25/11/2013

Placebo

Annoiati, probabilmente stanchi, Brian Molko e i suoi timbrano il cartellino suonando in modo impeccabile, ma senza entusiasmo

20 giugno 1999, Heineken Jammin’ Festival, Imola. Brian Molko fa il suo ingresso insieme ai compagni Stefan Olsdal e all’allora batterista Steve Hewitt in ampio ritardo sull’orario previsto. I tre sono evidentemente poco lucidi, Molko si scusa con il pubblico spiegando che Marilyn Manson stava concludendogli un servizietto nel backstage. Non è una delle loro migliori performance. Cinque album, quattordici anni, una serie infinita di concerti e un batterista dopo, eccoli di nuovo a presentare l’ultimo Loud Like Love nell’unica data italiana prevista per il 2013, all’Unipol Arena di Bologna. Salgono sul palco come da programma alle 21 in punto, non un minuto prima, non uno dopo, e al trio seguono i componenti aggiunti Bill Lloyd, Nick Gavrilovic e la bellezza statuaria di Fiona Brice, talentosa polistrumentista.

Questa volta i Placebo non hanno niente da farsi perdonare, sono sobri, forse un po’ stanchi (o annoiati, chi può dirlo) e non un capello è fuori posto. Snocciolano in una manciata di minuti tre brani nuovi compresa la title track e singolo dell’ultimo album, per poi regalare al pubblico un tuffo nel passato con la malinconica Twenty Years e Every You And Every Me, riarrangiata e addolcita. L’Unipol Arena è, contro le mie aspettative, colma (il picco massimo degli ultimi tre concerti ai quali ho assistito era di circa 1500 persone; qui ci avviciniamo molto di più ai 10 mila), merito forse del successo radiofonico degli ultimi singoli che vengono accolti con lo stesso calore dei vecchi cavalli di battaglia.

Timbrato il cartellino, Molko tira dritto buttando lì un paio di «buonasera» e «grazie», mentre Olsdal e il giovanissimo Steve Forrest, che regala bacchette e indumenti al pubblico come fossero caramelle (sono volate giù dal palco persino le sue scarpe), ci mettono un po’ più di entusiasmo. Se la parte centrale del concerto si concentra sui nuovi brani, la conclusione è affidata ai classici: Meds, Song To Say Goodbye, The Bitter End e Infra-Red sulle note della quale i Placebo salutano come di consueto, con un lungo inchino al centro del palco. Insomma, qualcosa è cambiato. Gli anni si possono contare sul volto concentrato del cantante e una punta di nostalgia avvolge un’esibizione pulita, impeccabile, ma non brillante. Molko, però, conserva la voce. E finché questa resiste, viene naturale perdonargli tutto il resto.

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