08/11/2007

THE ITALIAN EXPERIENCE

Il breve tour della Jimi Hendrix Experience del maggio 1968 è stato organizzato da Massimo Bernardi, ai tempi uno dei più importanti organizzatori di eventi in Italia. La sua è una mossa dettata più dalla passione per la musica di Hendrix che da vere esigenze di business anche perché, in quel periodo, i giovani adoravano i gruppi beat e impazzivano per il rhythm & blues.

“Dopo aver ascoltato Hey Joe”, racconta Bernardi, “mi sono innamorato di Hendrix e quando mi si è presentata l’opportunità di ingaggiarlo non mi sono fatto sfuggire l’occasione. In quegli anni mi recavo abitualmente a Londra, anche due o tre volte al mese, per trovare artisti da portare in Italia. In uno di questi viaggi mi è capitato di incontrare un certo Brian (o Jerry) Morrison, che aveva un’agenzia artistica. A lui ho chiesto se la Experience fosse disponibile per un tour in Italia. Abbiamo trovato facilmente l’accordo economico: mille sterline per ogni giorno di permanenza di Jimi nel nostro Paese (nel suo libro, Noel Redding parla di un compenso di 3747 sterline per i soli quattro concerti romani, nda). Abbiamo fissato subito anche le date: i giorni compresi tra il 23 e il 27 maggio 1968”.
Hendrix atterra all’aeroporto di Malpensa la mattina del 23, proveniente da Miami. Ad accoglierlo non propriamente uno stuolo di fotografi professionisti bensì una sedicenne reporter del settimanale Ciao 2001, Daniela Cohen.
“Appena l’ho visto, ho avuto la sensazione che fosse esausto”, ricorda la Cohen, “e infatti la prima cosa che mi ha chiesto è stata di accompagnarlo in albergo, all’Hotel Windsor. Anche perché, secondo la schedule fissata, Hendrix avrebbe dovuto salire sul palco di lì a poche ore”.
Appena giunto in hotel, Jimi si registra e si fionda in camera a dormire.
“Sono rimasta ad aspettarlo nella hall”, continua Daniela, “e mentre ero là ho visto entrare il proprietario del Piper Club, il locale milanese dove Hendrix avrebbe dovuto suonare nel pomeriggio. Quel tizio sembrava fuori di sé. Continuava a ripetere che, per ragioni di ordine pubblico, doveva assolutamente portare Jimi al Piper: il pubblico, che gremiva il locale da qualche ora si era infatti insospettito del fatto che l’amplificazione non fosse ancora arrivata e temeva che nemmeno Hendrix si trovasse in Italia. Così ha chiesto a me di salire in camera, svegliare Jimi e spiegargli la situazione. Ricordo che la cosa ha irritato Hendrix moltissimo: doversi svegliare dopo solo poche ore di sonno… Jimi non capiva. Non aveva nessuna voglia di andare al Piper, venirne via per poi tornarci poco dopo per suonare. Per fortuna sono riuscita a convincerlo: in quel modo, per lo meno, il pubblico ha potuto verificare che lui era arrivato”.
Quando Jimi fa ritorno con Daniela al Windsor, Eric Barrett, Mitch Mitchell, Noel Redding (e sua sorella Vicky) sono già alloggiati in albergo. Dopo una robusta cena a base di risotto e bistecca, Jimi e la band tornano al Piper.
“Al locale la scena era apocalittica”, racconta la Cohen, “l’organizzatore non riusciva a convincere i possessori dei biglietti del primo spettacolo (cancellato a causa dei ritardi nelle procedure di sdoganamento delle attrezzature) che dovevano uscire per fare entrare quelli del secondo concerto. Neppure l’idea di essere rimborsati li smuoveva. Non c’erano alternative: dentro tutti! Così la capienza del locale (ottocento persone) venne quasi raddoppiata. Nonostante ciò, molti possessori di biglietto sono stati costretti a rimanere fuori: nessuna possibilità di entrare. Anche per questo si è creato un caos incredibile. Io non sono neppure riuscita a lasciare i camerini: c’era troppa gente! Sono rimasta là, chiusa dentro, ad ascoltare il concerto (iniziato alle 23 e 30), senza neanche vedere la band suonare, e, soprattutto impossibilitata a scattare foto…”.

Il concerto di Milano è anche il primo giorno di lavoro per Eric Barrett. “L’equipaggiamento tecnico era in pessimo stato”, racconta Barrett, “perché Jimi aveva appena finito un tour americano; i coni delle casse erano mezzi fusi e la scarsa potenza dell’alimentazione non faceva funzionare bene le testate Marshall e Sound City. Hendrix era arrabbiatissimo e, nel corso di ogni brano, mi urlava di tutto: ‘Che stai facendo? Perché non funziona niente?’. Io ero costretto a rispondergli: ‘Non lo so, non lo so…’. Non sapevo che pesci pigliare. Ero davvero travolto dalla frustrazione tanto che, a un certo punto, ho persino pensato di lasciar perdere e di andarmene. È stato Gerry Stickells a calmarmi e a dirmi di non mollare. Probabilmente, nell’attribuire al solo sistema di amplificazione tutti i problemi tecnici, ho esagerato così come ha fatto Jimi nel dare esclusivamente la colpa a me.  Ad ogni modo, Hendrix, a fine concerto, si è scusato: mi ha detto che non aveva capito che io non c’entravo. Sono bastati i cinque giorni del tour in Italia per conoscerlo meglio, per andarci d’accordo e cominciare a volergli bene”.  
“Problemi tecnici a parte”, ricorda Daniela Cohen, “il concerto milanese della Experience è stato molto bello. Jimi ha suonato benissimo e a lungo, mandando il pubblico in visibilio. Tanto che i giornali, il giorno dopo, hanno titolato in modo euforico: ‘Entusiasmo per Jimi’ (Corriere della Sera) e ‘Quasi una rivoluzione per il cantante americano’ (Il Giorno)”.   
Tra le canzoni suonate al Piper, le più apprezzate dalla stampa sono state Hey Joe, The Wind Cries Mary, Burning Of Midnight Lamp e Are You Experienced?
Daniela non segue Jimi nel dopo-concerto: è ancora minorenne e suo padre è venuto a prenderla fuori dal Piper. Per lei, fine dei giochi.
La mattina del 24 maggio l’Experience al completo vola a Roma dove viene accolta da un manipolo di fan e da una troupe del cinegiornale La settimana Incom (un frammento del servizio è stato trasmesso poco tempo fa da RaiDue in un programma di Michele Bovi, nda). In programma ci sono due concerti al Teatro Brancaccio.

Gli organizzatori decidono di chiamare Eddie Ponti come presentatore. Pur non essendo un fanatico di Hendrix, Ponti ricorda con piacere quei due giorni: “A dirla tutta”, ammette con onestà, “io non sapevo manco chi fosse Jimi Hendrix. Qualcuno, un vero imbecille di cui non ricordo il nome, me lo aveva descritto come un tipo altezzoso o, peggio, come un vero e proprio montato. I miei dubbi e qualche timore al proposito sono svaniti non appena ho incontrato Jimi in camerino. Dopo una breve chiacchierata lui mi ha offerto un whiskey, mi ha messo una mano intorno alla spalla e mi ha detto: ‘Fammi un favore: quando ci presenti, chiamaci The Jimi Hendrix Experience e non Jimi Hendrix e la sua Experience. Siamo una band e non un solista con musicisti che lo accompagnano’. Mentre parlavamo, ricordo che si è acceso uno spinello e me lo ha passato. Poi mi ha chiesto: ‘Mi faresti un altro favore? Puoi dire ai responsabili che sul palco voglio solo persone autorizzate? Questo è il mio debutto in Italia e ho bisogno di concentrarmi bene sulla musica’. Così mi sono preso la responsabilità di far sloggiare un bel po’ di gente (saranno state quasi trecento persone) che già si accalcavano sul palco. In quel momento, sono entrati in scena i cosiddetti ‘mostri’, i più grandi amplificatori che avessi mai visto. Mai, prima di allora, in Italia era stata utilizzata una tale potenza in watt. Appena acceso l’impianto è saltata la centralina del teatro per sovraccarico di energia. La sala è rimasta al buio: panico e nervosismo erano le sensazioni più diffuse tra pubblico e addetti ai lavori. Una cosa era certa: non si poteva suonare in quelle condizioni. Alla fine, spegnendo tutte le luci del teatro, comprese quelle dei bagni, ed escludendo un amplificatore di Hendrix, il concerto può avere inizio”.

Noel Redding ricorda che “il pubblico romano non credeva ai propri occhi… ma molti parlavano fra loro: forse, cercavano di capire quello che stavano ascoltando”.
“La cosa” racconta ancora Eddie Ponti “dava fastidio tanto da far sbottare Jimi: ‘Se non la smettete di parlare, io smetto di suonare’. Allora, sono andato io al microfono e, in italiano, ho detto: ‘State zitti!’. Nel corso del concerto Hendrix ha fatto i soliti numeri, suonando con i denti oppure con la Strato dietro la schiena. Verso la fine del secondo concerto, ha rotto una corda e, subito dopo, con un calcio, ha buttato la chitarra dietro le quinte. Il suo roadie gliene ha data immediatamente un’altra, in modo che potesse concludere lo show. Finito lo spettacolo, Jimi mi ha ringraziato per la presentazione. Ovviamente, anch’io mi sono complimentato con lui. Poi gli ho chiesto cosa era successo alla sua chitarra e perché l’avesse buttata nel backstage… ‘Niente di particolare’, mi ha detto, “non funzionava bene …’. Poi, visto che fissavo la Fender incriminata mi ha chiesto: ‘La vuoi?’. È così che sono entrato in possesso di una Stratocaster appartenuta a Hendrix che ho tenuto sino alla fine degli anni 80. Successivamente, per errore, è stata regalata da mia madre a un istituto di beneficenza che cercava cose vecchie da vendere. Purtroppo, nonostante alcune ricerche, non sono più riuscito a rientrare in possesso di quella chitarra”.

Massimo Bernardi ha raccontato di aver ingaggiato una troupe per riprendere i concerti romani di Hendrix, la stessa che lo aveva immortalato all’aeroporto. Ma dopo pochi minuti le riprese hanno dovuto essere interrotte perché non previste dal contratto. Questa storia è confermato dal servizio realizzato dalla settimana Incom in cui si racconta che i manager di Jimi hanno rincorso i cineoperatori chiedendo dieci milioni per i diritti di immagine.

A dire il vero, altri sono stati più fortunati. Come ad esempio l’attore Pierre Clementi (pupillo di Louis Bunuel e ora scomparso) che avrebbe fatto alcune riprese in 16 mm: ci sono fotografie che testimoniano la cosa e pare che alcuni spezzoni siano stati usati nel film Visa de censure n°x.
Nel corso del soggiorno al Brancaccio, la Experience trova il tempo per fare un po’ di turismo nelle vie della Capitale e per una gita al Colosseo dove vengono scattate alcune foto.
Dopo il secondo concerto, qualcuno suggerisce a Bernardi di portare la band al Titan Club, locale romano dove si poteva ascoltare un po’ di musica e fare qualche jam. Di quegli spostamenti romani, Alberto Marozzi ricorda: “Jimi è stato un amico indimenticabile. Sono stato felice di scorrazzarlo per Roma sulla mia Fiat 500, di pranzare con lui e di accompagnarlo al Titan. La prima volta che avevo sentito parlare di Hendrix era stato nel 1967, quando i Rolling Stones erano venuti per la prima volta in Italia. Ricordo che, a un certo punto, Charlie Watts tira fuori un registratore portatile e dice a tutti: ‘Ragazzi, ascoltate questo pezzo, si chiama Hey Joe’. Mai, avrei immaginato che di lì a poco avrei conosciuto il protagonista di quella canzone straordinaria. Al contrario di altre celebrità dell’epoca, Jimi non si dava arie, non era per niente snob. Era felice di parlare con chiunque mostrasse passione per la musica. Se Hendrix fosse stato arrogante non si sarebbe mai messo al nostro livello. Lui amava tutti i musicisti, in particolare quelli che avevano feeling. Dopo i concerti del Brancaccio, Jimi si è recato al Titan a jammare. Con lui c’erano Mitch e Noel, con cui Jimi si è scambiato lo strumento, stupendo tutti per la sua bravura al basso”.
Anche Dario Salvatori era presente e ricorda benissimo quella serata. “Tutti noi appassionati di musica”, racconta Dario, “eravamo presenti al concerto di Jimi Hendrix al Brancaccio prima e al Titan poi. Lì, è stato il gruppo locale dei Folks a prestare i propri strumenti. Jimi effettivamente ha imbracciato il basso (che non era per mancini) suonando per quasi un’ora e mezza classici di R&B e nuove canzoni della Experience”.
Una curiosità: tra i gruppi che aprono i concerti romani della Jimi Hendrix Experience, c’è anche il balletto di Franco Estill con un giovanissimo Renato Zero.

Il 26 maggio l’Experience raggiunge Bologna, per due concerti organizzati al Palasport. In realtà, solo quello pomeridiano va regolarmente in scena: la scarsa prevendita di biglietti costringe gli organizzatori a cancellare il concerto serale. Ma anche il primo spettacolo non fila via liscio,
Jimi è stanco e forse anche un po’ ubriaco. Al momento di andare in scena, non si trova nei camerini. E così i gruppi di supporto sono costretti ad allungare le loro performance.
Al contrario delle esibizioni romane e milanesi, per quella di Bologna sono venute alla luce ben tre registrazioni audio amatoriali. Grazie a quei nastri, è possibile sentire Jimi scusarsi della scarsa potenza dell’impianto e del fatto che debba suonare con amplificatori non a pieno regime, E infatti Fire, Stone Free e Hey Joe non risultano vivaci, con assolo senza distorsore pur se Jimi, con affascinante fluidità, cerca di colmare queste lacune. Red House è suonata nel silenzio più completo cosicché Hendrix riesce a renderla soffice ed eterea, regalando al pubblico del Palasport una delle più belle versioni esistenti. Preoccupato dalla scarsa resa dei suoi cavalli di battaglia, Jimi decide di proporre una versione di dodici minuti di Tax Free che ammalia la platea, specie la prima fila, interamente composta da musicisti bolognesi. A questo punto, per esaudire le incessanti richieste dei fan, esegue Foxy Lady, il cui singolo era appena uscito in Italia. Anche se, prima di fare il pezzo, Jimi chiede scusa perché, non essendoci potenza elettrica sufficiente per poterlo rendere in modo adeguato, quella versione sicuramente non sarebbe suonata perfetta. Foxy Lady e Purple Haze concludono l’esibizione bolognese.
Cosa abbia fatto Hendrix dopo il concerto del Palasport non è mai stato verificato.  C’è chi dice che se ne sia andato allo Stork Club dove ha fatto una jam con artisti locali, suonando il basso (un 8 mm avvallerebbe l’evento). Un’altra fonte parla di un viaggio a Rimini agli Altro Mondo Studios.
Una cosa è certa: il 27 maggio 1968, con un volo privato, Jimi Hendrix raggiunge Milano e da qui riparte per New York. Purtroppo, non sarebbe mai più tornato in Italia.

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