” racconta Tom Petty “e così, in modo quasi istintivo, abbiamo attaccato con Shady Grove, un traditional che avevamo arrangiato a modo nostro e che ci è sempre piaciuto fare. E poi, Lover Of The Bayou, un brano dei Byrds che era nel nostro vecchio repertorio”. Non c’è quasi bisogno di prove. I cinque Mudcrutch si mettono in postazione, danno l’ok per la registrazione e… via. Come una volta. “Finivo una session” spiega Petty “e mi sentivo addosso una carica di adrenalina enorme… avevo subito voglia di scrivere un pezzo nuovo. Le canzoni sono sgorgate in modo naturale: non ricordo di aver mai vissuto un periodo così prolifico e creativo”. Sono sufficienti due-tre take al massimo: i pezzi, registrati in diretta vanno bene così. Addirittura, Crystal River (un brano di oltre 9 minuti che sembra una suite psichedelica dei Grateful Dead) è stato suonato e registrato una sola volta.
In dieci giorni, il lavoro è terminato. Con soddisfazione di tutti.
West Hollywood, Troubadour, aprile 2008.
Nel celebre music club californiano sul Santa Monica Boulevard, i Mudcrutch fanno sold out per 6 sere consecutive. Per divertirsi, in attesa del megatour estivo con gli Heartbreakers, prima di andare al Troubadour hanno sbancato una manciata di luoghi di culto in California, come il Fillmore a San Francisco. Presentano 10 canzoni nuove dal cd Mudcrutch che contiene anche le due cover prima citate, una vecchia trucker song come Six Days On The Road e la fiddletune June Apple. Ma, durante il concerto, si lanciano nella rilettura di classici come Summertime Blues o Rainy Day Women #12 & 35. Il suono è quello del miglior Petty con qualche profumo country & folk in più e atmosfere che ricordano quelle di Neil Young con i primi Crazy Horse. Non ci sono dubbi: si tratta di uno dei più bei lavori del rocker della Florida dai tempi di Wildflowers (1994).
Bentornato, zio Tom…