11/10/2017

The Horrors

Giunta al quinto album, la band inglese vira su sonorità elettroniche, facendoci compiere un viaggio tra synth-rock, suoni industrial e riferimenti new-wave
Dal loro esordio, avvenuto esattamente dieci anni fa, in cui fondevano garage rock e punk, gli Horrors hanno mutato genere di album in album fino ad arrivare al loro quinto lavoro, chiamato semplicemente V.
 
Se si dovessero ascoltare in fila l’album di debutto Strange House del 2007 e questo nuovo album, si potrebbe pensare al lavoro di due band completamente diverse, tale è stato il cambiamento.
Il gruppo si è evoluto verso il krautrock del secondo album, si è stabilizzato da Skying (2011) in poi in una sorta di psichedelia unita al gothic rock e allo shoegaze, per arrivare ad abbracciare nel nuovo disco un synth-rock in stile Depeche Mode (band per cui hanno aperto alcuni concerti estivi).
La scelta del produttore Paul Epworth, che negli ultimi anni ha lavorato con London Grammar, Florence and the Machine, Adele e Stone Roses, ha portato ad una ottima produzione moderna che risuona in tutte le dieci tracce.
Quasi tutti i brani superano i cinque minuti di lunghezza, dall’apertura memorabile di Hologram, in cui il frontman Faris Badwan si chiede «siamo ologrammi o siamo visioni?» su una traccia di fredda new-wave, al potente singolo di lancio Machine che ricorda i Depeche Mode più industrial. Press Enter To Exit entra in territori più acidi, tra Primal Scream e Happy Mondays, mentre Ghost porta l’ascoltatore verso sonorità quasi ambient.
Nell’album c’è poi spazio anche per poche ballate che si staccano piuttosto nettamente dalle atmosfere elettroniche degli altri brani, ad esempio nel caso degli oltre sei minuti di Weighed Down o delle incursioni acustiche di Gathering e It’s A Good Life.
Il rock trascinante di World Below resta quasi come unica testimonianza del suono degli Horrors di qualche anno fa, ma la chiusura con Something To Remember Me By chiarisce le nuove influenze elettroniche con un’andatura che ricorda quella dei New Order.
 
Al termine degli oltre cinquanta minuti di album si è compiuto un viaggio tra il futurismo della prima new-wave, i suoni freddi del synth-pop, gli arrangiamenti industrial, una produzione moderna ma mai eccessiva e un catalogo immenso di influenze diverse che gli Horrors sanno manipolare in modo magistrale.
Resta da chiedersi quale sarà la prossima mossa.
 

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