Un album top secret
Certo che discutere di questi 18 “arrangiamenti organici”, come li chiama Tori Amos, dopo aver avuto a disposizione un solo ascolto del cd ‘blindato’ è un po’ rischioso: si ha sempre paura di fare affermazioni di cui a ragion veduta ci si pentirà amaramente, o anche solo figuracce.
“Ho dovuto far così: quando alcuni mesi fa sono trapelate in giro sei tracce – e nemmeno mia madre aveva una copia del disco! – ho capito che il topo era nella dispensa, ossia che il furto proveniva dallo stesso ambiente discografico o da qualcuno della stampa, e che la protezione anti copia non serviva a niente. Per cui ho chiesto ai miei ragazzi di fornirmi qualcosa che fosse veramente pressoché inespugnabile e loro mi hanno proposto l’arnese che hai ascoltato tu. Pensa che il batterista ha provato ad aprirlo ed è finito all’ospedale! Quindi se ci provassi anche tu.”
“Capisci, ormai bisogna fare una scelta: o si tiene la musica bloccata finché non è pronta per andare sul mercato, oppure si cambia la funzione del cd, che diventa semplicemente una chiave per accedere dal tuo computer allo Scarlet’s Web, dove trovi le canzoni, i testi, la storia, il dietro le quinte e tutto quanto. Sto anche lavorando con un’università americana per arricchire il sito (se andate su www.toriamos.com, noterete infatti che è in via di rifacimento, nda) con mappe dei luoghi visitati da Scarlet, storia della nazione americana, notizie su tribù native eccetera. Naturalmente, in tour inseriremo anche canzoni live, soundcheck e così via. È questo il vantaggio di disporre di un formato multimediale. Mi spiace che tu adesso non possa vedere ciò di cui ti parlo.”
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L’urgenza: un nuovo Vietnam per l’America
Che la tragedia delle Torri Gemelle d’un anno fa stia segnando la coscienza americana con una profondità pari solo a quanto riuscì a fare il Vietnam 30 anni fa, si capisce anche solo osservando le uscite discografiche di questi mesi e leggendo le interviste in cui gli artisti presentano le loro nuove canzoni: Springsteen, sì, ma persino un non americano poco incline ai ‘messaggi civili’ come Bowie, adesso anche Tori Amos e poi chissà quanti altri.
No, tranquilli: il nuovo imponente concept album Scarlet’s Walk non parla direttamente di politica o terrorismo ma, a sentire quanto ci ha spiegato l’autrice – gioviale e disponibile come c’era stata presentata – l’esigenza di sondare “di cos’è fatta l’anima profonda” della nazione, scavando fino a raggiungerne le radici più autentiche, è nata proprio sull’onda dello sconcerto causato dall’attentato.
“Ero in tour in America alla fine di settembre dell’anno scorso. Ai miei concerti capitava gente che in altri momenti mai sarebbe venuta a vedere il mio spettacolo, solo perché non sapeva dove andare altrove! L’America è stata quasi scossa dal suo isolamento, ha sperimentato un senso di sicurezza offesa nella sua coscienza da Disneyland e dopo l’attacco s’è sentita esposta come quando la pelle è aperta da una ferita. Ho provato sensazioni e punti di vista differenti, mi chiedevo: se non ci sarà un domani, cosa vorrei chiedere come ultimo desiderio? È stato un momento di quelli in cui cadono le maschere, in cui la gente comincia a porsi domande che non s’era mai fatta nella vita fino allora. Domande come: chi è quest’essere che chiamiamo America? (Attenzione, Tori parla di America come di una persona: dice ‘she’ o ‘her’, nda.) E ancora: è un essere reale per noi, adesso che è ferita? Adesso che è stata attaccata non ci sembra più un oggetto: ho osservato che la gente ha cominciato a rapportarsi a lei come i nativi americani hanno fatto con la loro terra per secoli. Solo con l’arrivo dei fratelli bianchi l’America è diventata un oggetto da sfruttare, come una prostituta o una porno star.”
“Ecco perché il disco si apre con una canzone dedicata ad un personaggio che si chiama Amber Waves: è un’espressione che compare nella canzone America The Beautiful – sorta d’inno nazionale per gli americani – e al contempo un personaggio del film Boogie Nights. Amber Waves è una porno star in declino, una che è stata sfruttata ed è rimasta tagliata fuori, ma è anche una personificazione dell’America. È da lei che parte il viaggio di Scarlet, una donna che deve interrogarsi sulle proprie certezze in un momento difficile. Insomma, Scarlet’s Walk si apre con una puttana e si chiude con la nascita d’una bambina! (Gold Dust, nda)”
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Radici.
Ecco un raro caso di artista che intervisti con piacere: simpatica, disponibile, generosa nello spiegare cosa fa e perché e, per di più, ha anche cose non banali da dire. Ed ecco spiegato lo spunto legato alla ferita dell’11 settembre, che ispira tra l’altro la canzone I Can’t See New York. Ma il disco non si ferma all’attualità: come dice lei, scava in profondità alla ricerca delle radici della cultura americana, nei luoghi che l’hanno segnata, anche nelle ferite remote (e rimosse?): Little Big Horn, Wounded Knee, le Colline Nere del Sud Dakota. Sono almeno quattro i brani in cui ricorrono luoghi e riferimenti alla storia e allo sterminio di quelli che siamo abituati a chiamare ‘indiani’: Strange, Carbon, Wampum Prayer e Your Cloud, ma la stessa Scarlet’s Walk ruota intorno al rapporto fra nativi (Tori Amos ha avi Cherokee) e colonizzazione europea.
“Scarlet s’interroga sui propri valori e sul rapporto che ha con l’Anima profonda dell’America, vuol sapere di cos’è fatta; e, per scoprirlo, deve ripercorrere all’indietro la storia della terra, fino a prima del contatto con gli europei. Carbon per esempio è un altro personaggio femminile: una maniaca depressiva che punta all’autodistruzione, perché tutti vogliono un pezzo di lei ma lei non vuole più esser fatta a pezzi. E la canzone è ambientata in un luogo simbolico come Wounded Knee, che evoca le ombre più buie di una cultura, è un po’ l’ultima lancia piantata nel fianco di Cristo.”
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.E molto altro
Naturalmente, non di sole radici si nutre un album complesso e ambizioso come questo: si toccano i temi delle lusinghe del potere (Pancake), dell’avidità (Don’t Make Me Come To Vegas), della disillusione verso la violenza, quand’anche rivoluzionaria (Sweet Sangria). E, soprattutto, Scarlet nel suo viaggio incontra diverse tipologie di figure maschili: il falso amore-per-tutta-la-vita (A Sorta Fairytale), il falso sbandatone-che-poi-ci-prova (Crazy), quello che nasconde qualcosa (Wednesday). “Beh, certo, ci sono molte storie d’amore nel disco: Scarlet è on the road, parte monogama finché poi non lo è più!”, dice Tori e ridacchia soddisfatta dell’ermetica spiegazione.
Certo che – non resistiamo alla provocazione – concepire un sonic novel in 18 tappe per un totale di oltre 74 minuti di musica (il che significa in media oltre 4′ per ogni brano), rischia d’apparire un progetto fin troppo ambizioso. “Penso che si possa dire che va bene essere ambiziosa. Se non lo fossi, non avrei fatto neanche Y Kant Tori Read!” (ride).
Però, nonostante la ricchezza dei temi, ci sembra di notare un approccio maggiormente diretto e narrativo e meno simbolista alla scrittura dei testi, almeno di quelli che abbiamo già potuto leggere. “In verità spero proprio che un po’ di simbolismo si trovi anche in quest’album, perché credo ancora nel potere evocativo delle immagini poetiche. Però sì, Scarlet’s Walk è caratterizzato da una maggior linearità: d’altronde sviluppa una storia, non è una sorta di quadro astratto. Ci sono i momenti in cui ricerco l’astrazione, ma non era questo il caso.”
Anche dal punto di vista sonoro c’è maggiore omogeneità negli arrangiamenti, rispetto per esempio ad uno Strange Little Girls in cui si passava dalla ballata voce-piano ad un suono di band più pieno, anche decisamente rock, fino a sonorità elettroniche piuttosto minacciose (come nell’incredibile versione di Happiness Is A Warm Gun). Qui sembra tutto più. pulito.
“Direi organico: quella che cercavo è una sonorità ‘nostalgica’, ma il binomio voce-piano rimane sempre il nocciolo nascosto al fondo di ogni canzone, ne è il fulcro. Siccome tutti gli episodi sono interconnessi fra loro, seguendo il filo rappresentato da Scarlet e dalle sue relazioni con altri personaggi, ecco che il pianoforte si relaziona con altri strumenti. Tutte queste relazioni sono rappresentate musicalmente, a livello di arrangiamenti: ogni strumento aderisce e supporta un personaggio, direi. Per esempio, il basso e le percussioni contraddistinguono le figure maschili di cui parlavamo prima. non a caso ci sono alcune canzoni come Amber Waves o Mrs Jesus che si aprono proprio con il basso o le percussioni.”
E perché registrare un viaggio sonoro così americano in Inghilterra (a Cornwall)? “Per raggiungere la giusta distanza critica. Mi piace vivere negli Stati Uniti, di lì m’è venuta l’ispirazione per il disco e sempre lì ho sviluppato gran parte del materiale. Ma poi viene il momento che devi mettere ordine in quel materiale e allora una certa distanza anche geografica favorisce l’oggettività.”
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Il tour
“Adesso sto facendo qualche data promozionale, poi partirà il vero tour, all’inizio dell’anno prossimo, potrei arrivare in Italia forse verso marzo.” Con la band del disco? “Con un combo: io al piano e alle tastiere, più basso e percussioni. Senza chitarre: voglio cercare il fulcro delle canzoni, delle melodie. È questo quel che voglio fare.”
Eravamo almeno in tre di JAM al tuo ultimo concerto all’Orfeo di Milano e io mi sono molto pentito di non aver portato la fotocamera, perché il light design del tuo show era molto elegante. “Tranquillo, è lo stesso che vedrai anche nel prossimo tour, quindi puoi recuperare!”
Se non fosse così, bisognerebbe inventarsela, no?