«Vista dal ponte», idealmente lo stesso che ha sotto di sé quell’«acqua agitata». Ma questa volta non ci sarà nessuno a stendersi e immolarsi, nessuno a gettare manciate di irresistibile speranza alla ragazza d’argento: «Graceland is a ghost town tonight». Forse basterebbero queste poche righe per spazzare via il facile parallelismo che si potrebbe creare al primo ascolto fra i Milk Carton Kids e Simon & Garfunkel. Le strade di Joey Ryan e Kenneth Pattengale si sono incrociate solo due anni fa e le loro armonizzazioni vocali richiamano facilmente alla mente gruppi come Everly Brothers, ma soprattutto quella dei sopraccitati Simon & Garfunkel. Le somiglianze sono tanto facili quanto superficiali, come scopriremo durante l’unica loro data londinese chenella St. Pancras Old Church.
Le loro armonizzazioni, così ben riuscite, non riescono a nascondere il sorriso amaro che si cela dietro i testi, in particolar modo quelli del loro ultimo The Ash & Clay; il tema centrale sembra essere quello della terra promessa che fin dal brano di apertura Hope Of A Lifetime assume le sembianze di un sogno che rischia di restare tale, sospeso tra il baratro e la luce. Ma non è solo il tramonto del sogno americano a tessere le fila dell’ultimo lavoro in studio e – ancora di più – di questo concerto che nella seconda parte attingerà a piene mani dai due album precedenti. Gli alti e bassi non mancano, anche perché ci vuole un’arte sublime a scrivere eccellenti pezzi per chitarra e voce, ma altrettanta predisposizione ci vuole per apprezzarli.
New York e ancora di più Honey, Honey mettono in luce non solo la grande capacità di armonizzare del duo, ma anche la facilità di Kenneth ad abbellire, rendere i pezzi impolverati ancora prima di fargli contare gli anni in qualche vecchio scantinato. Ci riesce grazie anche alla sua deliziosa Martin degli anni ’50, chitarra dal suono corposo e legnoso che suona con un fazzoletto bianco stretto sulle corde. Quando gli chiedo il significato – convinta che ci sia una qualche connessione con istanze pacifiste – mi spiega che lo fa per produrre un suono migliore. «Ma è anche un simbolo di pace», aggiunge con il sorriso di chi non vuole infrangere una bella speranza.
Foto di Chiara Felice