I fiorentini The Vickers giungono alla prova fondamentale del terzo disco inserendosi nel filone del “revival psichedelico”, promosso all’estero da band come Tame Impala e The Temples. Se il primo tassello della loro carriera, Keep It Clear (Foolica Records, 2009), era infatti più legato agli stilemi classici dell’indie pop del periodo, con l’EP Sofa Session (Foolica Records, 2010) e con il secondo album Fine For Now (Flake Records, 2011), la band italiana formata da Andrea Mastropietro (voce e chitarra, tastiere), Francesco Marchi (voce e chitarra, tastiere), Federico Sereni (basso) e Marco Biagiotti (batteria), guardava agli anni ’60 del rock psichedelico e del flower power con un certo interesse.
Percorso “sperimentale” che si afferma ancora di più con questo Ghosts, bel quadretto acido debitore del suono dei Beatles periodo ‘66/67, delle ballate lisergiche dello scozzese Donovan, dei primi Pink Floyd. Talvolta la loro musica caleidoscopica riesuma persino la “scuola” new wave di Liverpool di fine ’70 (Echo And The Bunnymen, i Teardrop Explodes di Julian Cope), senza per questo dimenticare lo space rock di Hawkwind e il kraut di Can e Neu!.
Come suggerisce il titolo dell’opera, le dieci tracce di Ghosts sono perennemente immerse in echi e riverberi che ne conferiscono una certa oscurità e inquietudine di fondo, in cui emerge la aggraziata voce da folletto di Andrea Mastropietro e una non trascurabile padronanza tecnica e strumentale.
Ma non è solo un mix raffinato di influenze importanti e citazioni colte: Ghosts è prima di tutto un lavoro in cui non mancano idee interessanti e intuizioni degne di una band che ha saputo trovare la strada giusta. She’s Lost, ad esempio, è una “cavalcata” psych rock di notevole impatto e ottima fattura, come lo sono I Don’t Known It Is e le “cosmiche” All I Need e Hear Me Now, sorrette da un basso vorticoso e da chitarre straripanti di deelay.
Il pregevole livello qualitativo si mantiene tutto sommato inalterato per tutti i tre quarti d’ora di durata, grazie anche a un’ottima produzione, rotonda e cristallina. Il terzo album dei fiorentini è genuino e appassionato, e riesce a fornire una prova di talento indiscutibile; non c’è nulla da invidiare in questo caso a produzioni estere più blasonate e celebrate e si delinea come la punta di diamante del revival psichedelico nostrano.