S’avanza un vecchio, bianco per antico pelo…
È John Renbourn, cavaliere senza macchia e senza ombre. Torna in Italia, di tanto in tanto. Stavolta è approdato a Torino (Folk Club) e a Milano (Officine Creative Ansaldo), accompagnato solo dalla sua chitarra e dalla sua storia straordinaria. John si porta dietro una leggenda fantastica, grazie agli album con i Pentangle e alla rigogliosa carriera solista, negli ultimi tempi, purtroppo, per la verità molto diradatasi. Suona poco e secondo un calendario fatto a sua misura: viaggia a bordo di un van improbabile, vissuto e con tante avventure alle spalle, muovendosi dalla sua abitazione in Scozia, una ex chiesa non troppo lontana da Edimburgo.
Per un’ora e mezzo gioca con i ricordi, la tradizione, le radici del blues e le improvvisazioni alla chitarra che fecero, insieme al sodalizio con Bert Jansch, una formidabile, fondamentale tappa della musica acustica dagli anni ’60 in poi. Un tocco di memoria, tra Candy Man e Lord Franklin, gemma contenuta in Cruel Sister, 1970, fanno da cerniera a un centinaio di minuti della sua performance A vederlo, affaticato, leggermente claudicante, con il peso degli anni a gravarlo, non lo si immaginerebbe agile e lieve che naviga sulle sei corde. Ma quando intreccia la chitarra a un repertorio che profuma di belle sensazioni senza tempo, viene da ringraziare quegli intrepidi che, impermeabili agli X factor e al tepore dell’inutilità, ancora procedono imperterriti sul sentiero della Musica che conta.
Play it again, John!