Come in un gioco di specchi, oltre alle interviste, il destino ha voluto che potessimo assistere sia allo show degli Aerosmith che a quello dei Black Crowes, chiudendo così il cerchio. A delineare un quadro generale ci pensa un articolo del nostro buon amico Elliott Murphy, il leggendario cantautore rock americano che vive a Parigi. Nei primi anni Settanta apriva i concerti degli Aerosmith, quando Steven Tyler e i suoi erano ancora una band di culto e non un fenomeno di massa.
Ieri ho visto Almost Famous, il film semi-autobiografico di Cameron Crowe che racconta le sue avventure come reporter-teenager per la rivista Rolling Stone nei primi anni Settanta. Non è davvero un brutto film, e probabilmente uno dei primi film di Hollywood a trattare i grandi tour di musica rock come qualcosa di più serio che uno scherzo (ricordate Spinal Tap?) o qualcosa senza nessuna importanza (The Wonders). Parlando come uno che allora c’era, nell’Età dell’Oro (prima della disco music, prima del punk e prima della morte di Elvis), posso assicurare che Almost Famous è praticamente un ritratto autentico di quegli anni preziosi prima che il rock’n’roll venisse comprato e venduto nei supermercati e usato per vendere qualunque cosa, dallo shampo ai pannolini per neonati per non menzionare le ‘carte di credito Rolling Stones’ e le ‘Volkswagen Bon Jovi.’
Per essere specifici, l’anno in cui il film prende piede è il magico 1973 e questo, amici miei, fu lo stesso anno che fu pubblicato il mio primo disco, Aquashow, e mi trovai a vivere e a respirare nel mondo glam e decadente del rock’n’roll da cui “nessuno esce vivo” (grazie Jim per l’incoraggiamento!) e di cui in precedenza avevo solo letto su riviste come Rolling Stone, naturalmente.
Allora, nel 1973, le cose, sia per la mia carriera che per la mia giovane età, accadevano velocemente, e io passai dall’assistenza sociale alle suite degli hotel più o meno con la stessa velocità con cui imparai a non dire mai di no alla cocaina o al Jack Daniels e ben presto mi trovai con un contratto per tutta la vita con due agenti di New York, Stevie Leber e David Krebs, che curavano un bel po’ di artisti rock dal loro ufficio sito sotto a un tetto nell’East Side alla moda di New York. Il solo Steve fumava dei sigari ma David aveva un ritratto di Napoleone sopra la sua poltrona e i gruppi raramente facevano uso di droghe nei loro uffici e le groupies non facevano pompini sotto le scrivanie (almeno, sfortunatamente, quando mi trovavo io lì al pomeriggio), ma a parte questo quell’ufficio avrebbe potuto essere nel film Almost Famous.
Eravamo un gruppo casinista di maniaci venticinquenni della musica che si svegliavano quando le banche chiudevano e pensavamo che avremmo usato il make up intorno agli occhi per il resto della nostra vita.
Oltre a me c’erano le New York Dolls e dalla distante Boston gli Aerosmith. Sebbene io e le Dolls ottenessimo la maggior parte delle recensioni migliori e l’attenzione dei media, erano gli Aerosmith a vendere più dischi e ad attirare la maggior parte delle persone ai concerti. Ben presto ebbi il piacere di incontare il cantante degli Aerosmith, Steven Tyler, che fu affascinanate sin dall’inizio e aveva un sacco di cose da dire a proposito di un sacco di cose, e il lugubre chitarrista solista Joe Perry, che non diceva granché ma sembrava abile e suonava in modo ancor più abile la chitarra.
Tyler mi piacque subito e finii per fare da supporter ad alcuni concerti degli Aerosmith a Boston e nei dintorni. La prima volta fu quando Johnny Thunders perse il volo aereo da New York così che gli Aerosmith dovettero prendere il posto delle New York Dolls alla serata di apertura del nuovissimo Performance Center di Boston, e la seconda volta fu a un vero concerto degli Aerosmith nella vicina università. La prima volta andò bene, ma la seconda volta fu davvero uno schifo.
Lasciate che vi racconti in che modo così che possiate ridere e piangere insieme a me.
Vedete, ero un punk di New York che si aspettava di essere trattato come un incrocio tra Einstein, Shakespeare e Brian Jones e quando giunsi al concerto degli Aerosmith per fare il mio set, chiesi al servizio di sicurezza dove fosse il camerino e mi fu indicata una stanza, ma quando cercai di entrare una corpulenta guardia del corpo mi bloccò, dicendo che questo era il camerino dei soli Aerosmith.
Be’, potevo vedere abbastanza bene dentro la stanza per notare alcune bottiglie di Jack Daniels, un forte odore di marijuana e per udire delle risate femminili: abbastanza per capire che era qui che ci si divertiva e che io ne sarei rimasto fuori. Mi incazzai ma ero più geloso che altro, e quando chiesi alla guardia del corpo dove fosse il mio camerino, lui mi indicò la toilet in fondo al corridoio. Be’, sulla porta del camerino degli Aerosmith c’era l’oggi famoso logo del gruppo, quella specie di oggetto volante con le ali (del quale mi è sempre stato detto che nasconda un significato sessuale), così per dispetto presi della carta igienica e disegnai la mia mascotte, che assomigliava a una specie di corvo morto (da non confondere con i Black Crowes di cui parlerò dopo) e lo appiccicai alla porta della toilet con un po’ di nastro adesivo.
Sembra che qualche tizio degli Aerosmith lo vide e non fu divertito, pensando si trattasse di poco rispetto da parte del supporter, che avrebbe dovuto essere gratificato solo per camminare sul loro stesso palco e adesso, dopo tutti questi anni, posso dire che avevano ragione. Nei fatti, penso che fossero così incazzati che più tardi, durante il mio set, qualcuno staccò la corrente elettrica mentre stavamo suonando e tutte le chitarre e la tastiera rimasero mute e tutto quello che si sentiva era il nostro batterista ed io che gridavamo: “Che cazzo sta succedendo?”.
Sebbene non lo possa provare, credo piuttosto sicuramente che fosse stato uno dei roadie degli Aerosmith che aveva imparato qualcuno di quegli sporchi trucchetti da tutti quei gruppi inglesi per cui gli Aerosmith avevano fatto da supporter prima di diventare headliners. Non c’è bisogno di dire che non mi venne mai più chiesto di aprire un loro concerto, ma rimasi in buoni rapporti con Steven Tyler e da qualche parte nella mia raccolta di fotografie c’è una foto di noi due ubriachi come dei maiali a Londra, nel 1977, e ricordo che Tyler e la mia moglie di allora, Geraldine, ebbero un’intensa conversazione a proposito della masturbazione.
La cosa divertente delle Dolls e degli Aerosmith fu che Steven Tyler finì per essere il marito (per un po’, almeno) dell’ex moglie di David Johansen (il cantante delle Dolls), Cyrinda Fox, che era stata una superstar di Andy Warhol e di cui ho sempre sentito dire che fosse eccezionale nel baciare. E che Joe Perry e Johnny Thunders scoprirono di avere degli interessi comuni (tra i quali la musica) e li vidi anche fare un concerto insieme al Mudd Club di New York nei primi anni Ottanta. Vorrei potermi ricordare cosa suonarono, forse Train Kept A Rollin’, che era stato un successo degli Yardbirds.
Nei fatti gli Yardbirds (che presero il nome dal soprannome del jazzista Charlie Parker) furono il gruppo che inventò la combinazione vincente del carismatico cantante solista più l’incredibilmente sexy chitarrista solista e questo fu ed è rimasto lo standard per molti gruppi hard rock di allora fino ad oggi e nessuno l’ha incarnato meglio degli Aerosmith. Sono cresciuto andando a vedere gruppi come Led Zeppelin e Jeff Beck Band (con Rod Stewart) e anche i Black Sabbath, al Fillmore East, sulla East Side di New York, e, credo, Tyler e Perry andavano a vedere i medesimi concerti a Boston e questi gruppi (insieme agli Yardbirds pre-Zeppelin) e gli Stones, naturalmente, divennero il loro modello.
Strano, ma non pensammo mai ai Rolling Stones allo stesso modo. Keith aveva l’anima ma non fu mai un eroe della chitarra (grazie a Dio) o forse perché loro erano della generazione dei Beatles e non della Seconda Invasione Inglese, quella del 1968. Quando gli Aerosmith sbucarono fuori furono considerati il gruppo americano più inglese di tutti, il che è piuttosto divertente, considerando che provenivano dal New England e la loro battaglia contro tutti gli elementi distruttivi del mega successo da rock star è ben documentata e il loro ritorno dagli abissi della tossicodipendenza è praticamente un miracolo e il fatto che adesso sono considerati come l’hard rock band alla quintessenza che ha aperto la strada a gruppi come Guns n’ Roses è ovvio per tutti.
Ma poi giunsero i Nirvana e ogni cosa divenne ‘alternativa’ per un po’ e gli Aerosmith non furono mai ‘alternativi’, loro erano mainstream fatto apposta per le grandi masse. Ma l’‘alternativo’ morì insieme a Kurt Cobain e gli Aerosmith sono sopravvissuti a tutti ancora una volta e adesso cantano canzoni di successo da colonne sonore cinematografiche e Tyler sembra libertino come sempre e mettono ancora un sacco di donne nude nei loro video, tanto che devi amarlo solo per quello, per non menzionare che sua figlia è una stella del cinema sexy, meravigliosa e di talento. Chi è che non crede nei finali felici e nelle favole?
L’unica cosa di cui non sono ancora sicuro è: che diavolo significa ‘Aerosmith’? Ma credo che oggi non importi più perché Steven Tyler è più vecchio di me e fa ancora la sua cosa e Joe Perry è diventato un vero chitarrista innovativo che è ancora capace di inventare riff con cui cantare insieme. Ricordate Walk This Way? E il resto della band non ci ha mai delusi, sono sempre di bell’aspetto, suonano insieme davvero bene e, sono sicuro, guidano le loro Corvettes e le loro Ferrari su e giù per il Massacchusettes come delle rock star. Che, dopo tutto, è ciò che avevano sempre voluto essere.
La prima volta che li vidi, sperai che i Black Crowes potessero diventare famosi come gli Aerosmith e credo ci siano riusciti, sebbene sia successo dopo che lasciai gli States. Essi sono così simili a loro che è proprio roba da classiche rock star: due fratelli di bell’aspetto che si litigano proprio come i Kinks; sangue gotico del Sud proprio come i fratelli Allman o i Lynyrd Skynyrd e una rock band le cui radici vanno molto più in là dei Queen.
Se non erano dei grandi fan di Rod Stewart e dei Faces, allora sono proprio scemo, ma hanno quell’istinto che fa capire loro quanto le rock star stiano meglio in pantaloni di satin e scarpe con le zeppe. Mi piace il modo in cui si muovono sul palco e l’attitudine di Chris Robinson è concepita in modo appropriatamente affascinante, e ho anche sentito dire che sua moglie è una meravigliosa star del cinema, così sembra proprio che questi ragazzi si stiano muovendo nella direzione giusta. Magari dovrebbero incidere un brano degli Aerosmith, una canzone come Dream On, e chiudere così il cerchio.
Gli Aerosmith e i Black Crowes rappresentano la fusione di due differenti culture della rock star, quella inglese e quella americana. Nei fatti, non furono gli inglesi che ci insegnarono cosa significa essere una rock star, dopo tutto? Gli inglesi sembra siano in grado di creare gruppi che riescono a durare e prendere il té alle quattro (Beatles, Stones) e gli americani creano delle individualità scontrose (Dylan, Neil Young) che cercano sempre di sembrare come se non fossero dei miliardari.
Noi americani non ci intendiamo della faccenda delle classi sociali, una volta facemmo una rivoluzione per questo motivo, ma gli inglesi sembrano sapere istintivamente che essere una rock star è qualcosa di simile a diventare un membro di una aristocrazia e quindi che devi essere sia una persona con uno stile che una persona decadente, e non sentirti colpevole di guidare una Rolls Royce in mezzo a un ghetto o dovunque.
Che siano stati i Led Zeppelin i primi a gettare un televisore a colori giù dalla finestra di una suite d’hotel del trentatreesimo piano o che sia stato Rod Stewart a introdurre la parola ‘groupie’ nel vocabolario americano non è importante. O lo è?
Così lasciamo che gli Aerosmith vadano avanti ancora per un’altra metà di secolo e se qualcuno sa dove è la fontana dell’eterna giovinezza da cui beve Steven Tyler, per favore me lo faccia sapere. E mi sembra, dopo aver ascoltato l’ultimo disco davvero bello dei Black Crowes, Lions, che abbiano ascoltato parecchio Exile On Main Street ultimamente, e grandi cose devono ancora giungere da questi figli di Robert E. Lee, ancora per molto.
Ho sentito dire che hanno registrato Lions nei pressi del vecchio Fillmore East, sulla East Side di New York, e allora forse negli amplificatori c’era qualche fantasma. E spero che, in qualche modo, essi rimangano legati alle loro radici geografiche; la musica del Sud è ciò che ha inventato il rock’n’roll, e Elvis si merita degli eredi del terremoto che creò più abili di quella country music sicura come il latte che si ascolta oggi. Per un certo periodo sembrò che i gruppi del Sud avessero vinto: Lynyrd Skynyrd, Allman Brothers, Outlaws e credo anche Tom Petty And The Heartbreakers. Ma poi arrivò quella grande musica del New Jersey di ‘voi sapete chi’. Un po’ come la Guerra Civile, un’altra volta.
Non c’è da stupirsi che Jimmy Page sia andato in tour con i Black Crowes. Nei fatti è perfettamente ragionevole per chiunque abbia prestato attenzione ai Black Crowes sin dall’inizio. Perché molti dei cantanti inglesi furono ispirati dai cantanti soul del Sud degli States e si possono facilmente sentire sia in Rod Stewart che in Chris Robinson i toni da crooner di Sam Cooke e l’intensità ritmica di Wilson Pickett. E tutti i grandi chitarristi inglesi erano dei fanatici del blues e insegnarono a noi americani le nostre stesse origini. Il fatto che a scuola non ci insegnino a proposito di Robert Johnson è uno dei motivi per cui ho lasciato l’America. E voi pensavate che fossi una specie di folksinger, vero?
(Elliott Murphy, leggendario cantautore rock newyorkese ma oggi
residente a Parigi sulle scene sin dai primi anni Settanta, ha già
collaborato con JAM per la cover story del numero 59. In passato ha
collaborato con riviste prestigiose come l’americana Rolling Stone).