03/10/2011

SZIGET

BUDAPEST, OBUDA, 9-15 AGOSTO 2011

L’Isola di Obuda è un mondo a parte. Se ne sta sprofondata in mezzo al Danubio, placida con i suoi alberi secolari e il suo imbarcadero ma, non appena varcato lo stretto ponte bianco, ci si trova in un eden dove l’odore penetrante del fango si fonde con quello del pane cotto in forni di mattoni, gli echi di soundcheck alle luci da crisi epilettica degli stand di compagnie telefoniche internazionali. In effetti, quello che Budapest ti fa capire non appena messo piede in città, è il suo essere intrisa di musica, in ogni angolo: dai piccoli locali negli scantinati dove si esibiscono complessi tzigani (e vari surrogati) sino alla sontuosa Opera. Per questo motivo, non può che svolgersi qui un festival che da 19 edizioni è un crogiolo di lingue e stili musicali, accogliendo quest’anno gli artisti di oltre 40 paesi, dai battiti elettronici in quattro ad abili maestri del fingerpicking. Per scoprirli, basta addentarsi tra i sentieri e approdare a uno qualsiasi della decina di palchi, superando le tende dei campeggiatori e imbattendosi persino in un vero e proprio villaggio magiaro.
Il Sziget è un festival nel vero senso della parola, dove recarsi per andare alla scoperta di nuove sonorità e vivere nel confronto con gli altri: scelta condivisa da (si stima) 6.000 italiani, arrivati nella capitale ungherese sia con mezzi propri sia con viaggi organizzati da ogni provincia della penisola. Italiani come i Verdena, che hanno avuto modo di esibirsi proprio su questi palchi.
Mentre lampade e luminarie appese agli alberi iniziano ad accendersi per illuminare le notti del festival, è Prince a inaugurare i concerti, anticipando nei giorni successivi una miriade di realtà, come la raffinatezza britannica dei Pulp e il fervore inossidabile dei Motörhead. Capita poi di imbattersi nello spettacolo dei Dhoad Gypsies Of Rajasthan, uno sguardo al folk indiano scandito dal ritmo dei tablas, o ancora esser trascinati nel polverone (letterale) dei Gogol Bordello e della Bella ciao di Goran Bregovic. Dai Kaiser Chiefs ai Mariachi El Bronx, si va oltre le barriere di pop e rock, con aree dedicate a blues e metal, mentre la Roma Tent spazia nella world music e al Medusa ci si abbandona ai beat elettronici, come quelli di Mademoiselle Caro. Anche Amy Winehouse avrebbe dovuto esibirsi qui.
All’alba di Ferragosto, è tempo di lasciare che l’isola torni un quieto parco cittadino, con una consapevolezza in più: che se la musica è un linguaggio universale, in grado di travalicare ogni barriera e portare con sé lo spirito di ogni cultura, Budapest, per qualche giorno, è stata la capitale di un intero universo.

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