03/04/2024

“Queendoms”, il primo disco solista di Agadez

Un disco ipnotico, un viaggio che evoca i culti femminini arcaici

 

Queendoms è il regno della Dea Madre ed è qui che nascono gli echi della voce evocativa e i ritmi dei tamburi a cornice che animano con suggestioni ancestrali il primo disco solista di Agadez, al secolo Giada Colagrande, cantautrice e compositrice mediterranea, studiosa appassionata del sacro femminino arcaico e viaggiatrice alla scoperta delle tradizioni esoteriche e sciamaniche d’Oriente e d’Occidente.

Dopo l’esperienza col progetto musicale The Magic Door insieme ad Arthuan Rebis e Vincenzo Zitello, e dopo collaborazioni fondamentali come quella con Franco Battiato o Marina Abramovic, Colagrande amplifica la sua ricerca spirituale e artistica con un progetto a suo nome, ricreando atmosfere suggestive che si nutrono di sonorità celtiche e folk attraverso voce, tamburi, chitarra e theremin. Dieci brani ognuno dei quali dedicato a una Dea, ciascuna celebrata attraverso i suoi caratteri peculiari, i suoi poteri da invocare e le atmosfere indissolubili dei luoghi da cui proviene. Un viaggio onirico di cui si potrà godere il prossimo 31 maggio live all’Auditorio Parco della Musica di Roma.

 

Inizierei dallo pseudonimo che hai scelto, Agadez…

Agadez è una delle 21 stelle o Croci Tuareg, una tribù nomade del deserto del Sahara che mi ha affascinata dalla prima volta che ho visto delle loro immagini. Sono anche chiamati “il popolo blu” perché indossano queste tuniche blu. La prima volta avrò avuto sette anni e ne sono stata quasi ossessionata per decenni, e quando ho scoperto le loro stelle o croci che indossano e che hanno varie funzioni mi sono innamorata anche di quelle. Agadez è un po’ il talismano portafortuna per eccellenza ma ha una funzione molto specifica: lo indossano innanzitutto le donne della tribù per non perdersi nel deserto, quindi è un amuleto con doppia funzione, protezione e connessione.

 

Mi hanno colpito anche alcune scelte stilistiche che hai fatto in questo disco: che tipo di studio e di ricerca c’è stato dietro, a partire dal culto femminino arcaico?

Questo è tra i temi che mi sta più a cuore, il sacro femminile in generale. Sono partita dallo studio storico-antropologico dei culti femminini molto antichi, direi ancestrali visto che risalgono addirittura al Neolitico. Fino a circa il 4000 a.C. le dee madri, quelle raffigurate nelle statuette paleolitiche e neolitiche trovate nei siti archeologici, non si sa se avessero un nome e che nome avessero, perché fino a che non è stata inventata la scrittura dai Sumeri non c’è stato modo di tramandarlo.

Poi tra il 4000 e il 3000 a.C. hanno cominciato a dare dei nomi a queste dee e con il nome nasceva un’identità, e ci sono arrivate con delle caratteristiche peculiari: ad esempio, Afrodite c’è arrivata come Dea dell’amore, Ecate ci è arrivata come Dea della morte.

Quando ho deciso di fare questo disco su dieci Dee con dieci canzoni che portano i loro nomi ho scelto le più antiche, tra le prime a cui sono stati dati dei nomi. Ho cominciato questa ricerca per trovarne le origini più antiche, ricerca che a un certo punto si perde nel mistero del non scritto, però è stato un percorso molto affascinante, molto intenso.

 

E musicalmente?

Anche da un punto di vista musicale è stato un viaggio, perché da una parte ho cercato di evocare attraverso la musica, quindi per evocare Iside, ad esempio, ho cercato una musica che rendesse il mistero dell’Antico Egitto che lei rappresenta, ma anche di invocare, perché ognuna di loro ha dei poteri – o un potere specifico – che la musica, essendo uno strumento che si può usare anche per la magia, ha la capacità di attivare.

 

 

Ascoltando i brani di Queendoms vengono alla mente diverse suggestioni: non ho potuto non pensare a Laurie Anderson, una maga della performance, ma sono curiosa di sapere quali sono stati i tuoi riferimenti musicali.

Mi fa molto piacere che citi Laurie Anderson perché la adoro. Forse l’influenza principale in questo disco sono i Dead Can Dance e Glen Velez, che poi è quello che ha suonato e registrato tutte le percussioni del disco e che è anche il mio maestro di tamburo. E poi Layne Redmond, che è morta nel 2013 ed è stata una grandissima percussionista di tamburi a cornice, considerata la maggiore tamburista donna del mondo. Tra l’altro era anche una sacerdotessa quindi ha fatto dei lavori molto vicini al percorso che ho intrapreso io, forse l’artista a cui mi sono sentita più vicina nel nel fare questo disco. Glenn lo è altrettanto anche se è uomo, anzi un “uomo risvegliato” e nella mia esperienza trovare degli “uomini risvegliati” al sacro maschile è molto più raro che trovare delle donne risvegliate al proprio sacro femminile, per cui lo stimo ancora di più per questo motivo.

 

A chi dedicheresti questo disco?

Sicuramente a mia nonna, che è stata il grande amore della mia vita e anche la persona con cui ho iniziato a scoprire questa dimensione, e a Franco Battiato che è stato un caro amico e anche il mio primo maestro per tante cose. È stata, ed è tutt’oggi, una fonte di ispirazione continua sia nella musica che nel percorso spirituale.

 

Queendoms: istruzioni per l’uso.

Chiudere gli occhi, possibilmente sdraiarsi e ascoltare nell’ordine esatto del disco perché essendo un concept ci sono tappe da passare lungo questo viaggio.

Agadez - Queendoms

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