23/06/2015

The Cyborgs, l’intervista

La Two Man Band ha pubblicato a maggio il nuovo album, Extreme Boogie, il terzo in carriera. E’ il blues del nuovo Millennio?
Androidi o umani? Loro sono i The Cyborgs, due misteriosi musicisti giunti dal futuro – così dicono – amanti di una musica nata più di un secolo fa: il blues. Non è stata resa nota la vera identità di “Cyborg 0” e “Cyborg One”, ma sappiamo che l’amore per la musica del diavolo è viscerale, irrinunciabile, uno stile di vita. A maggio i The Cyborgs hanno pubblicato il loro terzo album, Extreme Boogie, fedele agli insegnamenti dei grandi padri del blues ma con qualche aggiunta elettronica, grazie a una strumentazione che si è allargata nel corso degli anni. Tredici tracce dove l’irrefrenabile immediatezza che li ha contraddistinti sinora viene spinta al di sopra di ogni limite dalla “Two Man Band”, che può vantare di aver aperto le date italiane del Wrecking Ball Tour di Bruce Springsteen e che si appresta a calcare il prestigioso palco del Pistoia Blues 2015. Con loro abbiamo parlato di Extreme Boogie, del ruolo del blues nel nuovo Millennio e di molto altro ancora…
  
Le risposte alla seguente intervista sono state inviate dai Cyborgs via web e tradotte dal codice binario in lingua comprensibile
 
Extreme Boogie è il vostro terzo disco. In questo nuovo lavoro rimanete fedeli al vostro sound caratteristico con nuove venature elettroniche e strumenti inediti. E’ il blues del nuovo millennio?
E’ semplicemente il blues che evolve, muta nella forma ma non nell’essenza. E’ quello che ha sempre fatto, grazie all’aiuto e all’apporto di artisti da ogni parte del mondo. Questa è solo la nostra personale visione del blues, filtrata attraverso un casco da saldatore. E’ il blues dei Cyborgs.
 
Qual è il vostro rapporto con “la musica del diavolo”?
E’ la nostra più grande passione, attraverso la quale riusciamo ad esprimere la nostra essenza. Non riusciamo ad immaginare una musica migliore per le nostre orecchie cibernetiche.
 
Dite di venire dal futuro ma suonate blues. Non è una contraddizione?
Il blues è la madre di tutta la musica, è la matrice. Il futuro ha bisogno di ritrovare il passato, perché solo nel passato risiede la chiave per un mondo migliore. Bisogna saper guardare indietro, solo così si può essere innovativi.
 
Il vostro disco è viscerale e istintivo. Un modo per riprodurre quanto proposto nei live?
Sicuramente cerchiamo di mettere la stessa energia sia nei live che su disco, anche se il momento più importante per noi e per il pubblico rimane quello di suonare dal vivo. E’ lì che ci liberiamo, mostrandoci per quello che siamo realmente: Cyborgs.
 
Quali sono stati i vostri punti di riferimento stilistici e artistici per questo nuovo album?
In realtà non ci sono troppi punti di riferimento. Forse l’unico vincolo che abbiamo è che vogliamo continuare ad avere è quello di essere in due. Ogno cosa che suoniamo, infatti, è mediata e scritta per essere suonata in “Two Man Band”. E’ questa, in particolare, la chiave del nostro sound.
 
Di cosa parlano le canzoni di Extreme Boogie?  
Raccontano viaggi ed esperienze dei nostri tour in giro per il mondo, ma parlano anche del nostro tempo, il futuro. Extreme Boogie è stata scritta in Inghilterra, Oxyehho in Russia, e così via. Il disco è in qualche modo il resoconto dei nostri viaggi, e se vogliamo anche la maturazione musicale ottenuta palco dopo palco. Inoltre, molti dei brani che abbiamo scritto, da cinque anni ad oggi, sono stati modellati e completati durante i sound check prima dei concerti.
 
La formula della “two man band” sembra essere molto convincente ed efficace nel vostro caso. Tanto da farvi arrivare ad aprire gli spettacoli di Springsteen durante il “Wrecking Ball Tour”. Che tipo di esperienza è stata?
E’ stato emozionante vedere così tante persone unite in coro a cantare eballare la nostra musica. La cosa più bella è conquistare un pubblico che non è il tuo, e che porterà con sé il ricorso di quel momento. 
 
Vi esibite molto all’estero, soprattutto in Inghilterra. Li apprezzano di più il “blues”, c’è più interesse rispetto all’Italia? Avete notato differenze?
Indubbiamente le differenze ci sono. L’Inghilterra è un Paese che è stato in grado di esportare la musica nel mondo, e questo si respira nei club e nei festival. Bisogna dire, tuttavia, che in questo periodo storico il business musicale sta subendo un calo in tutto il mondo, anche in Paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti, dove la musica ha sempre avuto un forte impatto sulla gente. Sta cambiando qualcosa, stiamo andando verso un cambiamento.
 
Da dove nasce la decisione di nascondere le vostre identità? 
Nasce dall’esigenza di uscire da quel sistema che oggi pervade il mondo della musica, che ci impone di apparire. L’immagine sembra essere al centro di ogni cosa. Da qui la scelta di non apparire, di essere qualcosa di asettico, non definito. Oltre a questo, possiamo dire che per noi è stata anche una necessità: non riusciamo a sopportare la luce del sole. E’ troppo forte. Nel nostro tempo, quello che voi chiamate futuro, il sole è molto debole. Quando siamo arrivati qui, nel presente, abbiamo dovuto trovare una soluzione. Il risultato è quello che vedete: non siamo totalmente umani, siamo in parte macchina. Siamo Cyborgs.
 

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