01/04/2011

ROBBIE ROBERTSON

HOW TO BECOME CLAIRVOYANT (UNIVERSAL)

Dopo un lungo silenzio torna a farsi vivo Robbie Robertson con un album dal titolo curioso: «Come diventare chiaroveggente», quasi il vecchio leader di The Band volesse chiedere alla cabala un consiglio su come muoversi o cosa trattare musicalmente in queste tracce. Più dell’esoterismo, sembra che nel concepimento di questo lavoro sia intervenuto l’amore per la sua tradizione e la cultura che la permea. Pellerossa e nero-americani hanno molti punti in comune: quello di essere una minoranza sfruttata innanzitutto, ma anche quella di una visione del mondo dettata da una forte spiritualità panteista, accentuata dalla suggestione che spesso deriva dalla commistione con la superstizione che condiziona la quotidianità e la sua psicologia. Fin dal primo brano Straight Down The Line si scopre come questo aspetto sia presente e permetta un tuffo in un mondo pieno di contraddizioni che genera sensi di colpa e improvvise catarsi. «”Non suono più il rock’n’roll / Non vorrei vendermi l’anima / I demoni sono là fuori / stanotte” / L’ho sentito dire al vecchio bluesman mentre si faceva un goccetto». C’è una certa soddisfazione ad avere smesso con la musica del diavolo, ma rimane il vizio del bere e il piacere di vedere gli altri ancora coinvolti dal rock’n’roll, dicotomia che ha accompagnato generazioni di bluesmen, molti dei quali hanno deciso di continuare la loro carriera suonando solo l’holy blues come Reverend Gary Davis, o addirittura addebitando la loro fine, in punto di morte, alla colpa di aver suonato il blues, come Blind Boy Fuller. Brandelli di religione cristiana che, sbandierata da predicatori invasati e da un perbenismo interessato, hanno fatto più vittime delle inondazioni del Mississippi. Robertson affronta questa contraddizione e lo fa su una base bluesy non convenzionale, rievocata con intensità dalla pedal steel guitar di Robert Randolph e dalla vocalità corale di Dana Glover, mentre lui, con voce quasi cantilenante, ipnotizza e sparge semi di magia. Sullo stesso tema veleggia anche la title track che vira però su aspetti più extrasensoriali che riportano alla memoria New Orleans con i suoi riti voodoo e le sue regine incantatrici: «Poteva leggere le stelle e conosceva i segreti della morte / Poteva vedere che tipo di follia ti girava in testa (…) Come diventare chiaroveggenti / Ed essere uno degli eletti / Che vedono dietro l’angolo / E sanno ciò che sta arrivando». Anche qui Robertson si muove su una melodia anomala, vagamente misteriosa, chiamando Randolph con la sua steel guitar a tessere trame segrete. Nonostante la presenza importante di questo tema, How To Become Clairvoyant non è solo mistero e superstizione, è anche e soprattutto ricordo (This Is When I Get Off) e talvolta rimpianto di una gioventù ricca di progetti e utopie (When The Night Was Young). In particolare This Is When I Get Off rievoca il passato con The Band: per la prima volta Robertson parla in una canzone dei motivi che lo spinsero a lasciare il gruppo per affrontare una carriera solista. Il tema dominante del disco, allora, se proprio si vuole trovare un filo rosso che leghi le canzoni, è davvero il ricordo in tutte le sue sfaccettature. Un’analisi del passato personale, mescolato a quello della propria tradizione, per giungere a capire come si sia arrivati al proprio presente. Molto interessanti i due pezzi solo strumentali, Madame X e Tango For Django, straordinari nella melodia e nel loro incedere. Mentre il primo, che non a caso porta la firma di Eric Clapton, si muove su un impianto bluesy evidente, scandito dai magici accordi della chitarra con corde di budello dello stesso Slowhand, l’altro costituisce a ragione (visto che è dedicato a Django Reinhardt) il brano più anomalo del disco in cui si rispolvera un tango di maniera nobilitato dal violino di Anne Marie Calhoun, l’accordeon di Frank Marocco e il violoncello di Tina Guo inseriti in un’orchestrazione arrangiata dal produttore Marius de Vries e da Eldad Guetta.
Il disco ha avuto una genesi molto particolare e si è poi sviluppato in tutt’altra maniera rispetto all’idea originale. Robertson, vecchio amico di Clapton, memore di antichi progetti mai realizzati per mancanza di tempo o semplicemente perché in attesa del momento giusto, ha raggiunto Eric a Londra per vedere se da un incontro informale sarebbero potute nascere delle idee da sviluppare. Clapton ha telefonato a Steve Winwood, ha reclutato la sezione ritmica, che sarebbe poi stata quella del disco finale, e ha portato Robertson in studio per registrare le basi di 12 canzoni elaborate in un paio di settimane di lavoro, tracce non definitive su cui ciascuno dei due avrebbe poi potuto lavorare singolarmente. Dopo un periodo di ripensamento, Robertson si è però fatto un’idea molto diversa di come sarebbe stato il suo disco: ha pensato meglio rinvigorirlo con ospiti più giovani e con un modo molto diverso dal suo di suonare la chitarra. È stato così che sono nati brani come Axman (che si avvale della chitarra di Tom Morello) e i già citati Straight Down The Line e How To Become Clairvoyant (in cui Randolph ha fatto un gran lavoro con la pedal steel). Della concezione originale sono rimasti 3 brani scritti da Eric (Madame X, Fear Of Falling e Won’t Be Back) e altri tre in cui Slowhand dà il suo apporto chitarristico. Tra gli altri ospiti sono da citare Trent Reznor e un pugno di coristi che contribuiscono a dare al disco un’impronta soul.

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