Il primo è un cantautore, polistrumentista e produttore, nonché chitarrista fino a qualche anno fa degli Amor Fou. Giuliano Dottori è peraltro autore di musiche per immagini e ha fondato nel 2007 il festival Musica Distesa.
Paolo Marrone è invece fondatore e frontman dei Favonio ed è anche uno dei curatori del festival letterario Writers, per il quale si occupa della parte musicale, e della stagione teatrale del Teatro della Luna.
Piume è già un EP uscito a febbraio con quattro brani, mentre il 30 aprile uscirà l’album vero e proprio contenente anche le altre canzoni in un supporto fisico non canonico (altri dettagli per ora non si conoscono).
I testi, tutti inediti, sono stati scritti da Valeria Benatti, Carlo Bevilacqua, Mimmo Borrelli, Massimo Cassani, Francesco Matteo Cataluccio, Nicolai Lilin, Marina Mander, Marco Rossari, Fabio Marco Santopietro, Shi Yang Shi.
Giuliano Dottori e Paolo Marrone hanno lavorato sulle storie di questi scrittori, creando una musica scritta al pianoforte e poi sviluppata e arrangiata con suoni electropop. I due fondatori del collettivo hanno inoltre cantato questi brani, a completamento del progetto, salvo un caso, come ci spiega meglio Paolo Marrone in quest’intervista.
Prima domanda d’obbligo: com’è nata l’idea di Piume?
Era un’idea che avevo da tempo, un po’ perché faccio Writers da alcuni anni e ho avuto la possibilità di conoscere tanti scrittori, un po’ proprio per il desiderio di far tornare gli scrittori stessi a comporre il testo di un brano musicale.
L’esperienza italiana per la musica leggera c’è già stata: non dimentichiamo Pasolini, Flaiano, Moravia… ma poi questa esperienza si è un po’ dissolta con l’avvento dei cantautori. Ci sono stati poi altri esempi di evoluzione della canzone d’autore, ad esempio con Manlio Sgalambro per Battiato, però erano esperienze un po’ diverse rispetto alla commistione tra letteratura e musica.
Volevo attraversare il sociale in senso stretto e cercavo persone con cui condividere quest’esperienza, in modo da fare anche qualcosa di diverso da quello che già facevo con i Favonio, sia per i testi che dal punto di vista musicale.
Avevi conosciuto Giuliano Dottori già prima di questo progetto, vero?
Sì, lo avevo conosciuto intanto perché è l’insegnante di chitarra di mio figlio. Lui era stato coinvolto per la colonna sonora di Accolla (e il cavallino rosso a Siracusa), docufilm sull’artista Salvatore Accolla, scritto e diretto da Paolo Boriani. All’interno c’era una canzone che dovevo cantare io, Nessun al mondo, e, in quell’occasione, quando abbiamo parlato di come realizzare il brano, Giuliano è riuscito a tradurre in musica tutti i miei pensieri su come intendevo farla. Visto che questa esperienza è stata positiva, ho provato a chiedergli se volesse intraprendere questo nuovo progetto e lui ha accettato.
Com’è avvenuto tecnicamente il lavoro?
Prima di tutto abbiamo coinvolto gli scrittori. Un po’ li conoscevo, altri mi sono stati suggeriti. Volevamo coinvolgerli per conferire alla canzone uno sguardo diverso sul mondo attuale e per analizzare la società dal punto di vista di chi non vive l’ambito musicale, ma solitamente si approccia alla scrittura in maniera diversa.
Altra caratteristica è che nessuno di loro aveva mai scritto una canzone, fatta eccezione per Mimmo Borrelli, drammaturgo che all’interno delle sue opere inserisce canzoni, ma in quel caso si tratta di brani incastrati in una trama e non da estrapolare per altri contesti.
Molti non si erano mai avvicinati al mondo della musica, tanto che quasi tutti alla mia richiesta hanno detto che non sapevano scrivere canzoni… per quello ho specificato che proprio per questo motivo glielo stavamo chiedendo (ride, ndr)!
Quindi avete lavorato solo su testi inediti?
Sì, è l’unica indicazione che abbiamo dato agli scrittori: dovevano essere testi inediti e non presi da ciò che avevano già scritto; questi testi inediti sarebbero poi diventati delle canzoni.
Noi sin dall’inizio avevamo pensato comunque di lavorare “per sottrazione” e quindi i testi che ci sono arrivati avevano punti in comune perché in tutti si raccontava una storia, ma ogni storia andava incastrata in una canzone pop. Ci sono arrivati testi di grande spessore, ma il nostro obiettivo era dare una “leggerezza”, laddove fosse possibile, perché parliamo comunque di canzone pop. Ci sono arrivate storie di emarginazione, di violenza sulle donne, di preti pedofili… tutte tematiche purtroppo attuali. Noi poi siamo intervenuti sui testi limandoli, perché potessero essere cantati, e ovviamente abbiamo lasciato un senso alle parole, andando poi spesso “in contrasto” grazie alla musica “elettronica”, o comunque fatta al computer, e con il pianoforte che è l’unico strumento suonato.
Ti sei trovato a tuo agio con i suoni electropop?
Mi sono trovato molto bene e Giuliano è stato veramente bravo. Dopo aver creato insieme le melodie al pianoforte, poi tutti gli arrangiamenti li ha curati lui.
Mi sono trovato molto bene, anche perché ho trovato delle nuove chiavi di interpretazione. L’esperienza più bella nell’affrontare suoni elettronici è stata proprio questa: non dico che ho dovuto cambiare, ma mi sono dovuto adeguare a dei suoni diversi, in alcuni brani in maniera quasi naturale, mentre in altri ho dovuto modificare la mia timbrica rispetto ai suoni elettronici.
Il brano forse un po’ più particolare, almeno finora e in attesa dell’album, è Bacio di caramella.
Vero, ma perché mentre tutti gli altri testi ci sono arrivati e li abbiamo musicati, Mimmo Borrelli era presente con noi in studio quando l’ha scritto. Ha composto Bacio di caramella in una mezz’oretta: aveva in mente questa storia che si rifà a un episodio da lui conosciuto, ma è un esempio che vale per tanti altri; non è importante la singola storia, è importante la denuncia di questa piaga sociale, quella dei preti pedofili.
È stato diverso l’approccio, prima di tutto per il linguaggio di Mimmo, quindi un po’ italiano e un po’ dialetto flegreo di Torregàveta (frazione di Bacoli, provincia di Napoli, ndr); e poi, seconda caratteristica, lui è intervenuto quasi totalmente con la sua vocalità. Quello è stato l’unico caso in cui abbiamo lavorato tutt’e tre insieme, partendo da quella ritmica… e proprio su quella ritmica Mimmo si è appoggiato per cantare o declamare. In realtà il suo, infatti, non è solamente una sorta di canto, ma è un’interpretazione che va al di là del canto, mentre, nella parte melodica dove ci siamo inseriti io e Giuliano, abbiamo creato qualcosa in contrasto con la sua violenza verbale e con un ritornello apparentemente dolce che in realtà nasconde un’amarezza totale.
Siamo in conclusione, ma prima ti chiedo: prossime tappe di questo progetto? Come vi immaginate questo progetto in futuro?
Beh, intanto dopo l’EP, il 30 aprile uscirà l’album… che non sarà un vero e proprio album, ma sarà un oggetto/un supporto particolare di cui non posso svelare ancora nulla (ride, ndr)!
Sicuramente, e qui penso di poter parlare anche a nome di Giuliano, questa esperienza ci sta dando tanto.
Spesso gli scrittori hanno prestato la loro opera per le canzoni, ma l’unico riferimento italiano in senso stretto, è quello di Giro a vuoto del 1960 messo in scena da Laura Betti. Lì c’erano vari scrittori come Pasolini e gli altri che ti dicevo prima, amici dell’attrice Laura Betti, appunto, che avevano creato questo collettivo. Nacque prima come recital nel 1960 e poi venne realizzato un disco con tutte le canzoni.
Anche noi, nel nostro piccolo, riteniamo che si sia formato un collettivo con questa esperienza ed è stata proprio la parola collettivo che ha dato un po’ il senso al tutto.
Ultimamente si raccontano sempre meno storie, ci si sofferma sempre meno su aspetti negativi, come se del negativo non se ne dovesse mai parlare, e invece riteniamo che nella canzone, anche quella pop, si possano affrontare questi argomenti e ci auguriamo appunto di avere una certa attenzione, affinché poi questo progetto possa proseguire o nella stessa maniera o evolversi in maniera diversa, coinvolgendo sempre più scrittori e non solo, chissà, nella stesura di altri brani.