16/03/2007

MY NAME IS SEAN

sottotitolo

Un’eccellente cena nel Borgo di Ognina, una colazione su un’assolata terrazza con vista sui tetti di Catania e un pranzo nel cuore della città etnea: è proprio vero che i migliori incontri sono quelli che si accompagnano alla buona tavola. Ed è stato il profumo del vino Nero d’Avola siciliano ad inebriare, il mese scorso, Yuka Honda e Sean Lennon, ospiti dell’Etnafest catanese. La “metà creatrice” delle Cibo Matto e il figlio della coppia John & Yoko hanno proposto, sul palco del Centro Culturale Zo, il loro inedito concerto a due voci, affiancati per l’occasione da Petra Haden (altra figlia d’arte: suo papà è proprio quel Charlie), dal batterista Kenny Wollesen, dal bassista Trevor Dunn, dalla vocalist Courtney Kaiser e dall’eccellente trombonista Josh Roseman.
Da un lato, dunque, l’alter ego di Miho Hatori, già figura cult del pop made in NYC e artefice di Viva! La Woman, Stereo Type A e Memories Are My Only Witness e, sull’altro fronte, il trentaduenne Lennon, ospite a sorpresa del festival catanese, giunto in Sicilia a pochi mesi dall’uscita del suo Friendly Fire, album che l’ha visto lavorare a fianco di Harper Simon (figlio di Paul), Matt Chamberlain, Bijou Phillips e alla stessa Honda.
Dalla lunga chiacchierata con i due protagonisti del concerto siciliano emerge chiaramente il rapporto di osmosi musicale che caratterizza la collaborazione Lennon-Honda: “Ci conosciamo da oltre dodici anni, siamo stati fidanzati per qualche anno e ora siamo amici e colleghi inseparabili; siamo letteralmente cresciuti insieme” commenta Yuka. Replica caustico Sean: “Musicalmente viviamo in una sorta di costante reciprocità musicale e culturale: definisco il nostro un rapporto negriero-schiavo. Ti rivelo un segreto: per definire, anche visivamente, i ruoli, lo schiavo indossa un cappello nero e qui a Catania io sarò sempre con il cappello. Sarò il musicista-schiavo di Yuka”.
Con la Honda parliamo dell’attuale scena newyorchese e dei suoi costanti contatti con il musicista guru John Zorn: “Definire una scena musicale newyorchese contemporanea è piuttosto complicato; io abito al Greenwich Village, ma frequento regolarmente moltissimi ambiti musicali e incontro continuamente musicisti di estrazioni molto diverse tra loro. Nella mia band suonano, solo per fare un esempio, il veterano Kenny Wollesen, un autentico drummer di culto a New York, e Josh Roseman, da sempre attivissimo sul fronte jazzistico statunitense”. Ribatte Lennon: “In effetti è un po’ come parlare del Rinascimento. Nessuno degli artisti del Cinquecento sapeva di essere rinascimentale e, allo stesso modo, nessuno di noi è davvero consapevole di far parte di una precisa scena musicale. Devo, però, ammettere che i miei recenti scambi di file-audio con musicisti del Vecchio Continente mi hanno permesso di individuare un approccio statunitense e uno europeo, il primo di pura contaminazione, il secondo fatto di energia e costante ricerca sonora. Proprio grazie a Internet ho scoperto i bresciani Joujoux D’Antan e li ho scelti come supporter del mio tour europeo di Friendly Fire” (vedi box, ndr).
È, però, l’Italia musicale di Ennio Morricone, di Piero Umiliani, di Nino Rota e, sorprendentemente, degli autori di colonne sonore di film horror di serie B targati anni 70 e prodotti nel nostro Paese a catturare l’attenzione dei due e dell’intera band che li accompagna: “Ascoltiamo continuamente la musica di Ennio Morricone e sfortunatamente non abbiamo potuto assistere ai suoi concerti statunitensi e alla consegna dell’Oscar alla carriera. È un genio assoluto e le sue collaborazioni con Sergio Leone sono ancora oggi capitoli immancabili per tutti coloro che amano il cinema e gli scores orchestrali per film d’autore”.
Ci rivela la Honda che “per Viva La Woman, con le Cibo Matto avevamo utilizzato una enorme quantità di campionamenti e combinato suoni molto diversi tra loro, molto distanti concettualmente. La nostra intenzione era quella di replicare questo lavoro per un altro album utilizzando anche la produzione di compositori di colonne sonore, ma la nostra casa discografica ci ha messo in guardia subito dopo il nostro primo disco e ci ha spiegato che avrebbero dovuto far fronte a troppe cause legali”.
È Friendly Fire, l’ultima creatura discografica di Lennon, la protagonista della piacevolissima conversazione con Sean. Se Into The Sun si presentava all’ascoltatore come un ideale taccuino di appunti e spunti sonori, questo secondo album si abbandona del tutto alla forma canzone, quasi come se si trattasse di un “uovo” senza crepe formali: “È proprio l’obiettivo che mi sono prefissato e sono felice che tu l’abbia notato; ho preferito concentrarmi sulla costruzione di un preciso numero di pop song, con le loro introduzioni strumentali, i chorus, i bridge, gli assoli, rispettando la logica del songwriting canonico. Mi piace l’immagine del disco-uovo: la riutilizzerò”.
Gli faccio notare che Wait For Me appare quasi come un brano tributo ai Crowded House, tanto somiglia alle produzioni dei fratelli Finn: “È vero! Non ci avevo pensato. quando avevo 15, 16 anni ascoltavo continuamente i Crowded House. Sono davvero grandissimi”.
L’album, uscito a distanza di otto anni dal debutto Into The Sun, è stato pubblicato in un’unica confezione cd+dvd che presenta anche dieci minifilm uniti tra loro e diretti dal regista italo-americano Michele Civetta e che vedono la partecipazione, tra gli altri, di Asia Argento e Carrie Fisher. “Michele era un mio compagno di classe; eravamo entrambi in classe con Yari Carrisi, i cui genitori (Al Bano e Romina Power, nda) sono molto popolari in Italia. Non è così?”. Dico a Sean che gli ex coniugi Carrisi sono molto famosi dalle nostre parti e lui intona una perfetta versione del Ballo del qua qua.
Sean osserva la mia cravatta di taglio partenopeo ed è affascinato dalle sue righe blu notte e giallo ruggine. Decido di regalargliela e lui la adotta come abito di scena sul palco catanese del Centro Zo. Bisogna aspettarsi di tutto dai Lennon.

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