18/06/2007

Souvenir d’Italie: un mattatore in mutande

È passata, ma ce la ricorderemo per un bel po’ di tempo. Piena di avvenimenti importanti, alcuni entusiasmanti, altri tristi (e non mi riferisco soltanto agli Europei di Calcio), quest’estate del 2000 ci ha riservato comunque momenti indimenticabili. Specie per tutti noi appassionati di musica. Erano anni, infatti, che non assistevamo a tanti concerti, rassegne e festival così belli, vari, interessanti e soprattutto sparsi democraticamente un po’ ovunque sulla nostra penisola. Dal tour di Bob Dylan agli spettacoli dei Pearl Jam, dalle performance di Ani DiFranco, Nine Inch Nails, Beck, Lou Reed sino ai fantastici eventi di musica etnica da tutto il mondo. Per non parlare dei grandi rock festival (Monza e Imola) o di quegli appuntamenti ormai piacevolmente abituali come Arezzo Wave, Pistoia Blues, Folkest, Umbria Jazz nonché delle raffinate rassegne di musica d.o.c. come quella (straordinaria) di Villa Arconati a Milano.

Già, a Villa Arconati ci si riconcilia davvero con la vita. Una villa del ‘700, un parco favoloso al cui interno è posizionato un palco coperto che ospita un platea (anch’essa coperta) di circa 2.000 persone che assiste, in genere, a un programma scelto con grande competenza, intelligenza artistica e buon gusto; dove sei comodo, vedi e senti benissimo in qualsiasi punto tu sia seduto e stai all’interno di un setting mozzafiato. Se non fosse per le zanzare (ma con un po’ di Autan si sopravvive lo stesso…) sarebbe quanto di più vicino al Paradiso un music lover possa aspirare sul pianeta terra (California esclusa, bien sure). Un plauso dunque ai promoter (e agli enti locali) solitamente vessati da chi come noi raccoglie e trasmette le lamentele degli appassionati.

Prima però di archiviare questa stagione 2000, voglio portarvi indietro di quattro anni, in un’altra estate della quale conservo personalmente un ricordo davvero speciale. Tra il 29 agosto e il 7 settembre 1996, durante la 53ª Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ho avuto l’opportunità, insieme a Gegè Telesforo, di condurre otto puntate di un programma televisivo per Telepiù che si svolgeva in diretta dal Lido su un palco di fronte al Casino, poco distante dal Palazzo del Cinema. Lì, tutte le sere, aveva luogo un concerto seguito da una sorta di talk show con alcuni degli ospiti più prestigiosi del Festival (attori, registi, celebrità varie).

La prima sera (dopo l’esibizione di Rossana Casale) al posto del talk show era previsto una specie di tributo alla Beat Generation. Quell’anno, infatti, la Mostra ospitava una sezione speciale chiamata The Beat Goes On che intendeva celebrare l’ipotetico 50° compleanno di quell’irripetibile movimento culturale e letterario. Nell’ambito della rassegna, oltre alle proiezioni di diversi film inediti, si era pensato di invitare un paio di ‘testimonial’ eccellenti. Appositamente da Los Angeles sarebbero, ad esempio, dovuti arrivare Ray Manzarek (tastierista dei Doors) e il poeta Michael McClure. Insieme a loro un ospite specialissimo, il maestro Vittorio Gassman, avrebbe declamato in italiano alcuni versi delle più belle poesie di Corso, Ferlinghetti, Ginsberg. Al di là del fatto che, per motivi di salute, Michael McClure all’ultimo momento avesse dovuto declinare l’invito (ma Ray Manzarek lo sostituì benissimo svolgendo il duplice ruolo di accompagnatore musicale e di reader), la serata si presentava davvero interessante.

Ricordo che intorno alle 17 (nel corso della riunione di scaletta con la regia, la produzione e gli autori) prima del soundcheck della band di Rossana Casale, Vittorio Gassman (che era al Festival per l’anteprima di Sleepers e soprattutto per ricevere il Leone d’Oro alla carriera) si presentò per una sorta di sopralluogo. Tutti noi, stupiti e nettamente in soggezione, appena lo vedemmo ci alzammo in piedi salutandolo con fantozziana riverenza. Lui, con quel suo sguardo severo che anche quando ordinava un ghiacciolo sembrava assumere le sembianze di Amleto, disse subito: “Comodi… sono venuto solo a dare un’occhiata. Non volevo disturbare”.

Quando io e Gegè andammo da lui per presentarci ricordo il suo buffo commento: “Sono troppo vecchio per il rock ma il jazz… beh, quello mi è sempre piaciuto”. Mi fermai per un po’ a chiacchierare con il Maestro (“Maestro lo dici a tua sorella”, diceva con quel suo fare da simpatico burbero). E così mi raccontò di aver conosciuto personalmente Ginsberg, Ferlinghetti e altri poeti beat. E mi snocciolò alcuni aneddoti piuttosto gustosi che però, subito dopo, mi pregò di non divulgare. “Non chiedermi di raccontarli al pubblico durante la trasmissione”, mi disse, “perché non vorrei fossero male interpretati. Sai, quello era un mondo particolare… San Francisco, la California, i primi anni 60… in ogni caso erano grandi uomini. E artisti formidabili.”

Ricordo anche che c’erano solo due camerini, uno riservato alla band e l’altro ai conduttori. E che, avendo io e Gegè cavallerescamente ceduto la nostra dressing room alla Casale, ci ritrovammo in mutande fianco a fianco con Gassman, pure lui in mutande. I camerini dei teatri, al pari degli spogliatoi dei campi di calcio, sono il luogo ideale per far sparire istantaneamente barriere culturali, sociali, economiche. Lì, siamo tutti fratelli.

E così, in mutande, abbiamo messo a punto (devo dire in modo piuttosto spiritoso) la parte che precedeva il suo reading. Io gli facevo qualche domanda, Gegè, tra il pubblico, raccoglieva quelle di qualche curioso.

È inutile dire come andò. A chi non ha visto la trasmissione (che Telepiù ha molto intelligentemente replicato questa estate qualche giorno dopo la morte di Vittorio a mo’ di tributo) ricordo che nella prima parte il Maestro… pardon, Gassman rispose con intelligenza e ironia alle domande per poi gettarsi in una mezz’oretta di strepitoso one man show tra testi beat e ricordi personali.

Ray Manzarek, dietro le quinte, lo guardava a bocca aperta. Il pubblico, totalmente rapito, era (pur pigiatissimo) in un silenzio sacrale salvo esplodere alla fine del tutto.

Manzarek sul palco raccontò che lui e Jim Morrison erano grandi ammiratori del cinema italiano dei Fellini, Mastroianni e Gassman e che lui era davvero onorato di essere lì. Gassman, poco prima, mi aveva confessato di ricordarsi dei Doors (“Non mi sono mai piaciuti troppo”, mi rivelò, “ma non andarglielo a dire…”).

Da allora, non l’ho mai più visto: quando questa estate ho saputo della sua morte devo dire che, oltre al dispiacere provato, mi sono reso conto che il ricordo di quella estate veneziana era in me ancora vivissimo.

Ho pensato: “E se adesso incontra Jim Morrison che cosa gli racconta?”

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