30/04/2008

The Raconteurs

Consolers Of The Lonely, XL

Tornano senza preavviso per consegnare al pubblico canzoni appena confezionate, come si faceva quando non esistevano piani di marketing biennali e i dischi erano neri e col buco in mezzo. Tornano senza preavviso e cambiano musica pur restando fedeli alla loro idea di spontaneità e divertimento. Per chi si fosse perso la puntata precedente: i Raconteurs sono il gruppo fondato da Jack White dei White Stripes e dal cantautore rock Brendan Benson con la sezione ritmica dei Greenhornes, ovvero Patrick Keeler e Jack Lawrence. Un supergruppo, se vi piace la definizione, con due teste pensanti e cantanti. Il debutto di due anni fa Broken Boy Soldiers aveva piacevolmente stupito per la fusione tra il rock spigoloso di White e il cantautorato pop di Benson, per quel suo mettere assieme in modo pertinente e armonico Zeppelin e Beatles, l’hard rock col power pop e un pizzico di psichedelia. Consolers Of The Lonely è un’altra faccenda. Anzitutto sembra un disco di Mr. White: lo è nel suono acuto e ficcante della chitarra della title track (“La conversazione langue / Ho un ronzio fisso nella testa / Il sense of humour è vacuo e insignificante / Sono tanto annoiato che mi viene da piangere”); lo è nel riff al 100% White Stripes di Salute Your Solution, che nella strofa diventa una specie di scioglilingua alla Police di mezza carriera; lo è nel solo di The Switch And The Spur; lo è nel rock-blues elettro-acustico Top Yourself che ha un che di zeppeliniano (con l’aggiunta di un banjo); lo è nell’introduzione devastante e nel canto capriccioso di Five On The Five. Persino Benson qua e là canta alla Jack White e sparisce un po’ di fronte alla personalità debordante dell’amico: al posto di duettare, i due finiscono per fondersi in un’unica voce. Più che a Broken Boy Soldiers, Consolers Of The Lonely somiglia perciò a Icky Thump. È più sfrontato, grintoso, graffiante dell’esordio. Non è una differenza da poco. Prima del debutto i Raconteurs non avevano fatto un solo concerto, oggi sono un vero gruppo che ha rodato il proprio sound in decine di esibizioni in mezzo mondo. Questo disco – registrato nella città dove tutti e quattro i musicisti si sono trasferiti a vivere, Memphis – ne è il risultato.
La prima cosa che si nota sono le stranezze. Spicca The Switch And The Spur (La frusta e lo sperone) di Benson: echi western anni 60, una struttura articolata e narrativa (“Nel caldo del deserto assolato, su un sentiero pustoloso, vengono un cavallo e un ricercato uscito di prigione”), un pizzico di vecchia psichedelia, una frase di tromba a sostituire il ritornello. I fiati tornano in forza in Many Shades Of Black, che pesca nel soul vecchia maniera e mostra la bravura del quartetto nel misurarsi con fantasia con altri stili, collocandosi da qualche parte tra Memphis e Detroit. Se Old Enough aggiunge con successo al catalogo del gruppo la ballata folk psichedelica, Hold Up ha un riff alla Who con un formidabile sostegno di distorsioni. You Don’t Understand Me è una ballata pianistica corale, mentre Rich Kid Blues proviene dal repertorio di Terry Reid, misconosciuto blues-rocker anni 60 che rifiutò il ruolo di cantante dei New Yardbirds che andò poi al giovane Robert Plant. Il meglio arriva forse in fondo: Carolina Drama è la cosa più dylaniana mai scritta da Jack White. Ha l’impianto narrativo del vecchio folk. Ha fascino e mistero. Ha un’interpretazione vocale piena di carisma. Ha una struttura che parte dalla ballata acustica e arriva al rock elettro-acustico. Racconta un omicidio all’interno di un dramma famigliare: quando pensi di avere capito tutto, e quando il protagonista Billy crede di avere compreso la situazione, arriva un finale volutamente enigmatico che rimette in discussione ogni cosa.
Se c’è un tema che lega tutto l’album è la lotta di personaggi accomunati dall’instabilità emotiva, tema reso però in modo stranamente euforico. Ma c’è anche la sensazione strisciante, che emerge in alcuni brani e che è evocata dalla copertina, di rifiuto delle sovrastrutture, delle complicazioni, delle distrazioni di questi tempi, raccontato evocando un immaginario da vecchio West tutto pistole, decisioni gravi e sfide. “Toglimi questo lenzuolo di dosso”, canta Jack White in Pull This Blanket Off, “e forse riuscirò a vedere le cose che considero vere”. Lo si dice anche in Five On The Five e in Hold Up: “Non somiglio per niente ai ragazzi dei video” e “Ne ho le tasche piene di questi tempi moderni”. E anche questo è molto dylaniano.
Consolers Of The Lonely ha molti pregi: l’ispirazione, l’abilità musicale, le canzoni, le idee, la dinamica, l’impatto esuberante, il suono esplosivo. L’80% dei dischi che trovate recensiti nelle prossime venti pagine non ha la metà di questi elementi. Se proprio vogliamo trovagli un difetto, diremmo che lascia l’impressione d’essere un patchwork lievemente discontinuo, una pecca che condivide con Icky Thump. Ma è necessario trovare difetti quando si ascolta musica tanto vibrante?

Consolers Of The Lonely
Salute Your Solution
You Don’t Understand Me
Old Enough
The Switch And The Spur
Hold Up
Top Yourself
Many Shades Of Black
Five On The Five
Attention
Pull This Blanket Off
Rich Kid Blues
These Stones Will Shout
Carolina Drama

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