Di lui Michael Jackson disse: «Dopo la chitarra, Dio ha inventato Slash». E il concerto al Palasharp di Milano ne è stata l’ennesima conferma. L’ex Gunner si è magistralmente esibito con una band confezionata ad hoc: la voce pungente di Myles Kennedy degli Alter Bridge, il basso dirompente di Todd Kerns, la chitarra ritmica di Bobby Schneck e la convulsa batteria di Brent Fitz. Due ore di esibizione per una set list che ha spaziato nel tempo, dagli esordi con i Guns n’ Roses al suo ultimo lavoro solista dove ha ospitato vocalist del calibro di Ozzy Osbourne. Il palco è essenzialmente rock: nessun telo né schermi. Il Palasharp, invece, è gremito di urla, sudore e deliri. Aprono con Ghost, prima traccia dell’album Slash: Kennedy dimostra immediatamente di essere all’altezza del compito affidatogli. La sua estensione di quattro ottave e il suo prolungare le note fino a trenta secondi fanno di lui il degno complemento a Slash. Concetto che verrà ribadito con maggiore evidenza in Mean Bone, cover degli Slash’s Snakepit, Fall To Pieces, Sucker Train Blues e Beggars & Hangers On, cavalli di battaglia dei Velvet Revolver. Ma anche Rise Today, brano degli Alter Bridge con cui Myles ha giocato chiaramente in casa. Con Nightrain la band rompe il ghiaccio dell’attesa: le cover dei Guns n’ Roses sono le più acclamate. Civil War è decisamente quella che raccoglie più calore tra il pubblico. In Rocket Queen, per la prima volta presentata in concerto, Slash si lancia in uno dei migliori assoli della serata. Il primo posto, però, spetta all’inattesa performance de Il Padrino, intonata in solitaria sul palco dopo un’elettrizzante lunga improvvisazione: quasi 10 minuti di gloria prima degli accordi iniziali di Sweet Child O’ Mine, effetto bomba sull’intero Palasharp. Peccato per l’aggressione on stage da parte di un fan sfuggito ai controlli della sicurezza e piombato alle spalle del guitar hero gettandolo violentemente a terra. Bilancio: l’intruso viene portato via con la forza e la band continua a suonare. Anche Slash. Ma la chiave del Si è rotta. Dopo un invano tentativo di proseguire, attende l’arrivo di un’altra Gibson e riprende ciò che era stato volgarmente interrotto. Con immancabile nonchalance. Doppio bis: sorprendente la versione di Communication Breakdown dei Led Zeppelin, che riporta inevitabilmente alla mente i complimenti che spesso Robert Plant ha rivolto a Myles Kennedy per le sue peculiari capacità vocali; complimenti meritati soprattutto per l’impeccabile esecuzione di By The Sword, inserita nell’ultimo album. Rientro nel backstage e ricomparsa per Paradise City: nessuno del pubblico si era mosso. Era ovvio che la stavano aspettando. E sapevano che l’avrebbero ascoltata. Divorata. La band saluta, scende dal palco, stringe mani, regala plettri, bacchette, asciugamani. E si inchina. Il rock non è morto.
02/09/2010
SLASH
Milano, Palasharp, 10 giugno 2010