(Foto di Valerio Spada)
Vinicio Capossela interpreta il ruolo del viandante ma anche quello del narratore e attraversa così le strade dell’Alta Irpinia, luoghi presso i quali è ambientato Nel paese dei coppoloni (al cinema solo martedì 19 e mercoledì 20 gennaio). Un film o un documentario… o altro: un ponte, in concomitanza con i 25 anni di carriera, tra le pagine del suo libro, Il paese dei coppoloni, e il suo nuovo album, Canzoni della Cupa, in uscita a marzo.
L’artista compie un suo percorso immaginifico ed evocativo in un luogo che qui diviene il simbolo dell'”Italia svuotata dai flussi economici” e dove certe tradizioni si tramandano ancora e rimangono vive grazie ai racconti e ai personaggi incontrati lungo il cammino. All’inizio alcuni fogli del libro vengono bruciati da Vinicio Capossela, affinché possano acquisire una nuova vita all’interno della pellicola. E inizia dunque il viaggio, dove tra i vari posti “che possono tramandare storie” c’è la vecchia ferrovia Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, ma soprattutto ci sono persone o, per meglio dire, personaggi come il violinista “Matalena”, “Armando Testadiuccello”, La Banda Della Posta, lo storico ristoratore e tenore Ciccillo Di Benedetto (“Cicc’Bennet”) o il barbiere Giovanni Sicuranza.
Nel salone di quest’ultimo si canta e si raccontano storie, “un po’ come si faceva una volta”. Sicuranza, poi, è pure cultore della storia e del dialetto calitrano e frequentemente nel corso del film si attinge alla “lingua madre” per narrare la vita della terra che fu, lungo la quale ora si possono osservare case abbandonate, pale eoliche, la ferrovia sopraccitata, boschi, animali selvatici… così come per lo stesso motivo si prende spunto da alcuni filmini del passato, montati insieme a quanto è stato girato nel presente.
Capossela ovviamente nel corso della narrazione non può rinunciare alla sua musica, da quella che sarà contenuta nel nuovo album, fino ad un tributo a Matteo Salvatore, passando per Il ballo di San Vito e La marcia del camposanto.
E poi l’artista si imbatte nelle litanie delle “mammenonne”, nelle “cumversazioni” in piazza, ma anche negli sposalizi (ora divenuti matrimoni) o nella tradizione che prevede pranzi luculliani a base di ragù fatto cuocere per ore e ore da abbinare con gli ziti spezzati e dove protagonista indiscusso è l’involtino di carne meglio noto come “vraciola”.
Mentre parla, Vinicio Capossela fa riferimento anche alla “cuccuvaia”, il modo per indicare la “civetta”, dal greco κουκουβάγια. Ed ecco, allora, che man mano emergono le radici di quel luogo così legato all’Antica Grecia e dove si erge un piccolo Olimpo delle colline irpine. E di conseguenza si sottolinea ulteriormente pure la stretta connessione dell’artista con la Grecia stessa.
Il film, diretto da Stefano Obino, per Vinicio Capossela è quindi un modo per dare una risposta, a se stesso e agli altri, da viandante e non da residente, a domande come “Chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando?”… magari anche a bordo di una trebbiatrice volante, urlando “Al Padre Eterno le cose inutili sono sempre venute bene!”…
Vinicio Capossela interpreta il ruolo del viandante ma anche quello del narratore e attraversa così le strade dell’Alta Irpinia, luoghi presso i quali è ambientato Nel paese dei coppoloni (al cinema solo martedì 19 e mercoledì 20 gennaio). Un film o un documentario… o altro: un ponte, in concomitanza con i 25 anni di carriera, tra le pagine del suo libro, Il paese dei coppoloni, e il suo nuovo album, Canzoni della Cupa, in uscita a marzo.
L’artista compie un suo percorso immaginifico ed evocativo in un luogo che qui diviene il simbolo dell'”Italia svuotata dai flussi economici” e dove certe tradizioni si tramandano ancora e rimangono vive grazie ai racconti e ai personaggi incontrati lungo il cammino. All’inizio alcuni fogli del libro vengono bruciati da Vinicio Capossela, affinché possano acquisire una nuova vita all’interno della pellicola. E inizia dunque il viaggio, dove tra i vari posti “che possono tramandare storie” c’è la vecchia ferrovia Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, ma soprattutto ci sono persone o, per meglio dire, personaggi come il violinista “Matalena”, “Armando Testadiuccello”, La Banda Della Posta, lo storico ristoratore e tenore Ciccillo Di Benedetto (“Cicc’Bennet”) o il barbiere Giovanni Sicuranza.
Nel salone di quest’ultimo si canta e si raccontano storie, “un po’ come si faceva una volta”. Sicuranza, poi, è pure cultore della storia e del dialetto calitrano e frequentemente nel corso del film si attinge alla “lingua madre” per narrare la vita della terra che fu, lungo la quale ora si possono osservare case abbandonate, pale eoliche, la ferrovia sopraccitata, boschi, animali selvatici… così come per lo stesso motivo si prende spunto da alcuni filmini del passato, montati insieme a quanto è stato girato nel presente.
Capossela ovviamente nel corso della narrazione non può rinunciare alla sua musica, da quella che sarà contenuta nel nuovo album, fino ad un tributo a Matteo Salvatore, passando per Il ballo di San Vito e La marcia del camposanto.
E poi l’artista si imbatte nelle litanie delle “mammenonne”, nelle “cumversazioni” in piazza, ma anche negli sposalizi (ora divenuti matrimoni) o nella tradizione che prevede pranzi luculliani a base di ragù fatto cuocere per ore e ore da abbinare con gli ziti spezzati e dove protagonista indiscusso è l’involtino di carne meglio noto come “vraciola”.
Mentre parla, Vinicio Capossela fa riferimento anche alla “cuccuvaia”, il modo per indicare la “civetta”, dal greco κουκουβάγια. Ed ecco, allora, che man mano emergono le radici di quel luogo così legato all’Antica Grecia e dove si erge un piccolo Olimpo delle colline irpine. E di conseguenza si sottolinea ulteriormente pure la stretta connessione dell’artista con la Grecia stessa.
Il film, diretto da Stefano Obino, per Vinicio Capossela è quindi un modo per dare una risposta, a se stesso e agli altri, da viandante e non da residente, a domande come “Chi siete? A chi appartenete? Cosa andate cercando?”… magari anche a bordo di una trebbiatrice volante, urlando “Al Padre Eterno le cose inutili sono sempre venute bene!”…