21/03/2018

The Fratellis

Il quinto album della band scozzese aggiunge sonorità elettroniche e ritmi dance alle sue radici indie.
Sono passati quasi 12 anni dal debutto dei Fratellis con Costello Music; usciva a settembre 2006 e la band scozzese entrava così sulle scene prepotentemente con brani trascinanti come Chelsea Dagger, Flathead ed Henrietta.
Di quello stile, fatto di inni indie di grande impatto e assolutamente british, è rimasto ormai molto poco nel quinto disco In Your Own Sweet Time. La band nel frattempo si è evoluta e, a partire dagli ultimi due dischi (We Need Medicine del 2013 e Eyes Wide Tongue Tide del 2015), si è rivolta a sonorità che guardano molto di più all’America.
 
La particolarità di questo quinto album è la scelta di introdurre, per la prima volta, arrangiamenti elettronici, mischiando le radici indie dei Fratellis con ritmi danzerecci, suoni moderni e qualche accenno di world music. Non tutto il disco si muove su questi territori, ma già la partenza, affidata alla divertente Stand Up Tragedy, vuole far ballare attraverso un riff di chitarra decisamente funky ma anche con alcune incursioni elettroniche. Segue la bella cavalcata Starcrossed Losers che, tra un testo che rivisita la storia di Romeo e Giulietta e alcuni notevoli intrecci di voci nel ritornello, è stata tra i primi singoli estratti dall’album e rimane uno dei momenti migliori.
Sugartown ci riporta ad alcuni brani del secondo album della band, un rock con qualche cliché di troppo, mentre Told You So riprende il discorso iniziato nel disco precedente, atmosfere più americane dominate dagli arpeggi di chitarra e dal falsetto di Jon Fratelli. L’America è protagonista assoluta anche nel rock in stile Tom Petty di Laughing Gas e nella splendida Advaita Shuffle, una sorta di jam blues-rock tra i Led Zeppelin e i Black Crowes.
 
I Fratellis si divertono a mischiare spesso le carte e alternare i generi più diversi tra loro: così un brano “dance” e molto elettronico come The Next Time We Wed cede il posto alle influenze anni ’80 di I’ve Been Blind, che a sua volta sorprende in un ritornello molto sixties. Il produttore Tony Hoffer (già con Beck, Depeche Mode, Supergrass e The Kooks) aggiunge tocchi di synth anche alle ritmate I Guess I Suppose e Indestructible, in linea con molti album recenti che hanno scelto di incorporare elementi di musica elettronica anche in contesti rock.
La band scozzese decide di sorprendere nuovamente, però, con la perla finale di I Am That che chiude il disco dopo sette minuti di rock psichedelico, con forti echi orientali e melodie che potevano uscire dalla penna di George Harrison. È un brano completamente diverso non solo dal resto del disco ma dall’intera produzione dei Fratellis fino ad ora. Senz’altro non casualmente chiude questo quinto album del gruppo; divertente, spensierato, a tratti leggero, ma anche proiettato verso ciò che potrà riservargli il futuro.

 

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