01/06/2011

SUL PALCO CON JACK JOHNSON

Il surfer-songwriter torna in Italia

Sono ancora in molti a ricordare il concerto tutto esaurito all’Alcatraz di Milano nel 2006. Lo ricordiamo perché ci aveva fatto capire l’inaspettata popolarità di Jack Johnson nel nostro paese. L’artista, metà hawaiano e metà californiano, torna a suonare in Italia il prossimo 24 luglio all’interno della rassegna 10 Giorni Suonati, giunta alla seconda edizione, che si terrà presso il Castello di Vigevano di Pavia dal 26 giugno al 24 luglio (tutte le informazioni sul cartellone al sito www.diecigiornisuonati.com). Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per fare il punto della situazione sull’attività live e per un bilancio sulla sua carriera. «Quando registri in studio sei fin troppo concentrato nel pensare al risultato finale di ciò che stai suonando, quindi sei più teso. Capita soprattutto quando sei al primo o al secondo album, poi acquisti maggiore sicurezza. Dal vivo ti accorgi che le stesse canzoni che hai cercato di registrare alla perfezione vengono valorizzate dall’energia, dal coinvolgimento e dalla passione. Ricavi più soddisfazione stando su un palco: ricevo sensazioni diverse ad ogni concerto». Ad aprire lo show di Jack Johnson sarà Kaki King, amatissima dagli intenditori della buona musica. «Ritengo che, oltre ad essere una brava cantautrice, sia prima di tutto un’ottima chitarrista. Andare in tour e suonare nei festival è sempre un’ottima occasione per ascoltare altre band e conoscere nuovi artisti, vedere quale tecnica usano per suonare». Dai tempi di Brushfire Fairytales, disco d’esordio del 2001, piccolo gioiello di folk moderno accostabile a Welcome To The Cruel World di Ben Harper, come è cambiato lo stile di Johnson? «Trovo che oggi i miei testi siano più maturi rispetto a quelli che scrivevo quando avevo poco meno di 20 anni. Si sono evoluti, così come è cambiata la mia musica. All’inizio componevo principalmente da solo alla chitarra acustica, adesso mi lascio consigliare molto anche dal gusto della band. Ma le melodie restano fondamentalmente radicate all’esperienza folk. Ho avuto la fortuna di riuscire a scrivere canzoni valide senza lasciarmi influenzare troppo dai gusti del mercato e di avere accanto dei collaboratori coi quali ho raggiunto un ottimo affiatamento. Mi preoccupo soprattutto di trovare il giusto equilibrio tra melodia e ritmo; i musicisti che mi accompagnano fanno da supporto e completamento laddove da solo non riesco ad arrivare». Prima di dedicarsi alla musica, Johnson è stato surfista professionista, attore, fotografo e regista. Ed è incredibile come ad oggi riesca ad incidere dischi, andare in tour, occuparsi della famiglia, dedicarsi al surf e alla regia. Risorse che trova seguendo uno stile di vita sano ed equilibrato. «È tutto merito dall’equilibrio che raggiungi quando hai una famiglia unita. Penso di essere un buon padre. Sapere che alla fine di un concerto ci sono persone care che mi aspettano e con le quali riunirmi scambiando impressioni sull’effetto avuto sul pubblico rimane la cosa più appagante». In un momento in cui predomina il caos e chi urla di più, la pace e la serenità che la musica di Jack Johnson trasmette sono più uniche che rare. Significa che c’è ancora speranza per chi vuole invece fermarsi ad ammirare la bellezza del mondo. «Scrivo canzoni folk e mi considero un cantastorie. Con la musica voglio far stare meglio le persone. Far capire alla gente che abbiamo tutti più o meno gli stessi problemi. Cerco di arrivare al cuore delle persone nella speranza che diventino sempre più responsabili«. Qual è lo spettatore tipo che va ai suoi concerti? «Ognuno reagisce differentemente a seconda del paese. In Europa è più stimolante suonare perché avete culture diverse, mentre negli Stati Uniti il pubblico è più omogeneo. Ho notato che in Italia conoscono meglio i miei primi dischi piuttosto che gli ultimi».

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