28/07/2015

Tame Impala

La band di Kevin Parker giunge alla terza prova discografica lasciando da parte le chitarre e optando per una veste sonora più elettronica
Good times for a Change cantava Morrissey in una delle canzoni più celebri degli Smiths. Parole che ritraggono perfettamente il cambiamento in atto di questa ultima fatica discografica dei Tame Impala, formazione australiana guidata dal polistrumentista e cantante Kevin Parker, reduce dal buon successo di pubblico e di critica di Innerspeaker (2010) e Lonerism (2012). Due lavori che hanno consacrato Parker come uno dei musicisti e autori più interessanti del nuovo millennio, grazie a una sensibilità pop-psichedelica perfettamente riconoscibile – i Beatles di Revolver sono un chiaro riferimento – e all’abilità di proporre una produzione moderna e incalzante, capace di conquistare il cuore delle nuove generazioni. Messe in disparte le chitarre, il viaggio di Parker continua con questo nuovo Currents, terza prova discografica che sa di transizione e di inevitabile cambiamento.
 
La formula stilistica e compositiva di Innerspeaker e di Lonerism poteva rappresentare un approdo collaudato e sicuro, ma i Tame Impala decidono invece di cambiare rotta e spiazzare il pubblico di fedelissimi che si erano costruiti in tutto il globo: ad animare e rappresentare il nuovo corso è piuttosto l’infatuazione per i sintetizzatori, vocoder, per la new wave più sintetica e il dream pop, per certa club-culture e disco-music anni settanta. Registrate nello studio personale di Parker a Fremantle, Australia, le tredici canzoni di Currents, tuttavia, sono evocative, ben costruite, sognanti, arrangiate in maniera praticamente perfetta da un compositore in costante crescita e con una consapevolezza di scrittura maggiore che in passato.
 
Chi pensava ad una copia sbiadita di Lonerism dovrà quindi ricredersi sin dalla prima traccia, Let it Happen, maestosa cavalcata sorretta da un basso pulsante e da un ritornello dove la voce femminea e androgina di Parker è protagonista assoluta, immersa in un mare di synth; il trip ambient di Nangs fa poi da ponte alla splendida The Moment, il cui inizio potrebbe tranquillamente appartenere alla discografia dei Tears For Fears, mentre la malinconica Yes I’m Changing riporta alla memoria i Cure di Faith. 

Dopo la pacata Eventually e l’intermezzo Gossip si giunge a un’altra perla pop del disco, The Less I Know The Better, dal vago sapore funk e disco, prima di arrivare al synth pop robotico di Past Life, non molto distante dalle produzioni dei contemporanei Part Time. Se Disciples non aggiunge granché al valore dell’opera, Cause I’m A Man strizza l’occhio a Prince e all’erotismo del Marvin Gaye di Sexual Healing. Reality In Motion e Love/Paranoia sono invece un altro rimando al synth pop anni ’80 mentre la conclusiva Same Old Mistakes è una sincera dichiarazione di inadeguatezza.
 
Se le influenze citate possono far pensare a composizioni di due o tre minuti, la scrittura di Parker è invece espansiva, un vero viaggio sensoriale nei meandri della propria psiche, in cui non viene mai a mancare quell’approccio «psichedelico» che caratterizza la musica dei Tame Impala. E allora la cosa migliore da fare è semplicemente quella di seguire la corrente, lasciandosi trasportare…

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