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Paolo Preite e il suo nuovo album “Fishing for the dead”, intervista
Fishing for the dead è il terzo album di Paolo Preite, lavoro con cui vuole “far riflettere e far reagire”, come ha dichiarato lui stesso nella nostra intervista
Una citazione di Malcolm X come titolo per il terzo album di Paolo Preite, cantautore nato in provincia di Roma, che scrive musica e testi in inglese con un gusto che nasce grazie a importanti influenze musicali come quelle di Leonard Cohen, Bob Dylan, Roger Waters, Bruce Springsteen per citarne alcune e con una sensibilità che gli permette di osservare con senso critico l’attuale mondo in cui viviamo.
Nel suo percorso Paolo Preite ha incontrato Fernando Saunders, produttore e storico bassista di Lou Reed, Joan Baez e Jeff Beck, tra gli altri, che qui è ospite in un brano. Saunders aveva prodotto il suo primo album, Don’t stop dreaming del 2014, e aveva collaborato al suo secondo lavoro, An eye on the world del 2018, insieme ad altri nomi internazionali come Kenny Aronoff, Bob Malone, Michael Jerome, Ondre J Pivec e Chip Crawford.
Qui di seguito, nella nostra intervista, Paolo Preite si sofferma su Fishing for the dead, su alcuni brani in particolare dell’album e su com’è nato questo suo nuovo lavoro.
Fishing for the dead: titolo dell’album e del primo brano che è anche una citazione importante, vero?
Esattamente, è una citazione di Malcolm X. Quando usciva a predicare per le strade delle città americane diceva “let’s go fishing for the dead”… andiamo a risvegliare le coscienze dei più bisognosi. È l’obiettivo ultimo di questo disco: far riflettere e far reagire!
Subito dopo c’è Hope.
In questo periodo storico complesso, credo sia quello di cui necessitiamo di più: speranza e il restare umani incondizionatamente. Una canzone a cui sono molto legato e anch’essa piena di citazioni di James Baldwin e Martin Luther King.
Filo conduttore dei brani dell’album?
Ho provato sicuramente a fare una fotografia di ciò che ho e abbiamo passato: la scoperta delle nostre fragilità e della nostra mortalità, la decadenza culturale del mondo occidentale e, ovviamente, la rinascita e la luce.
Adesso raccontaci come sono nate le tracce I can’t breathe e Drowning.
Sono due composizioni che introducono poi i brani A leaf in a storm dedicata a George Floyd e In my world. Un modo di descrivere l’impatto della realtà, dei mass media e del mondo esterno sulle nostre esistenze e sulla mia scrittura.
Sono sempre evidenti i tuoi riferimenti rock in questo tuo terzo album. Come si sono rinnovati nel tuo modo di fare musica?
Cerco sempre di dare più colori ai miei brani, non mi fossilizzo mai su un genere.
Ormai una costante dei tuoi lavori è la presenza di Fernando Saunders, qui presente come special guest nel brano che citavi prima, In my world. Come si è evoluto nel tempo il rapporto con lui?
Devo tutto a Saunders. Mi ha insegnato cosa significa donarsi alla Musica, un concetto che sfiora la religiosità. Ha scritto alcune delle pagine più profonde della musica mondiale, è un onore poter contare sempre sul suo genio e sulla sua amicizia.
Come si è svolto invece il lavoro con Simone Scifoni?
Un amore a prima nota. Un musicista eccezionale di livello stratosferico che andrebbe valorizzato nel nostro Paese.
Si è creata un’alchimia inaspettata, magia.
Oltre a lui, vorrei sottolineare il lavoro di altri artisti di valore assoluto che ci hanno donato il loro talento per completare questo Album: Alberto Lombardi, Alessandro Cefalì, Marco Rovinelli, Micheal Jerome Moore, Andrea Di Giuseppe…
Ultima domanda: stai presentando l’album dal vivo? Sono previste anche date all’estero?
Per ora mi sto dedicando a progetti mirati e stimolanti. Ho appena concluso una collaborazione con la Asl di Roma suonando in delle Rems… esperienza di grande impatto, vi lascio immaginare!
