26/11/2007

PLANT & KRAUSS

La bella e la bestia

Robert Plant è iperattivo, creativo e al passo coi tempi. Lo dimostrano i suoi lavori coi Strange Sensation, gli interessi nel campo della musica etnica, la collaborazione con i Tinariwen e il nuovo, splendido progetto Raising Sand, disco di classe e qualità in coppia con la country star Alison Krauss. È un album dall’appeal moderno ma dal gusto estremamente radicato nella tradizione, nella tradizione country ma non solo, perché profuma di ruvido blues, di country-rock, di folk. Un gran disco trasversale in grande equilibrio tra passato-presente e futuro, della strana coppia già battezzata da tutti i giornali inglesi come “la bella e la bestia” o “il bruto e la bella castellana”.
“A parte l’aspetto fisico” ridacchia un Plant in forma smagliante “tra noi ci sono più affinità di ciò che si vede a prima vista. Entrambi siamo innamorati della musica acustica, di quel suono che è alle radici del rock”.
“Io mi ispiro a Hank Williams, a Doc Watson, al violino di Vassar Clements. Mi sono avvicinata ai suoi territori e lui ai miei. Per esempio io non avrei mai potuto cantare con voce roca e dura, ovvero con toni drammatici, ma Robert mi ha aiutato a calarmi nella parte”. Plant: “Le ho detto: d’accordo, non siamo neri, però io ho imparato a fare l’urlo rauco del growl, basta crederci, essere cattivi. Con Alison ho dovuto rimettermi a studiare, imparare le mille sfumature del canto, a modulare la voce, insomma a reinventare il mio modo di esprimermi.

Ora si dirà che Plant si sta dando al country…
Plant
: Finalmente ho trovato il coraggio di scavare nella musica popolare bianca americana e ne sono entusiasta. Ho sempre amato la musica degli Appalachi, le ballate delle praterie, i cantautori da Phil Ochs a Michael Murphey a Gene Clark. Non ho mai approfondito questi autori, che fanno parte del mio Dna, perché avevo troppo rispetto per loro. Ora è arrivato il momento di affrontarli. Ma il disco è un lungo percorso che parte dal country passando per il blues texano e quello originale del Mississippi e per le ballate tradizionali di molti stati americani.
Krauss: Io mi sento una purista ma sono sempre pronta alle innovazioni. Da piccola ho studiato il violino ma appena ne ho avuto la possibilità ho modellato il mio stile sulle mie capacità, magari usandolo in modo non proprio ortodosso ma con le giuste coloriture, sono stata naturalmente portata a interpretare i profumi della musica popolare.
Raising Sand è un disco splendido: bei brani dal sapore antico, puntellati nel passato ma rinnovati nella forma e nella sostanza…
Plant
: Beh, non fa onore a nessuno fare i cloni o ripetere pedissequamente canzoni famose. La scelta del repertorio non è per nulla scontata, nessuno ricorda Sister Rosetta Goes Before Us, dedicata alla grande Sister Rosetta Tharpe, e gli omaggi a Gene Clark e Townes Van Zandt mi sembrano doverosi e non banali.
Krauss
: Dal bluegrass al country il passo è molto lungo anche se non sembra. E poi grazie a Robert queste ballate hanno un sapore indefinibile che vola sopra gli steccati degli stili.
Ma come è nata questa vostra collaborazione?
Plant
: Attraverso la curiosità e un mutuo scambio di influenze artistiche. È accaduto la prima volta che ci siamo incontrati in un teatro per suonare insieme i blues di Leadbelly. Che grande personaggio era; in lui più che in ogni altro artista si sono fuse la musica folk bianca e il blues. Ha scritto blues come Bourgeois Blues e ha recuperato brani come When I Was A Cowboy e Midnight Special che vengono da lontano e sono patrimonio comune di bianche e neri. Brani che nascono da misteriosi incroci che non hanno razza, né colore: sono espressione artistica della povera gente, quindi arte vera.
E il disco?
Plant
: Dopo esserci incontrati a metà strada sul terreno comune di Leadbelly, abbiamo cominciato a pensare a qualcosa di grosso. Poi gli amici ci hanno sollecitato e soprattutto è intervenuta la mitica mano di T-Bone Burnett. Lui sa come suonare e come produrre un album mettendoci il suo inconfondibile timbro, ma lasciando anche intatta la personalità dell’artista. Ci siamo divertiti molto, soprattutto quando abbiamo inciso a Nashville, come ai vecchi tempi, in un grande stanzone, con tanto sentimento e senza effetti speciali o marchingegni moderni. Insomma, un viaggio alle radici per ripartire tra il blues del Mississippi e quello elettrico di Chicago passando per quello del Texas, con un mix di folk, gospel e dark rock. E poi, parliamoci chiaro, anche i Led Zeppelin erano un gruppo country secondo la mia visione musicale.
Cioè?
Plant
: Se ascolti bene i nostri dischi, alla fonte, ma anche in modo molto scoperto, ci sono i suoni gaelici, celtici, delle montagne scozzesi, che a volte fluiscono liberi, a volte sono riveduti e corretti.
Immagino non sia la stessa cosa suonare con Jimmy Page e con Norman Blake o Marc
Ribot…
Plant
: Certo che no. Con Jimmy devi essere duro, potente, duellare con la chitarra, sovrastare il muro di suono, lanciarti nel ruggito e nel growl. Norman Blake è uno stilista eccezionale, velocissimo negli assoli e delicatissimo negli arpeggi alla chitarra e al mandolino; con lui devi sfruttare al massimo le tue potenzialità timbriche, così come con Ribot, ma con lui in più devi seguire le sue fantasiose e imprevedibili trame armoniche. Con loro e con Alison mi sono sentito finalmente uno scolaro, come quando nel 1963 iniziai a suonare le maracas prima di entrare nel gruppo blues di Alexis Korner.
Bei tempi…
Plant
: Tanti esperimenti, tante novità. Londra era terreno fertile per nuove emozioni. Prima il jazz, poi Lonnie Donegan, poi arrivò il blues di Muddy Waters e Big Bill Broonzy e noi lì pronti a raccogliere tutta questa manna per rimescolarla in qualcosa di diverso: un suono euroamericano che ha affascinato il mondo. Non si può negare che tutto è nato in America, ma in Inghilterra sono successe tante cose che hanno cambiato la musica. Da un lato il beat, dall’altro blues, rhythm & blues e sperimentazioni: così il rock è cresciuto.
E ora che i grandi vecchi sono tornati, compresi gli Who, i Led Zeppelin battono un solo colpo.
Plant
: I Led Zeppelin sono la storia della musica e non voglio che Stairway To Heaven finisca per diventare un pezzo alla Holiday On Ice. Mi dispiace per i milioni di persone rimaste senza biglietto, ma questo è uno show benefico alla memoria di Amet Ertegun, un amico e anche un grande discografico senza il quale non avremmo conosciuto il meglio del  rhythm & blues – vedi Ray Charles – e del rock. Io difendo la memoria dei Led Zeppelin, i megaconcerti con gente come Janis Joplin e tanti altri, ma ormai i tempi sono cambiati. Entrare nel mondo dei Led Zeppelin è come penetrare in una stanza polverosa ma ricca di storia. Non è necessario toccare nulla, basta spolverare ogni tanto le cose per riportarle all’antico splendore.
Ma si dice che Plant e Jones stiano lavorando a nuovi brani.
Plant
: Non lo escludo, lavorano sempre a nuove canzoni.
Insomma, una nuova vita a 60 anni.
Plant
: Sono sempre stato e sono ancora oggi un cantante di rock and roll, non di rock, e rivendico il mio ruolo, legato però all’attualità.
Progetti?
Plant
: Navigo a vista. Il disco con Alison è nato dal caso. Non è che io prenda una cartina geografica e cominci a dire: la musica africana l’ho fatta e ci tiro sopra un riga, il blues pure e faccio un’altra riga. Bisogna vedere dove porta l’ispirazione. Viaggio per sensazioni e intuizioni.
Ma una tournée con Alison?
Plant: Ci stiamo lavorando.
Krauss: Vorremmo portare i musicisti dell’album: sarebbe magnifico.

On demand

Iscriviti alla Newsletter

Vuoi rimanere sempre aggiornato su rock e dintorni? Iscriviti alla nostra newsletter
per ricevere tutte le settimane nuovi video, contenuti esclusivi, interviste e tanto altro!