01/07/2011

PÈRE-LACHAISE

SULLA TOMBA DI JIM

Padre François de la Chaise era il confessore di Luigi XIV, il Re Sole.
Viveva nella casa dei gesuiti al fianco di una cappella, sulle colline del 20esimo arrondissement parigino. Proprio in quel luogo, nel 1804, Napoleone decide di far costruire un grande cimitero. Commissiona il progetto al celebre architetto Alexandre-Théodore Brongniart e nasce così «le Cimitière du Père-Lachaise», dedicato al padre gesuita perché costruito attorno alla cappella dove Lachaise abitava.
La sua posizione decentrata, all’inizio, crea qualche problema: il numero di funerali che si svolge lì è molto inferiore alle aspettative. Allora, gli amministratori hanno un’idea: fanno trasferire al Père-Lachaise le spoglie di La Fontaine e Molière. Bingo!
Da quel momento, artisti, personaggi pubblici e superstar dello spettacolo vengono sepolti in quello che, poco per volta, diventa il luogo del riposo eterno per «ricchi e famosi» attraendo interesse e curiosità crescenti.
Oggi, il Père-Lachaise è il cimitero che vanta il maggior flusso di visitatori del mondo. Per la sua vasta estensione qualcuno lo ha definito «una città nella città». Una città di morti, ovviamente…
La lista dei personaggi sepolti lì è impressionante: tra i 300 mila “abitanti” spiccano i nomi di Apollinaire, Honoré de Balzac, Maria Callas, Rossini, Chopin, Yves Montand, Michel Petrucciani, Edith Piaf, Oscar Wilde. Ma sono solo alcune delle centinaia di celebrità segnalate dalla mappa speciale che viene consegnata all’ingresso e che consente al visitatore di orientarsi.
Da qualche anno, la visita la si può effettuare anche in modo virtuale cliccando sul sito ufficiale www.pere-lachaise.com.
Al di là degli artisti sepolti, il Père-Lachaise emana un fascino inquietante. Tombe e sculture d’altri tempi, vialetti alberati, scalette di pietra e un’atmosfera da brividi danno al luogo un tono speciale: è la quintessenza del cimitero da film horror, alla Stephen King, per intenderci.
A fine giugno 1971, Jim Morrison visita il Père-Lachaise. Ci passa un’intera giornata a osservare, in silenzio, i sepolcri dei suoi “idoli” come Oscar Wilde. All’amico Alain Ronay, pare, confessi un desiderio: «Quando sarò morto vorrei essere sepolto qui».
Non è la prima volta che Jim parla della morte. Qualche tempo prima, aveva detto: «Non mi spiacerebbe morire in un incidente aereo: potrebbe essere un buon modo di lasciare il mondo. Non vorrei certo morire nel sonno, né di vecchiaia o di overdose. Vorrei gustare il sapore della morte, ascoltarne il suono, sentirne l’odore. D’altronde è una cosa che ci capita una volta sola».
Quando, il 3 luglio 1971, Jim Morrison muore, Alain Ronay si ricorda di quanto gli aveva detto il suo amico e, nonostante non sia facile per uno straniero essere sepolto lì, trova un posticino nella sezione numero 6.
Il 7 luglio, alle 8.30 del mattino, si celebrano le esequie. Nessuna preghiera e nessun cerimoniere per la sepoltura di James Douglas Morrison. Di fronte al luogo del tumulo, solo poche persone. La famiglia è assente: da tempo ha tagliato i ponti con il figlio degenere.
Lo strano silenzio e la fretta ingiustificata di quella cerimonia, destano perplessità. Quel giorno, una signora parigina, una certa Madame Colinette, è in visita a una tomba vicina. «Hanno fatto tutto in fretta e furia», ricorda, «non c’era neppure un prete, una cosa triste e deprimente».
Ai dubbi, a tutt’oggi irrisolti, sulle modalità della morte di Morrison si aggiunge un’ulteriore testimonianza: quella di John Densmore, il batterista dei Doors, che dopo la sua prima visita al Père-Lachaise ha dichiarato: «E questa sarebbe la tomba di Jim? Ma non vedete che è troppo piccola? Qui dentro non ci sarebbe mai potuto entrare…».
Che Jim Morrison sia veramente in quella tomba o meno, ai suoi fan pare interessare poco. Da sempre, giungono a fiumi, tutti i giorni, per rendere omaggio al Re Lucertola, per lasciare fiori e “regalini” vari, per farsi fotografare o per portarsi con sé un pezzo dell’anima del «poeta del rock».
Qualcuno, nel 1973 ha rubato la targa piazzata sulla tomba dalle autorità francesi. Poi, dopo che nel 1983 lo scultore croato Mladen Mikulin aveva scolpito un bellissimo busto raffigurante Morrison posizionandolo sulla tomba, dopo altri episodi di profanazione, nel 1988 quel busto è stato rubato.
Dal 1990, il padre di Jim (l’ammiraglio George Steve Morrison) lo ha sostituito con una lapide: sulla targa, sotto al nome James Douglas Morrison e alle date di nascita e morte (1943-1971) la scritta in greco: «KATA TON DAIMONA EAYTOY». Delle tante interpretazioni possibili di quella frase, la più sensata e pertinente parrebbe essere: «Egli ha provocato i suoi stessi demoni».
Il 3 giugno del 1990, il punk-rocker americano Stiv Bators muore a Parigi dopo essere stato investito da un taxi. Da sempre grande fan di Jim Morrison, aveva espresso un desiderio: che le sue ceneri fossero disperse sulla tomba di Jim. La sua fidanzata Caroline, dopo averne sniffato una piccola parte («Per averlo sempre con me») qualche giorno dopo lo accontenta.
Anche questo è amore…

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!