The U.S. vs. John Lennon è il film che John avrebbe voluto fosse fatto su di lui” ha dichiarato Yoko Ono a proposito del lavoro di David Leaf e John Scheinfeld, presentato con successo ai prestigiosi festival di Venezia, Toronto, Telluride e da qualche settimana in circolazione nei cinema americani.
Noi abbiamo visto il documentario, chiacchierato a lungo con il regista e cercato di capire le ragioni di una pellicola che, prodotta da Lionsgate (gli stessi studios hollywoodiani che finanziano i controversi lavori di Michael Moore), presenta sottili analogie tra l’America degli anni 70 e il mondo occidentale del post 11 settembre.
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È una splendida, serenissima giornata di sole. Venezia mette in mostra, è proprio il caso di dirlo, tutta la sua abbagliante bellezza. Navigando sul vaporetto, rimaniamo incantati ad osservarne le forme: dalle più evidenti, esposte e celebrate, a quelle meno ovvie, ma non per questo meno fascinose, come se, invece che ammirare la città della laguna, fossimo in presenza di una donna seducente, a tratti davvero irresistibile. Persino il “noioso” Lido, con il suo look retrò e alcuni scorci da località turistica di serie B, sembra oggi avere “un suo perché”. In giorni come questi, infatti, non ci sono solo cieli blu e una luce intensa, quasi “americana”, ad accecare turisti e bagnanti. Brillano in modo altrettanto “fragoroso” i mille lustrini della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica (giunta tra critiche, polemiche e litigi alla 63esima edizione) che qui ha, da sempre, la sua storica sede. Se a tutto ciò aggiungete che su di noi, ingenui appassionati di rock’n’roll abituati ad ambienti spartani, relazioni friendly e budget inesistenti, il glamour del mondo del cinema fa sempre un certo effetto, il risultato è assicurato. Tanto che è sufficiente metter piede nella hall del mitico Des Bains, facendosi largo tra fotografi, operatori televisivi, giornalisti e presunti addetti ai lavori, per sentirsi per un minuto (magari con un po’ di fantasia.) Brad Pitt o Julia Roberts. Così come passeggiare in prossimità della passerella rossa di fronte al Palazzo del Cinema, di fianco ai leoni d’oro, o sorseggiare un aperitivo sulla terrazza dell’Excelsior sembra darti all’istante un’aria alquanto chic e farti passare per “uno che conta”. Oggi, proprio sulla Terrazza Martini, “uno che conta” è il nostro amico David Leaf giunto a Venezia per presentare la sua ultima fatica, The U.S. vs. John Lennon, film documentario che ricostruisce gli anni newyorchesi dell’ex Beatle, il suo impegno pacifista, le sue relazioni con i radical americani, la sua storia sentimentale e artistica con Yoko Ono.
Prima di abbracciare David (sommerso dagli impegni promozionali) ci eravamo recati al PalaBiennale, lo spazio più ampio tra quelli deputati alle proiezioni pubbliche, per assistere allo screening del suo film, accolto benissimo da operatori, giornalisti e appassionati, sia come numero di presenze, che come risposta finale: con piacere, prendiamo nota che The U.S. vs. John Lennon incassa un lungo, scrosciante applauso che accompagna i titoli di coda.
“Hanno davvero applaudito tanto?” ci chiede David, evidentemente curioso di sapere le reazioni del pubblico. “Sono soddisfatto e orgoglioso di questo lavoro al quale tengo moltissimo. Ho iniziato a pensare al progetto nei primi anni 90 quando la figura di Lennon era un po’ dimenticata. All’inizio è stata dura: non trovavo finanziatori ma neppure sostegno artistico e ideologico. Un paio d’anni fa, la svolta”.
Consulente e braccio destro di Brian Wilson, Leaf ha da anni contatti frequenti con fan eccellenti dell’ex Beach Boy, Paul McCartney su tutti. “Sean Lennon” ci racconta David (sul figlio di John e Yoko vedi anche box a pagina 45) “è uno sfrenato ammiratore di Brian. Pensate che, tutti gli anni, gli manda mazzi di fiori e cartoncini di auguri per il suo compleanno. Idem a Natale e capodanno! È stato Sean, molto gentilmente, a raccomandarmi a sua madre. L’approvazione di Yoko era indispensabile, non solo per motivi legali o di copyright: sapevo che il suo supporto avrebbe dato al progetto un valore aggiunto impagabile. Oltre al crisma dell’ufficialità, infatti, abbiamo potuto contare su filmati e materiali rari provenienti direttamente dagli archivi privati di famiglia. E, così, sono partiti i lavori”.
Il documentario, pur non svelando fatti inediti né mostrando immagini particolarmente scottanti, ricostruisce in maniera accurata il profilo di John Lennon, artista e uomo “contro”, ribelle sin dall’infanzia, come mostrano alcune immagini iniziali “indispensabili per far capire a tutti il carattere del soggetto”, come ci ha voluto precisare Leaf. Ma soprattutto, il lungometraggio (99 minuti serrati, appassionanti, intensi e coinvolgenti) tratteggia benissimo il quadro storico e socio-culturale dell’America di fine anni 60 e primi anni 70 nel quale si svolgono gli eventi. Fuori da questo contesto socio-politico, riuscirebbe, infatti, del tutto incomprensibile capire le ragioni che hanno spinto l’FBI a raccogliere centinaia di pagine sul musicista inglese, intercettare telefonate, filmare incontri, registrare colloqui privati, prender nota dei testi delle sue canzoni, finendo per negare a John e Yoko (con la complicità dell’Immigration Office) la Green Card, e cioè il permesso di soggiorno e cittadinanza ai cittadini stranieri in America. Il tutto è documentato con dovizia di particolari e testimonianze efficacissime dalla pellicola di Leaf e Scheinfeld (vedi il website ufficiale www.theusversu sjohnlennon.com).
“Non era tanto John Lennon il soggetto pericoloso” racconta nel film Geraldo Rivera, giornalista televisivo di grido, conduttore di talk show popolari e autore di interviste a personaggi scomodi (celebre il suo faccia a faccia con Charles Manson, nel carcere di Corcoran) “l’America era terrorizzata dal fatto che Lennon, una celebrità internazionale, piena di fascino e carisma, desse credito e voce ai veri rivoluzionari di quegli anni: Abbie Hoffman, Jerry Rubin, Bobby Seale, Angela Davis, John Sinclair, autentici nemici dell’establishment a stelle e strisce”.
Rivera è solo una delle figure di spicco intervistate da David Leaf. Quella che il regista propone è, infatti, un’autentica carrellata di testimoni politici eccellenti (da Mario Cuomo al senatore George McGovern, il più tosto fra gli avversari di Nixon, che nel film canticchia, a sorpresa, Give Peace A Chance), opinion leader popolarissimi (come il mitico Walter Cronkite, il più celebre anchorman d’America o Carl Bernstein, il reporter del Washington Post che scoprì il complotto del Watergate), soloni della cultura americana (come Gore Vidal, il più grande storico vivente), personaggi rappresentativi dell’America in guerra con il Vietnam (Gordon G. Liddy, consigliere politico del presidente Nixon, e John C. Jack Ryan e Wesley Swearingern, agenti dell’FBI ai tempi della inflessibile gestione di J. Edgar Hoover). Le loro dichiarazioni aiutano la comprensione, danno peso e credibilità all’intero progetto, svelano aspetti e particolari poco conosciuti della storia. Filmate con la tecnica classica della scuola documentaristica anglo-americana (camera fissa a mezzobusto su sfondo uguale per tutti), si alternano per le telecamere del regista californiano anche le testimonianze di tre radical sopravvissuti: le già citate icone della controcultura afroamericana, il famoso Bobby Seale, fondatore e leader del Black Panther Party (oggi con una cinquantina di chili in più e un milione di capelli in meno) e la dottoressa Angela Davis (la sua equivalente donna) più il pittoresco John Sinclair (poeta, pensatore, manager degli MC5 e fondatore delle White Panther, le “pantere bianche” rivoluzionarie e trasgressive come i loro fratelli neri). Nell’estate del 1969, Sinclair commette la sciocchezza di acquistare due spinelli da una poliziotta in borghese e per questo viene condannato a 10 anni di galera. Dopo Abbie Hoffman, che sollecita la liberazione di Sinclair salendo sul palco di Woodstock nel momento sbagliato e cioè in pieno set degli Who beccandosi così un vaffanculo e la paletta di una Gibson SG in faccia da Pete Townshend, è proprio John Lennon il portavoce più efficace delle istanze per la scarcerazione di John Sinclair. Le immagini del concerto per Sinclair (con riprese suggestive del pezzo omonimo) sono un’autentica chicca per i lennoniani doc e, più in generale, per tutti i rock fan. Tra l’altro, queste sono tra le poche scene del film a mostrare il Lennon musicista in azione. Infatti, seppur la musica di John è costantemente presente (sono oltre 40 i brani utilizzati da Leaf e Scheinfeld, due dei quali – una versione live di Attica State e la parte strumentale di How Do You Sleep – assolutamente inediti, vedi box a pagina 41), il documentario ha ben altro obiettivo: quello cioè di raccontare la metamorfosi dei coniugi Lennon, il passaggio di John da icona pop a leggendaria figura pacifista perseguitata dall’amministrazione Nixon che per anni ha tentato con ogni mezzo, ma invano, di espellerlo dagli Stati Uniti.
“Durante la lavorazione del film” ci ha spiegato David Leaf “ho preso coscienza del fatto che non dovevo fare alcuno scoop. Non c’erano fatti nuovi, storie inedite o retroscena scabrosi da raccontare. Semplicemente, bisognava rimettere a posto i vari tasselli e soprattutto dare al tutto una nuova prospettiva, più moderna e attuale. Io stesso, che ho vissuto con grande intensità quegli anni, ne conservavo una visione distorta: ero troppo giovane e ingenuo e quando il tutto era in pieno svolgimento non ne sapevo cogliere il vero significato. Mettendomi nei panni dello storico, ho potuto in seguito studiare quella vicenda con lucidità, rileggendo trent’anni dopo gli stessi eventi visti da un’angolazione diversa che ritengo più obiettiva e più vicina alla realtà dei fatti. Così facendo, mi sono reso conto di quanto John Lennon sia stato un uomo e un artista coraggioso. E, di conseguenza, ho sviluppato un profondo senso di rispetto per il suo modo di essere, per il suo indefesso attivismo, per il suo originale ma efficacissimo ruolo di pioniere del pacifismo, per le sue critiche, dure e determinate, nei confronti dell’establishment americano”.
“Come molti miei coetanei in America”, prosegue David, “sono cresciuto ascoltando la musica dei Beatles. Per me, Lennon era un idolo. In quegli anni, durante l’amministrazione Nixon, andavo a scuola a Washington e fin d’allora la storia di John e Yoko, le loro battaglie pacifiste, i loro celebri bed-in, mi affascinavano”.
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Il documentario analizza in modo approfondito il decennio 1966/76, uno dei periodi più discussi e contestati della storia americana e ne evidenzia alcuni passaggi salienti. Il 17 aprile 1965, 25mila persone partecipano a Washington a una dimostrazione contro la guerra in Vietnam. Il 22 ottobre 1967, oltre 100mila persone prendono parte alla Marcia sul Pentagono chiedendo la fine della guerra; tra loro i radical Stew Albert, Abbie Hoffman e Jerry Rubin. Il 15 novembre 1969 un’altra manifestazione, sempre nella capitale Usa: questa volta sono quasi mezzo milione i dimostranti che partecipano al Washington Moratorium, la più grande marcia pacifista nella storia degli Stati Uniti. Il 4 maggio 1970, quattro studenti che stanno protestando contro l’invasione americana in Cambogia vengono uccisi dalla Guardia Nazionale nel campus della Kent State University, Ohio (il fatto ispira Neil Young che compone Ohio, pubblicata di lì a poco, destinata a diventare la prima instant song della storia del rock). Il 7 novembre 1972 Nixon viene eletto presidente per la seconda volta, battendo in maniera schiacciante il candidato democratico George McGovern. Il 17 maggio 1973 la commissione d’inchiesta del Senato inizia la sua indagine dopo un’irruzione al Watergate Hotel. L’8 agosto 1974 Richard Nixon annuncia le proprie dimissioni.
Sullo sfondo di questi eventi, s’innestano le avventure di una coppia di artisti stravaganti che propongono performance trasgressive e originali in nome della pace. “Qualcuno dice che l’estate dell’amore sia finita” dichiara Lennon in una scena del film “molti sostengono che il movimento hippie ha fallito. Non è vero. Questo è il momento di riproporre i vecchi ideali dei figli dei fiori, questo è il momento per dare un’occasione concreta alla pace.”.
Sono gli anni in cui i Beatles, pur essendo ufficialmente sciolti, sono ancora (per dirla alla Lennon) “più famosi di Gesù Cristo”. E John e Yoko sono una coppia perennemente sulla cresta dell’onda. Qualsiasi cosa facciano, è una notizia. Persino quando si presentano, dentro a una busta, a una (per così dire) improvvisata conferenza stampa. Suscitando le ire e le proteste dei giornalisti. “Questa è arte” dice Lennon, in tono evidentemente ironico “non dobbiamo aggiungere altro”.
Trasgressivo, ribelle, sarcastico, pungente, John anche a distanza di tanti anni traspare dalla pellicola di Leaf come personaggio dal carisma formidabile. Basti vedere come reagisce, in uno dei momenti più inquietanti del documentario, alle domande incalzanti di una giornalista che lo accusa di non fare nulla di concreto per un mondo migliore ma semplicemente di cercare pubblicità a livello personale. Oppure, quando nel film si ricordano alcune delle sue incredibili idee: il finanziamento di 75mila dollari a un gruppo pacifista che si proponeva di far fallire la convention repubblicana a sostegno della ricandidatura di Nixon alla Casa Bianca, o addirittura l’invenzione di uno Stato immaginario, Nutopia (con tanto di bandiera!), luogo senza terra né confini in cui non servivano documenti d’identità.
John Lennon, e non poteva essere altrimenti, è il soggetto principale, la voce preminente, la presenza centrale e più galvanizzante di tutto il documentario. Anche se, dobbiamo confessarlo, dal lavoro di David Leaf esce secondo noi in modo sorprendentemente positivo la figura di Yoko Ono. Sempre al fianco di John, nonostante i fortissimi pregiudizi del mondo e l’odio esplicito di tutti gli appassionati, Yoko (come sottolinea Eva Leaf, moglie di David che l’ha conosciuta prima che l’artista giapponese incontrasse l’ex Beatle) “è una che ha certamente amato suo marito. Gli è sempre stata al fianco, al di sopra di tutto e di tutti”.
Nelle interviste riprese da Leaf (più ancora che nelle immagini di repertorio), Yoko appare dolce, riflessiva, brillante e consapevole. “Mai e poi mai” ammette candidamente Yoko nel film “io e John ci saremmo sognati che promuovere la pace nel mondo fosse così difficile e che potesse anche essere così pericoloso”.
Le sue testimonianze sono, ovviamente, le più interessanti per capire le scelte (pubbliche e private) di una delle coppie più discusse del Novecento. Complice anche un po’ di ignoranza mista a maschilismo, Yoko Ono bollata da tutti come “la strega” che ha irretito Lennon e provocato lo scioglimento dei Beatles, veniva ai tempi considerata, da tutti gli appassionati, bruttina. Anni dopo, magari con maggiore apertura mentale e minore razzismo, persino dal punto di vista estetico Yoko Ono va rivalutata. All’epoca dei fatti, specie se guardata con l’occhio di oggi, la ragazza giapponese era tutt’altro che orribile. Anzi, emanava un fascino esotico tanto di moda ai giorni nostri. Nelle immagini più recenti, poi, la Ono dimostra di portare benissimo i suoi 73 anni. I casi sono due: o la vedova Lennon è una grande attrice o, forse, non è “la strega” che per 30 anni abbiamo pensato che fosse.
“Non sono in grado di esprimere un giudizio su di lei. In questo caso, non posso che ringraziarla” ammette onestamente David Leaf. “Yoko è stata collaborativa e preziosissima. Abbiamo lavorato bene insieme. Inoltre, dopo aver visto la pellicola, mi ha fatto il più grande complimento che potessi ricevere: mi ha detto che The U.S. vs. John Lennon è il film che John avrebbe voluto fosse fatto su di lui”.
La collaborazione di Yoko Ono ha semplificato le procedure di autorizzazione che sono state comunque lunghe e laboriose. “Ho dovuto avere le autorizzazioni da Paul McCartney e Ringo Starr ma soprattutto il benestare della Apple” ci ha spiegato David Leaf. “Quando si tratta di Beatles, per ciò che concerne diritti e permessi, si entra in territorio minato. Ho impiegato diversi mesi a sciogliere la matassa. Dopo di che ho potuto procedere con la lavorazione del film che mi ha portato via circa sei mesi”.
“Io e il mio socio John Scheinfeld” prosegue Leaf “abbiamo deciso di non utilizzare materiali già usati e visti in almeno altri dieci documentari già realizzati su Lennon e i Beatles. Nel film, c’è solo musica di John. Nei momenti drammatici, abbiamo deciso di suonare, in sottofondo, solo la parte strumentale di alcuni brani di Lennon: con l’assenso di Yoko, abbiamo così messo mano a circa 24 canzoni eliminando le parti vocali”.
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Nel film, solo una volta viene nominato l’attuale presidente George W. Bush. Eppure Lennon (qui più che mai) appare artista-attivista contemporaneo e la sua battaglia contro la guerra in Vietnam sembra identica a quella degli odierni pacifisti che invocano il cessate il fuoco per la guerre in Iraq, Afghanistan e Libano.
David Leaf ci ha confermato che “oggi, l’argomento è tornato nuovamente d’attualità. Dopo le loro dure prese di posizione contro la guerra in Iraq e le politiche dell’amministrazione Bush, Bruce Springsteen, Bill Maher, le Dixie Chicks e altre rockstar attiviste sono state linciate, proprio come accaduto a John Lennon 35 anni fa. A quel punto, ho pensato che realizzare questo film fosse quasi un dovere civile”.
Paradossalmente, proprio in virtù dei suoi contenuti “potenzialmente” politici, David Leaf ha trovato i finanziamenti. “Dopo l’11 settembre e la guerra in Iraq” ci ha detto “molta gente vicina al nostro ambiente ha pensato che la storia di Lennon e dei files raccolti su di lui dall’FBI fosse diventata tremendamente attuale, e così ci ha dato la possibilità di realizzare il film. Per gli appassionati, questa storia potrebbe anche suonare ovvia. Tenete presente, però, che la gente normale in America e forse nel resto del mondo sa che John Lennon era uno dei Beatles, che ha scritto Imagine e che è stato ucciso a New York da un folle. Tutto il resto è nebuloso, pochi conoscono la sua vicenda umana e politica”.
“John Scheinfeld” conclude David Leaf “è l’Hercule Poirot del nostro team, un detective brillante e instancabile. Per lui la risposta ‘no’ non è accettabile: John non si dà mai per vinto. È significativo il fatto che per mesi e mesi ci era stato detto da più fonti che non esisteva l’immagine di John Lennon che riceve la fatidica Green Card. Eravamo in chiusura del film, la pellicola era già montata. Ma John non era ancora convinto. Finalmente, un giorno è stato ritrovato il filmino con le immagini di Lennon che ritira la sua Green Card: era finito in una scatola erroneamente archiviata negli archivi delle news”.
Il 9 ottobre 1975, nella stessa giornata, Lennon riceve due grandi notizie: la nascita di suo figlio Sean e la conferma di aver vinto la lunga causa contro l’Ufficio Immigrazione. Il 27 luglio 1976 John Lennon ottiene la sua Green Card a New York. Poco più di quattro anni dopo, sempre a New York, la sera dell’8 dicembre 1980, Lennon viene assassinato a colpi di pistola davanti alla propria abitazione, il Dakota Building. I rumori degli spari, sullo schermo buio, giungono poco prima della fine del documentario. David Leaf non rilascia commenti sull’omicidio. Quella, purtroppo, è tutta un’altra storia.