23/02/2018

“Riva”, l’album d’esordio degli Aquarama

Il marchio è dichiaratamente italiano, ma il loro sound abita il mondo. E soprattutto il mare.
Si chiamano Aquarama e il loro primo lavoro discografico si intitola Riva. Il marchio è dichiaratamente italiano, ma il loro sound abita il mondo, e soprattutto il mare. È il 2015 quando il polistrumentista Dario Bracaloni e il batterista e visual artist Guglielmo Torelli formano gli Aquarama, un  progetto leggero, come sa essere la musica pop, ma anche consapevolmente contaminato.
In Riva c’è aria di festa, ci sono i tropici, e quasi si vedono gli ombrelloni, ma c’è anche malinconia e relazioni liquide. C’è saudade che porta con sé sorriso e tristezza, leggerezza e pesantezza, ma soprattutto c’è ricerca. La ricerca di nuovi elementi sonori, di un nuovo pubblico e nuove consapevolezze. C’è l’amore per le sonorità antiche e lontane, e anche un profondo respiro esotico e internazionale. Ci sono tante cose nella recente formazione fiorentina, ma soprattutto tanto tanto groove.
Il disco è stato prodotto da Marco Olivi ed è stato registrato e mixato ai Blue Print Studios di Milano ed è uscito per Fresh Yo! Label /IRMA records lo scorso 21 aprile. Il master del disco è ad opera di Giovanni Versari, tecnico del suono vincitore di un Grammy per l’album dei Muse “Drones”.
Gli Aquarama sono on stage in giro per l’Italia con una formazione a 5 elementi e una performance che ricerca la perfezione musicale e visuale. Sabato faranno tappa a Milano al Serraglio, ad accompagnarli ci saranno anche Giacomo Mottola (chitarra), Theo Taddeo (percussioni), Alessandro Pezzano (basso). In attesa di vederli live li abbiamo intervistati.
 
 
Cominciamo dal principio: l’Aquarama è il simbolo della cultura italiana che meglio si addice alla vostra identità musicale, agli anni che intendete richiamare, e anche quello che si presta meglio al gioco di parole con il titolo del disco che si chiama come il costruttore di Aquarama, appunto Carlo Riva. La scelta di questa connessione è frutto di una lunga e accurata ricerca, o di una pura e illuminante coincidenza?
 
Il nome “Aquarama” è sicuramente il frutto sia di un percorso di ricerca personale che di una serie di coincidenze più o meno illuminanti. Inizialmente il nome del progetto voleva essere quello che poi è diventato il nome del nostro disco di esordio: “Riva”. Da quale punto di vista si guardi a questa vicenda, come per proprietà commutativa, l’universo di significati legato ad i nomi Riva ed Aquarama non cambia, così come la nostra iniziale intenzione di riferirci ad una delle immagini più alte della classe italiana all’estero. Consideriamo il nostro nome un ottimo vettore del nostro obiettivo principale: esportare quello che secondo noi è il meglio della musica italiana all’estero.
 
Riva è stato una raccolta di brani scritti in momenti diversi o c’è un ordine logico di consequenzialità?
 
Riva è una raccolta di canzoni scritte in un arco di tempo (un anno circa) in cui, stanchi di tutto ciò che ci circondava, ci siamo ritagliati uno spazio di evasione immaginandoci come e dove avremmo voluto vivere la nostra vita. Questa scenografia di coralli, spiagge, idrovolanti, costruita interamente di musica, è stata poi riempita di parole legate a fatti, eventi, amici ed amori di quel periodo specifico. Riflettendo un’esperienza di vita non vi è un ordine logico nella sequenza dei brani di “Riva”, se ne potrebbe semmai individuare uno emotivo.
 
La vostra musica ricca di suggestioni eterogeee può considerarsi contaminata e internazionale, ma lo spirito che c’è dietro è di origine italiana. Qual è secondo voi la connessione tra l’Italia e i tropici? La comunicazione tra l’italia e il Brasile in passato è avvenuta soprattutto in termini di collaborazioni, quale può essere il suo volto vincente oggi?
 
Quello che ci viene naturale fare è filtrare con un tocco italiano ogni ascolto di musica proveniente da tutti gli angoli del mondo. La nostra connessione con i tropici risiede nella nostra voglia di un altrove dove rifugiarci e da qui vengono anche gli ascolti dei dischi prodotti a quella latitudine. A nostro avviso anche la migliore musica mai prodotta nel nostro paese si riferisce al tropicalismo, basti pensare a tutte le colonne sonore ed alle produzioni RAI degli anni ’60 e ’70 che reinterpretano con ironia, colore e stile la musica brasiliana (Armando Trovajoli, Piero Umiliani, Piero Piccioni ma anche Mina, “Anima Latina” di Battisti). Quale sia il volto vincente di questo legame non ci è ancora dato saperlo, vero è che questo mood piace molto a chi ci ascolta e questo ci basta per andare avanti in questo percorso di ricerca.
 
Avete dichiarato di aver voluto in questo disco un tocco femminile, che si personifica nell’autrice delle grafiche Clèmence Chatel. Vi piacerebbe che l’elemento femminile si insinuasse anche in altri termini? C’è un’artista donna con la quale vi piacerebbe collaborare?
 
Assolutamente sì. Collaboriamo principalmente con artiste, fotografe, illustratrici, grafiche e vogliamo che l’immaginario connesso alla nostra musica sia filtrato dalla sensibilità femminile. Ci è piaciuta molto la copertina di “What We Have Is Today” di “The Smudjas” disegnata, guarda caso, da un’illustratrice francese che si chiama Agathe Singer. Se non la conoscete andate a vedere i suoi lavori su Instagram, per quanto ci riguarda li troviamo bellissimi e ci piacerebbe che il disco cui stiamo attualmente lavorando fosse disegnato da lei.
 
Tomaz Di Cunto(Toco) è la persona che vi ha connesso ai Selton e al vostro produttore. Come è avvenuto quest’incontro e che valore gli avete dato?
 
Tomaz è un carissimo amico conosciuto a Firenze quando Dario lavorava come dj alla radio. Che dire, se non fosse stato per lui la nostra storia sarebbe stata completamente diversa.
 
Raccontatemi quale aneddoto sulla vostra collaborazione con Daniel dei Selton, e più in generale sulle session in studio in cui vi siete divertiti di più.
 
In generale Daniel è quel tipo di persona che ti lascia le chiavi di casa sua dicendoti: “State quanto volete ora che siete a registrare il disco a Milano, tanto io non ci sono perché devo andare via”. Lavorare con Daniel poi è incredibile perché è al contempo molto professionale e serio ma anche divertente e simpatico. La giornata che abbiamo passato in studio con lui a registrare tutto il sacco di percussioni che si era portato in spalla stile Babbo Natale del Rio della Amazzoni è volata tra risate, scambi di idee e di braccialetti portafortuna brasiliani. Ora che i braccialetti si sono spezzati possiamo dire che i desideri espressi in quel giorno si siano proprio avverati.
 
Il mare è l’elemento intorno al quale avete fatto girare il vostro primo lavoro discografico. Pensate che l’elemento marino sarà una costante imprescindibile della vostra sensibilità artistica e musicale ? O semplicemente il mare richiamava il binomio di  leggerezza e malinconia che compone Riva?
 
Il mare ci piace tanto, ci pensiamo ogni giorno e non sarà facile separarsene in senso artistico. Allo stesso modo ci piace il cambiamento e crediamo che sia impossibile programmare l’espressione artistica. Detto questo, anche se con la nostra musica forse non andremo mai a fare hicking sulle Dolomiti, niente ci vieta di esplorare nuovi spazi. In fondo lavoriamo con l’immaginazione che, come diceva Carl Sagan, spesso ci porta in mondi mai esistiti e senza non andremmo da nessuna parte.
 
Durante i concerti sul palco salite in cinque, e spesso vi è capitato di essere anche di più. Quali sono gli elementi musicali di cui non riuscite a fare a meno? Se doveste immaginare una vostra orchestra utopica e immaginaria come sarebbe composta?
 
La formazione a cinque è il minimo per riuscire a trasmettere la nostra idea di sound Aquarama. Quando suoniamo dal vivo è per noi fondamentale avere un groove preciso e potente in grado di fare ballare il nostro pubblico. In questo senso non potremmo mai rinunciare alla percussioni. Il nostro sogno sarebbe andare in tour con una nostra “Wrecking Crew” piena di tanti timbri musicali diversi anche se, ridimensionando un po’ i nostri sogni, saremmo ben felici di suonare con una formazione a sette stile “Jungle”.
 
Il vostro tour è arrivato oltre i confini italiani. Qual’è la location con cui vi siete sentiti più in sintonia e qual è il pubblico al quale vi sentite di appartenere?
 
Abbiamo un grande legame affettivo con il Sud in generale: in Puglia e Calabria ci hanno sempre coccolati e fatti sentire a casa ed il pubblico ha sempre risposto bene alla nostra musica. La data di presentazione del disco in Francia è stata incredibile perché il pubblico ha reagito in modo inaspettato al nostro live, cominciando fin da subito a cantare e ballare tutti i nostri pezzi. In questo senso non stiamo più nella pelle all’idea di vedere cosa accadrà quando saremo in tour in Francia ad aprile.
 
Qual’è il vostro rapporto con la musica italiana? La considerate arida o ve ne sentite semplicemente estranei?
 
In generale ci piace la bella musica, quella che ha valore nella sperimentazione e nella composizione di suoni e stili, poi che sia italiana o ghanese, vecchia o nuova, indie o mainstream poco ci importa. Sicuramente non guardiamo Sanremo.
 
 

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